I più famosi “incidenti” nucleari al mondo sono certamente quelli verificatisi a Chernobyl e a Fukushima. E di entrambi a distanza di molti anni, si parla ancora.
Per il primo, avvenuto nel 1986, non è ancora chiaro il numero di vittime causate. Al contrario è ben chiaro che il prezzo che dovrà pagare l’ambiente è impressionante: per un’area di 2.600 chilometri quadrati tra l’Ucraina e la Bielorussia si parla di contaminazione per almeno i prossimi 24mila anni.
Diversa la situazione per Fukushima, in Giappone. L’11 marzo 2011, un terremoto seguito da uno tsunami danneggiarono la centrale nucleare di Fukushima. Da allora la Tepco (Tokyo Electric Power) e il governo giapponese hanno cercato di far credere di avere la situazione sotto controllo, che non ci sono conseguenze e, per un periodo, avevano addirittura invitato la popolazione a tornare in quell’area. Ma gli ultimi eventi dimostrano che le misure adottate finora sono state dei meri palliativi.
Uno dei principali problemi è legato al tentativo di raffreddare i reattori danneggiati per evitare che il processo ancora in atto degeneri e produca nuove fughe di materiale radioattivo. Per raffreddare gli impianti la Tepco , la società che aveva in gestione gli impianti, sta utilizzando una quantità enorme di acqua, che però, dopo il trattamento, diventa radioattiva e deve essere stoccata in appositi serbatoi. Intorno alla centrale sono stati costruiti quasi mille serbatoi ma, nei giorni scorsi è scattato di nuovo l’allarme: i serbatoi costruiti (e quelli in costruzione) stanno esaurendo lo spazio a disposizione. Nel giro di pochi anni (c’è chi dice nel 2022, ma le stime variano) lo spazio previsto sarà esaurito e sarà necessario decidere come raffreddare il nucleo ancora attivo.
Per cercare di trovare una soluzione, il governo giapponese ha incaricato un commissione di esperti (fra i quali membri dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica: AIEA). Le soluzioni proposte sono state a dir poco singolari: si va da realizzare “iniezioni sotterranee” con le quali scaricare l’acqua radioattiva nel sottosuolo, a vaporizzare l’acqua attualmente nei serbatoi. La soluzione che pare aver avuto maggiori consensi sarebbe scaricare l’acqua radioattiva in mare. Lo stesso Ministro per l’Ambiente, Harada, ha sostenuto questa tesi: “La sola opzione sarà di riversarla in mare e diluirla”. Non si tratterebbe di una soluzione innovativa: sono molte le centrali nucleari costiere che già ora scaricano in mare il trizio, l’isotopo dell’idrogeno presente nell’acqua dopo il trattamento, difficilmente scomponibile e per questo considerato innocuo.
La giustificazione sarebbe che questo isotopo è sì radioattivo ma non pericoloso per l’uomo se non ingerito o inalato. Ma nessuno parla delle conseguenze sull’ambiente. Tanto più che, come sempre quando si tratta di incidenti nucleari, le conseguenze varcano facilmente le frontiere. Per questo nella vicina Corea del Sud, Chang Mari, rappresentante di Greenpeace, ha lanciato l’allarme: “Una volta che quest’acqua contaminata e il materiale radioattivo, il trizio, saranno nell’oceano, seguiranno le correnti marine e si ritroveranno dappertutto, compreso nel mare a est della Corea”. “Saranno necessari 17 anni perché la contaminazione radioattiva sia abbastanza diluita per raggiungere un livello sicuro”, ha aggiunto.
Ma la soluzione proposta dal Ministro Harada pare non piacere neanche al suo governo: il segretario di gabinetto giapponese, Yoshihide Suga, in una conferenza stampa, ha precisato che i commenti di Harada sono “la sua personale opinione”.
Il problema rischia ora di diventare un caso internazionale (ammesso che non lo sia già): il Ministero degli Esteri della Corea del Sud ha convocato l’ambasciatore giapponese per chiedere chiarimenti. Tra i due paesi sono scoccate ulteriori scintille diplomatiche dopo che a gennaio scorso, la situazione era diventata incandescente dopo la vendita di alcune navi da guerra giapponesi a Taiwan.
Ma il governo giapponese ha cercato di calmare gli animi: “L’intero governo – ha precisato Harada – discuterà la questione”. Intanto, però, non é stata ancora comunicata la scadenza entro la quale la commissione incaricata di trovare una soluzione al problema dell’acqua contaminata di Fukushima dovrà pronunciarsi.