Pochi giorni fa, nella stazione di Stoccolma della CTBTO, l’Organizzazione a sostegno del trattato di bando complessivo dei test nucleari, sono stati rilevati livelli insolitamente alti di tre elementi radioattivi (cesio-134, cesio-137 e rutenio-103).
Dato confermato anche dall’IAEA: “I livelli segnalati all’IAEA sono molto bassi e non comportano rischi per la salute umana e l’ambiente. Mi aspetto che un numero maggiore di Stati membri ci fornisca informazioni e dati pertinenti e continueremo a informare il pubblico. L’IAEA continuerà i suoi sforzi per analizzare le informazioni raccolte al fine di identificare la possibile origine e posizione del rilascio”, ha dichiarato il direttore generale dell’AIEA Rafael Mariano Grossi.
Dai dati rilevati sul Mar Baltico e in alcuni paesi che vi si affacciano, tuttavia, non è stato possibile definire con certezza l’origine delle radiazioni. Il Rijksinstituut voor Volksgezondheid en Milieu – RIVM, l’Istituto nazionale olandese per la salute pubblica e l’ambiente, ha dichiarato che un’analisi dei dati suggerirebbe che “Le radiazioni provenivano dalla direzione della Russia occidentale” e che il modello “pare indicare un danno a un elemento del combustibile in una centrale nucleare”.
Dello stesso avviso l’autorità finlandese per le radiazioni e la sicurezza nucleare (STUK) che ha dichiarato di aver rilevato modeste quantità di isotopi radioattivi di cobalto, rutenio e cesio in campioni di aria raccolti a Helsinki. “Sono certamente prodotti di fissione nucleare, molto probabilmente da una fonte civile”, ha detto un portavoce del CTBTO di Vienna, riferendosi alla reazione a catena atomica che genera calore in un reattore nucleare. “Siamo in grado di indicare la probabile regione della fonte, ma è al di fuori del mandato del CTBTO identificare l’origine esatta”, ha dichiarato Lassina Zerbo portavoce del CTBTO.
Immediato il pensiero alla Russia che dal canto suo ha negato qualsiasi coinvolgimento. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, (poco prima di essere trasferito in ospedale perché risultato positivo al Covid-19) ha dichiarato: “Abbiamo un sistema di monitoraggio della sicurezza dei livelli di radiazione assolutamente avanzato e non ci sono allarmi di emergenza. Non conosciamo la fonte di queste informazioni”.
I timori sarebbero giustificati dal ripetersi degli incidenti avvenuti in Russia negli ultimi mesi. Lo scorso anno a Archangelsk, nella Russia sub artica, è stato diffuso l’allarme radioattività dopo che i sistemi automatizzati di monitoraggio delle radiazioni avevano registrato in 6 degli 8 quartieri di Severodvinsk livelli di radioattività 16 volte maggiore rispetto ai valori normali. Una segnalazione tardiva che in molti aveva fatto tornare alla memoria il disastro di Cernobyl. Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa Belomorkanal, i residenti del villaggio di Nenoks sono stati “invitati” dalle autorità militari ad abbandonare le proprie case e sono stati evacuati con un treno speciale (proprio come avvenne dopo l’incidente di Cernobyl).
Poche settimane fa, sempre in Russia è scoppiato un incendio che destato serie preoccupazioni per i livelli di radioattività (secondo i servizi di emergenza altissimi) legati alla combustione di legname proveniente dalla zona di Cernobyl. Il capo del servizio di ispezione ecologica, Egor Firsov, ha pubblicato un post su Facebook in cui smentiva alcune dichiarazioni delle autorità locali secondo cui non ci sarebbero pericoli per le persone.
La causa delle radiazioni rilevate, quindi, potrebbero essere gli incendi che stanno devastando i boschi in Russia: in diversi Paesi Baltici sono già state rielvate “nubi” radioattive provenienti dalle centrali elettriche a biomassa della Lettonia, che utilizzavano legname particolarmente contaminato proveniente da Gomel e Moguilev, in Bielorussia. Di diverso parere la Commission de Recherche et d’Information Indépendantes sur la Radioactivité (Criirad), una nota Ong francese specializzata nel controllo della radioattività: “L’individuazione a Helsinki di elementi radioattivi di breve durata, il cesio 134 (periodo di 2 anni) e in particolare il rutenio 103 (periodo di 39 giorni), consente di escludere che si tratti solo della combustione di biomassa contaminata dal fallout di Chernobyl nel 1986”.
