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in Scienza e Salute
February 3, 2018
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Fertilità e tumore: oggi aumentano le possibilità di avere figli dopo la malattia

Il 45% dei pazienti maschi e il 50% delle donne riesce a diventare genitore senza ricorrere alla fecondazione assistita

Antonio GiordanobyAntonio Giordano
Fertilità e tumore: oggi aumentano le possibilità di avere figli dopo la malattia
Time: 4 mins read

Fertilità e tumori sembrano due parole quasi inconciliabili. Fino a poco tempo fa, la possibile comparsa di sterilità o d’infertilità secondaria a trattamenti antitumorali ed il timore di possibili danni al prodotto di concepimento non consentivano di fare programmi a lungo termine. A tutto ciò, si associava la preoccupazione relativa alla prognosi ed i tanti i pericoli legati alla malattia che nessuno o quasi, osava mettere al mondo un figlio.
La discussione sugli aspetti legati alla preservazione della fertilità devono essere parte integrante della valutazione specialistica del medico e del colloquio medico-paziente. Sebbene le evidenze suggeriscano che alcuni pazienti preferirebbero ricevere trattamenti anche meno efficaci pur di prevenire complicazioni a lungo termine, molti di loro desiderano non affrontare in prima persona l’argomento fertilità con il proprio medico. Pertanto, tutti i/le pazienti con diagnosi di tumore in età riproduttiva devono essere adeguatamente informati/e del rischio di riduzione e/o di perdita della fertilità come conseguenza dei trattamenti antitumorali e, al tempo stesso, delle strategie oggi disponibili per ridurre tale rischio. Fortunatamente, oggi le terapie sono cambiate: in molti casi è possibile scegliere farmaci che non pregiudicano la fertilità così come si possono adeguare trattamenti radioterapici ad personam, limitando al massimo il ricorso alla chirurgia e ricorrendo, comunque, a tecniche di preservazione della fertilità.

Per comprendere meglio il fenomeno della fertilità associata alla malattia oncologica, un gruppo di ginecologi ed oncologi di Oslo, ha effettuato uno studio retrospettivo i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista British Journal of Cancer. In questa indagine sono state esaminate 184 donne e 269 uomini cui era stato diagnosticato un Linfoma di Hodgkin, in età compatibile con la procreazione (< 50 anni per le donne e < 65 anni per gli uomini), riscontrando che il 45% degli uomini ed il 50% delle donne erano diventati genitori dopo la malattia e, nella maggior parte dei casi, senza ricorrere ad alcuna tecnica di riproduzione assistita. Questi risultati, sembrano dipendere dal tipo di trattamento ricevuto, con probabilità di successo più elevate dopo trattamenti quali la radioterapia o le chemioterapie poco tossiche per le gonadi (ovaie e testicoli); questo effetto era prevalente soprattutto in donne, in età non troppo avanzata. Negli ultimi anni la radioterapia è divenuta molto più mirata cosi da permettere una preservazione delle gonadi; invece, in passato, per alcuni tumori come ad esempio i Linfomi, l’irradiazione coinvolgeva anche le ovaie. Per quanto riguarda i trattamenti chemioterapici sistemici, purtroppo in pratica clinica vengono ancora utilizzati agenti molto tossici come i i farmaci alchilanti (ciclofosfamide, melfalan), o le combinazioni di più farmaci come il cosiddetto protocollo CMF (ciclofosfamide, metotrexate e fluorouracile), usato per i carcinomi della mammella. Questi trattamenti determinano danni tossici a carico dell’ovaio (ad esempio una menopausa precoce) e gli effetti possono risultare reversibili a seconda dei dosaggi di questi farmaci e dall’età delle donne: più è avanzata, maggiori sono le probabilità di avere una mancata ripresa del ciclo mestruale.

