Un paniere di parole
un fuoco cucciolo arde come neve a ustionare i pensieri
non è giocare al bambolotto il natale
è contare ferite dopo che occhi appena schiusi
hanno fatto solco nella tua terra di carne
Questi versi di un poeta a me anonimo possono aiutarci a celebrare un Natale veramente più autentico. Natale ha bisogno di piccole cose per essere l’incontro con il Bambino: il coraggio di pensare per ripensarci come donne, come uomini e come cristiani e il calore della tenerezza che riscalda esistenze e cuori con la discrezione, il silenzio e la delicatezza della neve che scende. Natale è lasciarsi accarezzare da quel «Dio disarmato che sonnecchia in un ciuffo di paglia» dinanzi al quale bisogna solo e liberamente arrendere pensieri e cuore, nostalgie e tristezze. Il Mistero di Betlemme è tutto qui: lasciare che quel Dio Bambino venga, con fiamme d’amore, a «ustionare i pensieri» di un’umanità assonnata, pigra e individualista; è inquietudine d’amore, d’autenticità, di risveglio perché il nostro Dio si è fatto uomo e non un «bambolotto» usa e getta; Betlemme è «contare ferite» (pandemia, relazioni segnate, lutti, crisi economica, ambientale, paure…) lasciando che gli occhi di Gesù scavino nella nostra carne, fragile e ferita, santa e trasfigurata, per tracciare solchi di fecondità, futuro e speranza. Natale sia per ciascuno rinascita e riscoperta della bellezza così cantata dall’intramontabile Alda Merini: «La bellezza non è che il disvelamento di una tenebra caduta e della luce che ne è venuta». Ma Betlemme è anche Speranza, quella Speranza che regge da sempre il mondo e l’umanità:
Quando passerà la tempesta
e le strade si saranno placate
e saremo i sopravvissuti
di un naufragio collettivo,
con il cuore in lacrime
e il destino benedetto
ci sentiremo felici
soltanto per essere vivi.
E daremo un abbraccio
al primo sconosciuto
lodando la fortuna
che c’è ancora un amico.
E poi ricorderemo
tutto quello che abbiamo perduto
e finalmente impareremo
tutto ciò che non avevamo mai imparato.
E non invidieremo più
perché tutti hanno sofferto.
E non saremo inerti
ma più compassionevoli.
Ciò che appartiene a tutti varrà di più
di tutto quanto ci eravamo procurati.
Saremo più generosi
e molto più coinvolti.
Capiremo quanto sia fragile
essere vivi.
Suderemo empatia
per chi c’è e per chi se n’è andato.
Ci mancherà il vecchio
che chiedeva un euro al mercato,
non ne hai mai saputo il nome,
eri sempre di fretta.
E tutto sarà un miracolo
e tutto sarà un patrimonio
e rispetteremo la vita,
la vita che abbiamo guadagnato.
Quando passerà la tempesta
ti chiedo Dio, con vergogna,
di rifarci migliori,
come ci avevi sognati.
(Alexis Valdés)