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November 6, 2011
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November 6, 2011
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PSICOLOGIA&GIUSTIZIA/ Dubbi ed etica in tribunale

Anna GorrieribyAnna Gorrieri
Time: 4 mins read

 

Di non molti giorni fa la notizia della scarcerazione di due persone accusate di omicidio, condannate in primo grado a circa venticinque anni di carcere e poi assolte per non aver commesso il fatto, in conclusione del processo di appello. Alcune persone mi hanno chiesto che cosa ne pensassi, mi hanno domandato un’opinione sull’accaduto e quale idea mi ero fatta dei titoli apparsi sui giornali che lodavano la bravura degli avvocati difensori o che finalmente giustizia era stata fatta o non fatta. Queste domande mi hanno fatto riflettere e credo ora di poter abbozzare una risposta, perché in questo campo bisogna muoversi più che coi piedi di piombo, la quale risposta non sarà sulla colpevolezza o innocenza dei due accusati prima condannati e poi assolti, ma sulla posizione etica e morale che mi occupa la mente e l’anima ogni volta che un fatto del genere, purtroppo, accade. Il punto principale da cui partire è prendere atto che un fatto tragico è accaduto e che qualcuno lo ha commesso, detto questo, che sembra banale ma lo è meno di quanto si pensi in prima battuta, ne deriva che uno o più soggetti hanno deliberatamente deciso di far del male a qualcun altro, così male, da averne provocato la morte. Questo fatto è raccapricciante per qualsiasi essere umano e chiede giustizia e a questo punto ci si trova davanti a quella divina e a quella umana.
La giustizia umana è organizzata in modo tale che ci sia una parte che accusa e una parte che difende, sulla base di prove che sono state raccolte; il giudice e la giuria stanno sopra tutto questo, ma ne vengono coinvolti in quanto dalle due parti arriveranno elementi che contribuiranno a formare il loro convincimento sulla colpevolezza o innocenza degli accusati. L’imputato dal canto suo può rivelare all’avvocato che si è assunto il compito di difenderlo, la verità su ciò che ha o non ha commesso, dovrebbe farlo, ma non sempre è sincero, quindi l’avvocato stesso a volte, non conosce la verità dei fatti. Comincia la battaglia e l’avvocato di parte deve mettere in gioco le sue migliori qualità per difendere il suo assistito. L’avvocato deve farlo: l’art. 24 della nostra Costituzione cita: “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione…”. L’avvocato poi deve appellarsi al giuramento fatto quando è stato abilitato alla professione, “consapevole dell’alta dignità della professione forense, giuro di adempiere ai doveri ad essa inerenti e ai compiti che la legge mi affida con lealtà, onore e diligenza per i fini della giustizia”. Quale può essere la posizione di un avvocato quindi che si trova a difendere un soggetto accusato di un efferato delitto: da una parte la sua professione gli chiede di fare tutto il possibile per assistere il suo cliente, dall’altra, se pensa o sa che costui è colpevole o innocente, è consapevole di prodigarsi per un soggetto che comunque il fatto lo ha commesso oppure no, nonostante le prove vadano tutte in una direzione e qualche pensiero sul da farsi di certo lo assilla. Il punto è che l’avvocato con la sua bravura, scienza e coscienza può veramente trovare a dare una seconda chance a una persona che in un certo momento della sua vita ha commesso un errore, magari mastodontico ma che forse in futuro mai ripeterebbe, proprio per il fatto di essere stato aiutato e avere avuto l’opportunità di diventare una persona migliore, oppure far uscire qualcuno da un incubo in cui tutto sembra contro di lui, nonostante la tua reale, sostanziale innocenza. L’avvocato, con gli strumenti che ha a disposizione, può tentare di smontare tutte le prove a carico del suo cliente, di fare vedere la realtà, che apparentemente sembra in un modo, a un altro punto di vista e ribaltare la situazione. Può insinuarsi tra le prove, i fatti, le maglie nella giustizia e cogliere una qualche incongruenza non eccepibile dalla controparte che può essere di salvezza al suo assistito. D’altro canto però nessuno può assicurare che il oggetto colpevole eventualmente scagionato serà la seconda chance per diventare migliore smettere di delinquere. Ma a volte è la stessa giustizia a sbagliare e ad accusare e poi condannare persone che in seguito si riveleranno innocenti. E allora? La ricerca della verità, quella oggettiva, è uno dei massimi dilemmi che attanaglia l’umanità da sempre. Nel processo più importante della nostra storia Ponzio Pilato chiese a Gesù: “Che cos’è la verità?”, poi uscendo verso i Giudei disse: Io non trovo il lui nessuna colpa”, ma il seguito tutti lo conosciamo. Bisogna svolgere la professione ai massimi livelli, sia etici che morali che di contenuto per dare in modo di avere a disposizione tutti gli strumenti da usare per il bene del cliente, di quella persona che in quel momento il destino a messo nelle tue mani e l’avvocato quando decide di assumersi la difesa di un caso, credo abbia bisogno di mettere un diaframma tra se stesso, quello che lui stesso pensa e il diritto comunque alla difesa dell’imputato. Sant’Alfonso Maria de’ Liguori lasciò la sua brillante professione di avvocato proprio in seguito ad una grande delusione morale avuta in tribunale dove non riuscì a vedere trionfare la verità per le tante interferenze politiche che ci furono nel caso, fu una scelta.In questo gioco a ping pong tra accusa e difesa quello che addolora di più è che mano a mano la figura della persona offesa va ai margini, sempre più in ombra e là, da qualche parte, fuori dalle aule dei tribunali ci sono famiglie che aspettano l’im-possibile ritorno di persone innocenti e rimpianti per progetti ormai irrealizzabili.

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