Il 30 di Luglio 2020 è partito da Cape Canaveral il razzo Atlas che porterà su Marte il rover Perseverance che a sua volta trasporta il drone Ingenuity. Questo piccolo drone di 1.8 kg è destinato a essere il primo aereo a volare su un altro pianeta. La sua aerodinamica è configurata per volare attraverso una atmosfera come quella Marziana, densa di particelle e tempestosa.
In un piccolo lasso di tempo tre missioni si sono succedute con obiettivo Marte: Hope voluta dagli Emirati Arabi Uniti, Tianwen-1 voluta dai Cinesi ed ora questa voluta dagli Americani.
Tre missioni con diversi obiettivi: quella americana dedicata alla astrobiologia, la ricerca della vita e per preparare le future missioni umane; quella Cinese per studiare la geologia marziana e verificare l’eventuale presenza di ghiaccio e la struttura interna di Marte; quella degli Emirati Arabi Uniti per studiare la meteorologia a bassa quota del pianeta.
Questi tre obiettivi ne sottintendono anche un quarto, comune a tutti i paesi: il predominio tecnologico che sottintende un predominio politico. Tra la Cina e gli Stati Uniti è in corso da tempo, mentre gli Emirati Arabi Uniti vogliono affermare un predominio in una area assai instabile che vede la presenza dell’Iran con un arsenale di armi balistiche (razzi) non indifferente (anche se non troppo performante) ed Israele con la sua tecnologia. E pur vero che gli Emirati Arabi Uniti si sono fatti aiutare dagli Americani. La sonda Hope è stata costruita dal Mohammed bin Rashid Space Centre di Dubai in collaborazione con tre università statunitensi: l’Università del Colorado Boulder, l’Arizona State Università e la Università di Berkley, in California che hanno infatti costruito la sonda finale e fornito la maggior parte della strumentazione scientifica ed hanno lanciato dal Giappone, ma ciò non toglie che siano stati capaci di lanciare un razzo verso Marte, con la tecnologia che ne viene, per sondare l’atmosfera Marziana.
Marte è l’ultimo dei pianeti di tipo terrestre dopo Mercurio, Venere e la Terra. È chiamato pianeta rosso per via del suo colore caratteristico causato dalla grande quantità di ossido di ferro che lo ricopre. Le precedenti missioni tra cui quelle dell’ESA hanno dimostrato che le calotte marziane sono ghiacciate, segno della presenza di acqua necessaria per una eventuale colonizzazione. Dalle tracce di composti organici trovati dal Rover Curiosity, forse ci sono degli idrocarburi.
Anche l’ESA nell’ambito di ExoMars, invierà un rover sulla superficie di Marte che sarà in grado di perforare il suolo fino a 2 metri di profondità per stabilire l’eventuale esistenza di vita passata sul pianeta. A tale scopo i campioni forniti dalla perforatrice verranno analizzati da Urey, il rilevatore di materia organica e ossidanti finanziato dalla NASA, in grado di rilevare anche tracce di molecole organiche e stabilire se siano state originate da forme di vita o meno e, nel caso, quali condizioni ne hanno provocato la scomparsa. La missione Exomars avrà inoltre tra i suoi obiettivi la validazione delle tecnologie necessarie per l’esplorazione sicura del pianeta in prospettiva di una “Mars Sample Return”, ovvero una missione di andata e ritorno sulla Terra. Il lancio per ora è stato rimandato per problemi tecnologici vari e anche per problemi economici.
Ma quando potremo andare su Marte con degli esseri umani? Nell’immaginario collettivo il volo nello spazio esterno alla Terra sembra facile, almeno con le tecnologie attuali, ma non è così. Non è solo che bisogna viaggiare per oltre sei mesi per raggiungere Marte, ma che la finestra di lancio è di 2-3 mesi ogni 780 giorni, corrispondente al periodo sinodico (periodo tra due congiunzioni astronomiche degli stessi corpi celesti) Terra-Marte.
Durante il viaggio gli astronauti dovranno essere schermati dalle radiazioni ionizzanti. Per questo durante la missione di Perseverane saranno testati i materiali destinati a tute e casco dei futuri astronauti che andranno su Marte e soggiorneranno sulla superficie del pianeta rosso che ha una sottile atmosfera.
Da uno studio fatto con alcuni colleghi fisiatri, neurologi e patologi, abbiamo visto che l’astronauta che viaggiasse verso Marte, con le protezioni attuali, sarebbe soggetto a radiazioni che gli brucerebbero i neuroni, gli provocherebbero danni agli organi interni e quando giunto su Marte finalmente sbarcasse, sarebbe investito da altra radiazione che gli impedirebbe di rientrare sulla Terra in quanto, cinicamente, deceduto sul lavoro.
Il conto è presto fatto: sei mesi e oltre di viaggio di andata, 1 anno di permanenza, sei mesi per ritornare, il tutto sottoposti a radiazioni di ogni tipo. Per evitare tutto questo l’astronauta dovrebbe dotarsi di una tuta di piombo, impossibile da indossare, per via del peso, oppure dovrebbe indossare una tuta capace di bloccare la radiazione, che allo stato attuale non esiste, dovrebbe viaggiare su di una astronave dotata di uno scudo magnetico capace di deviare le particelle ionizzanti. In alcuni laboratori si stanno studiando questi scudi per rendere fattibile i viaggi interplanetari, ma ancora siamo lontani dalla soluzione, in quanto è necessario utilizzare materiali leggeri e scudi magnetici che si possono generare con nuovi materiali superconduttori ancora in fase di studio. Poi c’è il problema della gravità.
Sulla superficie di Marte l’accelerazione di gravità è mediamente pari a 0,376 volte quella terrestre. A titolo d’esempio, un uomo con una mass di 70 kg che misurasse il proprio peso su Marte facendo uso di una bilancia tarata sull’accelerazione di gravità terrestre registrerebbe un valore pari a circa 26,3 kg. Questo provocherebbe una serie di problemi agli organi di moto e al cuore, come ben sanno gli astronauti della Stazione orbitante attorno alla Terra (ISS).
Marte, per ora, è esplorabile con rover e robot, ma per la sua colonizzazione siamo ancora ben lontani. Questo non toglie che il sogno marziano si possa realizzare, ma per ora limitiamoci a pensare che i lanci verso Marte hanno, soprattutto, uno scopo politico-tecnologico.