Nei giorni scorsi, Andrei Zolotkov, direttore dell’ufficio di Murmansk dell’Ong russo-norvegese Bellona, ha detto che “Gli isotopi rilevati dalle autorità scandinave non sono presenti in natura e devono essere nati da un impianto nucleare creato dall’uomo”. “Sarebbe improbabile che una piccola perdita a livello del mare penetri nell’atmosfera superiore”. Al contrario “Le centrali nucleari, con le loro alte torri di raffreddamento, potrebbero dare radiazioni misurabili dai sensori scandinavi ed europei”.
Pia Vesterbacka, che dirige la sorveglianza sulle radiazioni ambientali per la STUK, ha dichiarato che l’allarme non sarebbe giustificato dato che il materiale radioattivo rilevato sarebbe troppo modesto per rappresentare un rischio. “La quantità di particelle radioattive è molto piccola e non ha alcun impatto sull’ambiente o sulla salute umana”.
Ciò, però, non significa che debbano essere presi in considerazione solo gli impianti russi. La Finlandia gestisce quattro centrali nucleari commerciali e la Svezia 7”. Per non parlare della Francia e dei problemi frequenti che continuano a creare le sue centrali spesso obsolete. Solo pochi giorni fa, il 29 giugno, la Francia ha definitivamente spento i reattori della centrale di Fessenheim, al confine con la Germania. Positivo il commento di Sortir du Nucléaire: “ben presto finiranno la produzione di scorie altamente radioattive, gli inquinamenti chimici e radioattivi del Reno, gli incidenti e le panne di ogni genere! La spada di Damocle di un rischio di un grosso incidente, che avrebbe potuto contaminare una delle più grandi falde freatiche d’Europa, comincia ad allontanarsi”. Situata in una zona sismica e a rischio inondazioni (sotto il livello del Grand canal d’Alsace), la centrale sorgeva su un’area particolarmente a rischio. Per questo molti si erano opposti alla decisione di prolungare il suo funzionamento (notevoli i rischi, anche a causa della vetustà degli impianti e guasti a volte non riparabili).
In realà sono stati molti gli incidenti. E i rischi restano elevati: pochi mesi fa è stato comunicato che sei reattori nucleari francesi gestiti dalle compagnie EDF e Framatome (i reattori 3 e 4 della centrale nucleare di Blayais, il reattore 3 di Bugey, il reattore 2 di Fessenheim, il reattore 4 di Dampierre-en-Burly e il reattore 2 della centrale di Paluel) avevano dei problemi di fabbricazione riguardanti le saldature dei generatori di vapore realizzati dalla Framatome. Eppure nessun impianto è stato spento perché, secondo EDF, il problema non comprometterebbe il mal funzionamento degli impianti. Qualche anno fa, fu il presidente dell’Authority sulla sicurezza nucleare (ASN), Pierre-Franck Chevet a lanciare l’allarme dicendo che “La situazione è diventata molto preoccupante”.
Un allarme forse ingiustificato che ha scatenato quella che alcuni hanno definito una “raffica di speculazioni” sui media europei. Intanto, però, l’agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA) ha chiesto agli Stati membri di segnalare qualsiasi evento anomalo riconducibile alla presenza di sostanze radioattive. Anche se ci si ostina a parlare solo di Cerbnobyl e di Fukushima, la storia del nucleare civile è costellata da una miriade di incidenti ed guasti che sono la dimostrazione incontrovertibile della pericolosità di questa fonte energetica non solo per l’uomo, ma per l’intero pianeta.
Non è un caso se, in risposta alla lettera aperta indirizzata ai rappresentanti delle istituzioni comunitarie dall’industria nucleare e da vari portatori di interesse, la Commissione Europea ha dato mandato al Joint Research Centre (JRC) di redigere un rapporto sul tema del “do not significant harm”, ovvero sulla sostenibilità a lungo termine dei rifiuti nucleari, che aveva causato l’esclusione della fonte nucleare dal novero degli investimenti sostenibili.