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July 22, 2015
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July 22, 2015
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Luci ed ombre della ricerca genetica

Antonio GiordanobyAntonio Giordano
Time: 4 mins read

Negli ultimi decenni, a partire dal progetto genoma in poi, la ricerca in campo genetico ha fatto passi da gigante con lo sviluppo di nuove strategie a scopo diagnostico, prognostico e terapeutico, influenzando anche settori al di fuori della medicina come quelli in ambito forense. Per quanto riguarda la diagnosi e la cura delle malattie sono stati sviluppati test genetici che promettono di svelare, tutti i segreti nascosti nella doppia elica, quantificando il rischio che le persone hanno di ammalarsi. Le applicazioni riguardano soprattutto il cancro, le malattie neurodegenerative e cardiovascolari. Accanto agli innegabili vantaggi della genetica emergono però anche lati oscuri. Molti esperti, ad esempio, già denunciano l’uso incontrollato di test genetici che potrebbero creare allarmismi inutili tra la gente oltre che determinare una diffusione inopportuna di dati personali sensibili. Se ha un senso identificare mutazioni di malattie già in corso o che si svilupperanno certamente alla nascita, come accade in molte malattie genetiche a trasmissione mendeliana (es: fibrosi cistica), bisogna essere più cauti quando si parla di mutazioni che aumentano il rischio di ammalarsi durante la vita senza però alcuna certezza che la patologia si manifesti. E’ il caso, ad esempio, dei portatori di mutazioni del gene della poliposi adenomatosa familiare o di mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2, fortemente associati all’insorgenza di cancro al seno e all’ovaio. Individuare i portatori di queste mutazioni è importante perché le misure di prevenzione possono essere efficaci in molti casi, anche se vi sono alcune differenze: nel caso della poliposi familiare, il ricorso alla colonoscopia con asportazione dei polipi sembra essere molto utile a prevenire il cancro al colon il cui rischio di insorgenza raggiunge anche il 90% dei casi. Nel caso, invece, di geni associati ad un rischio più basso, come BRCA1 e BRCA2 (rischio compreso tra il 50% e l'80%) saperlo è utile perché fornisce l'indicazione di aumentare la frequenza dei controlli, a partire dalla giovane età, sebbene solo l'asportazione preventiva degli organi (mammelle e ovaie), può verosimilmente impedire lo sviluppo del cancro, con un impatto fisico e psichico però potenzialmente drammatico. Ha fatto molto discutere la scelta della celeberrima attrice hollywoodiana Angelina Jolie, portatrice di una mutazione nel gene BRCA1 che ha deciso di sottoporsi ad una doppia mastectomia preventiva e alla rimozione di entrambe le ovaie, una scelta per molti esperti discutibile che non sarebbe lecito proporre come strategia adatta a tutte le pazienti: sarebbe infatti folle proporre questo trattamento come prevenzione di massa per tutte i soggetti a rischio perché implicherebbe mutilazioni fisiche e menopausa forzata anche nelle pazienti che non svilupperebbero mai il cancro.

Quando le percentuali di rischio sono ancora più basse o il gene analizzato risulta associato a vari tipi di malattie, l'utilità dei test genetici è ancora meno significativa perché in tal caso l'analisi genetica evidenzia soltanto un generica suscettibilità ad ammalarsi. È ciò che accade nelle malattie multifattoriali come il cancro, in cui vi sono più geni coinvolti e sono necessarie componenti ambientali affinché la malattia compaia. Quindi la sola indagine genetica approfondita non è esaustiva.

Il problema di una diffusione incontrollata di test genetici è legato anche al rischio di errata interpretazione di un referto perché non sempre chi interpreta i dati ha buone conoscenze statistiche. Ad esempio, un rischio aumentato del 30% di sviluppare un cancro ha un significato molto diverso se la patologia in esame è frequente oppure rara: infatti il 30% in più di un numero piccolo vuol dire un incremento contenuto in termini assoluti che però diventa significativo se la malattia è frequente nella popolazione.

