Il punto di partenza per la creazione di nuovi medicinali e di nuovi approcci medici in grado di ridurre, se non di sconfiggere, il cancro si chiama ricerca scientifica. Per tentare di raggiungere questo risultato, i ricercatori di tutto il mondo si affidano al metodo scientifico (consistente in cinque diverse fasi).
Il primo passo si chiama ricerca di base. Essa, generalmente, prende le mosse dalla curiosità del ricercatore che, nel laboratorio, tra provette e reagenti chimici, indaga il funzionamento dei geni e delle proteine all’interno dell’organismo umano. In sostanza, in questa fase, il ricercatore della malattia cancerogena mira alla comprensione dei meccanismi di base di trasformazione di una cellula in metastasi e ambisce a fare del cancro una malattia guaribile. Un obiettivo sicuramente difficile e ambizioso, ma non per questo impossibile.
La tappa successiva è rappresentata dalla ricerca traslazionale, che consiste nel verificare la possibilità di trasformare le scoperte scientifiche in applicazioni cliniche. In questa fase, si constata, soprattutto in Italia, il profondo gap tra scienza e medicina; la ricerca biomedica raggiunge risultati in maniera più rapida rispetto ai tempi necessari per portare quei risultati “nel letto del paziente”. Questa lentezza trova la sua giustificazione nelle normative di legge che mirano alla salvaguardia dei pazienti e che sarebbe auspicabile ridurre, soprattutto nel campo delle scoperte oncologiche.
La terza fase del processo scientifico prende il nome di ricerca preclinica. Prima di valutare gli effetti di una nuova cura sull’uomo, i ricercatori devono verificarne l’efficacia e, soprattutto, la sicurezza in modelli sperimentali. In questa fase, i ricercatori effettuano esperimenti in vetro e in vivo, utilizzando provette, geni e cellule coltivate in laboratorio oppure facendo ricorso a modelli animali. Quest’ultima pratica, tuttavia, è sempre meno usata, per motivi etici, ma anche per motivi economici. Durante questo step è molto importante che vengano seguite le cosiddette Good Laboratory Practices, regole ben definite e riconosciute a livello internazionale.
Nella quarta fase, quella della ricerca clinica vera e propria, vengono realmente coinvolti i pazienti per valutare un nuovo farmaco o trattamento. Più in particolare, in questa fase si identifica il farmaco, il trattamento o la modalità di trattamento più efficace per la cura e si raccolgono le reazioni diagnostiche dei pazienti che, in alcuni casi, possono anche accettare di far parte di una “sperimentazione”.
L’ultima fase, la quinta, è la ricerca epidemiologica in cui le attenzioni dei ricercatori e dei medici si concentrano sull’esame della distribuzione della malattia nella popolazione, i fattori di rischio per la sua comparsa e la relazione con le abitudini e gli stili di vita. Tutto ciò si realizza attraverso gruppi di osservazione selezionati e divisi in due, quello dei sottoposti al trattamento e quelli dei non sottoposti, in modo da evidenziarne le differenze. Inoltre, nel campo oncologico, sempre con maggiore frequenza si effettuano studi per indagare il legame tra l’insorgenza della malattia e le caratteristiche genetiche della popolazione.
In Campania, per esempio, esistono numerosi studi che mirano a decifrare in dettaglio il legame tra il cancro e l’ambiente. Da quelli già conclusisi è emerso quanto quel legame sia forte e quanto in molti casi incida sull’insorgenza di varie e gravi forme tumorali in individui esposti alle sostanze tossiche dei rifiuti interrati o incendiati. Purtroppo, nel mondo esistono tante “terre dei fuochi” i cui effetti devastanti necessitano ancora di comprensione da parte della ricerca scientifica che auspico possa essere sempre più finanziata.