Paternità

Tuttavia, sarebbe utile su consiglio dello specialista, attendere un certo periodo di tempo prima di cercare una gravidanza, per ridurre il rischio di tossicità dei farmaci sul feto e di recidiva della malattia. Facile intuire il peso di queste implicazioni al giorno d’oggi dal momento che un numero crescente di donne, si ritrova a pensare al primo figlio ben oltre i trent’anni e che é in aumento il numero di pazienti che scoprono un tumore prima di avere iniziato la propria vita riproduttiva. Tuttavia, una soluzione è spesso possibile; le speranze sono molto più concrete di quanto si pensi, a patto di rivolgersi ad un team di specialisti che sia in grado di considerare ogni aspetto della situazione. Per i pazienti di sesso maschile risulta meno difficile pensare alla fertilità futura, perché oggigiorno le tecniche di conservazione dello sperma sono ormai consolidate, permettendo, quindi, di sottoporsi a terapie antitumorali citotossiche.

Medicine

Questo discorso, invece, non è completamente valido per la donna, anche se vi sono importanti e rapidi miglioramenti in tale ambito. Infatti, attualmente le strade per preservare la fertilità sono sostanzialmente tre: il congelamento degli embrioni, che però, di fatto, in Italia è vietato dalle norme contenute nella legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita; il congelamento degli ovociti, sul quale si stanno concentrando molti studi ed, infine, il congelamento del tessuto ovarico, praticato soprattutto nei paesi in cui la crioconservazione degli ovociti e/o degli embrioni é vietata. Al momento é importante parlare espressamente di questi aspetti già al momento della diagnosi. Decisioni così complesse richiedono la presenza di un team multidisciplinare che comprenda diverse tipologie di specialisti quali l’oncologo, il ginecologo, l’andrologo, il neonatologo in caso di gravidanza e lo psicologo, senza sottovalutare tutte le figure coinvolte nel percorso di cura che interagiscono con i/le pazienti prestando massima attenzione ai loro desideri, in relazione con la tutela della loro salute.

Non dimentichiamo che sta aumentando il numero di persone che ottengono la guarigione di un tumore con aspettative di vita molto lunghe o che vivono in una condizione di cronicità della malattia e, pertanto, le loro esigenze comprendono sempre di più il legittimo desiderio di diventare genitori. Per questo e` doveroso fornire le giuste informazioni in merito all’argomento, per intraprendere insieme ai pazienti una scelta consapevole prima, durante e dopo il percorso di cure.

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Antonio Giordano

Antonio Giordano

Sono nato nel '62 a Napoli dove mi sono laureato in Medicina e Chirurgia. Sono direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine della Temple University di Philadelphia dove vivo con la mia famiglia. Dal 2004 sono professore per “chiara fama” all’Università di Siena. Di me dicono che abbia una certa esperienza nella genetica del cancro e nella regolazione del ciclo cellulare. Di sicuro c'è che i miei studi hanno contribuito alla comprensione di alcuni dei meccanismi alla base dello sviluppo del cancro e al disegno di una nuova generazione di farmaci. Ho all'attivo oltre 600 pubblicazioni e più di 30 premi. Sono appassionato della squadra di calcio del Napoli. www.drantoniogiordano.com www.shro.org Antonio Giordano is Professor of r Biology at Temple University in Philadelphia where he is also Director of the Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine. He is also ‘Chiara Fama’ Professor of Pathology at the University of Siena, Italy. His research interest includes both molecular and translational mainly focused on cell cycle deregulation in cancer. Dr Giordano identified a tumor suppressor gene, Rb2/p130, that has been found to be active in lung, endometrial, brain, breast, liver and ovarian cancers and also discovered Cyclin A/p60, Cdk9, and Cdk10. Cdk9 is known to play critical roles in HIV transcriptions, inception of tumors, and cell differentiation,[3] They also play a part in muscle differentiation and have been linked to various genetic muscular disorders. He has published over 600 articles and received over 40 awards for his contributions to medical research.  www.drantoniogiordano.com www.shro.org

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