Da un punto di vista bioetico non bisogna trascurare gli aspetti psicologici: è lecito fare uno studio genetico se viene offerta al paziente la possibilità di limitare il danno, altrimenti potrebbe essere addirittura controproducente e non etico. Ad esempio, nel caso delle demenze senili come l'Alzheimer per cui non è possibile prevenire o bloccare l'evoluzione della malattia, un test genetico ha senso soltanto se la persona ha delle particolari necessità, come sistemare questioni che attengono nella vita privata in previsione di una malattia che, tuttavia, potrebbe anche non presentarsi.

Non è da sottovalutare la questione della diffusione di dati sensibili rispetto alla tutela della privacy soprattutto per ciò che accade alle informazioni diffuse attraverso il web: negli Stati Uniti ci sono stati casi eclatanti in cui datori di lavoro o agenzie di assicurazioni hanno consultato in maniera impropria e senza autorizzazione le mappe genetiche delle persone con lo scopo di capire se era “conveniente” assumere o assicurare qualcuno in base al rischio che aveva di ammalarsi.

La legge italiana, su questi argomenti, ha ancora molti limiti: esistono banche dati legali contenenti il DNA di individui che casualmente si sono trovati sulla scena di un delitto e che non sanno che il loro materiale genetico è stato schedato. Inoltre, sono sempre più diffusi, i “furti di DNA” come i casi di fidanzati che fanno analizzare il DNA delle loro partner per verificare che rischio abbiano di ammalarsi. Oppure ci sono casi di padri che, non essendo certi di essere i genitori biologici dei propri figli, procedono con test di paternità senza il consenso della madre.

Quindi, l’impatto delle conoscenze genetiche sulla vita delle persone ha molte possibili conseguenze. Se da un lato esse consentono di migliorare la conoscenza dell’uomo e forniscono nuove speranze per la cura delle malattie, dall’altro rischiano di scoprire fin troppe “carte” e si prestano a numerose manipolazioni, alcune incontrollabili. Del resto non vi è scoperta scientifica che non abbia duplici risvolti perché ogni nuova scoperta, sebbene si presti ad offrire un servizio all’umanità, può sempre determinare l’esercizio di un potere dell’uomo sull’uomo.

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Antonio Giordano

Antonio Giordano

Sono nato nel '62 a Napoli dove mi sono laureato in Medicina e Chirurgia. Sono direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine della Temple University di Philadelphia dove vivo con la mia famiglia. Dal 2004 sono professore per “chiara fama” all’Università di Siena. Di me dicono che abbia una certa esperienza nella genetica del cancro e nella regolazione del ciclo cellulare. Di sicuro c'è che i miei studi hanno contribuito alla comprensione di alcuni dei meccanismi alla base dello sviluppo del cancro e al disegno di una nuova generazione di farmaci. Ho all'attivo oltre 600 pubblicazioni e più di 30 premi. Sono appassionato della squadra di calcio del Napoli. www.drantoniogiordano.com www.shro.org Antonio Giordano is Professor of Biology at Temple University in Philadelphia where he is also Director of the Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine. He is also ‘Chiara Fama’ Professor of Pathology at the University of Siena, Italy. His research interest includes both molecular and translational mainly focused on cell cycle deregulation in cancer. Dr Giordano identified a tumor suppressor gene, Rb2/p130, that has been found to be active in lung, endometrial, brain, breast, liver and ovarian cancers and also discovered Cyclin A/p60, Cdk9, and Cdk10. Cdk9 is known to play critical roles in HIV transcriptions, inception of tumors, and cell differentiation,[3] They also play a part in muscle differentiation and have been linked to various genetic muscular disorders. He has published over 600 articles and received over 40 awards for his contributions to medical research.  www.drantoniogiordano.com www.shro.org

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