
Trecento pagine presentate e divulgate il 4 aprile scorso, in Vaticano, dal Segretario di Stato di Sua Santità Pietro Parolin. Fratelli tutti è la terza enciclica del pontefice, dopo Laudato Sì del 2015 e Lumen Fidei del 2013, firmata ad Assisi, la città che conserva le spoglie di San Francesco.
Un manifesto dell’epoca moderna che mira a promuovere la fratellanza e l’amicizia sociale, la ridefinizione delle relazioni internazionali in termini di pace e sicurezza, l’abolizione della pena di morte, il rispetto dei diritti con attenzione alle esigenze di ogni prossimo, l’idea di un fondo mondiale contro la fame del mondo, la buona politica e, al contempo, la ferma condanna del populismo e di chi strumentalizza la cultura del popolo, nonché la critica alla globalizzazione e al mercato che detta le regole.
Un’enciclica dal significato attuale, nata durante l’emergenza sanitaria che ha rivelato quanto siamo globalmente interconnessi e allo stesso tempo fragili, e in cui solo il buon senso e la solidarietà internazionale sembrano essere il vero grande passo verso la pace.
Un documento voluminoso ma a detta di molti utopistico, con contenuti peraltro già anticipati dai pontefici precedenti, e affermazioni ‘politicamente scomode’ che hanno dato vita a fazioni differenti e tifoserie da stadio.
In mezzo agli innumerevoli elogi, infatti, non sono mancati gli attacchi, a partire dall’introduzione dell’enciclica per la quale il Papa, per la prima volta nella storia della Chiesa, afferma di essere stato ispirato da una delle massime autorità spirituali musulmane, il Grande Imam Ahmad Al-Tayyib. Un gesto importante, di apertura, di condivisione, ma per molti critici il fatto di non citare il genocidio degli armeni e neppure quello dei cristiani greci e assiri, farebbe apparire tale fratellanza una sorta di sudditanza.

“Un riassunto delle puntate precedenti”, scrive Il Foglio. In effetti, già in Laudato Sì, del 2015, Francesco Bergoglio aveva affrontato il problema della salvaguardia del pianeta; di una nuova prospettiva economica, invece, ne aveva già discusso Benedetto XVI in Caritas in Veritate.
Un’enciclica considerata per certi versi più esclusiva che inclusiva, che sembrerebbe dimenticare il mondo femminile, omissione evidenziata ancor di più dal fatto che la Chiesa, oltre a relegare le suore ad un ruolo di subordinazione, non ha ancora aderito alla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne, adottata dal Consiglio d’Europa nel 2011.
A tutto ciò si aggiunge questa parola maestosa, fratellanza, che in epoca attuale non è più possibile usare senza fare riferimento a sorellanza.
Uno dei richiami arriva proprio dall’economista cattolico Luigi Bruni, editorialista di Avvenire. “Caro Papa Francesco, finché è ancora in tempo per favore cambi il titolo della nuova enciclica. Quel Fratelli (senza sorelle) non si può usare nel 2020. Lei ci ha insegnato il peso delle parole. Il titolo si mangerà il contenuto e sarebbe un grande peccato. L’altro nome di Francesco è Chiara”.
Quel Fratelli peraltro non sembra alludere agli elementi della natura o alla fraternità tradita di Caino. E neppure al prossimo così come concepito dal mondo cristiano. È più che altro una fratellanza nel senso giacobino del termine, ma i principi di libertà, uguaglianza e fraternità della Rivoluzione francese, non possono di certo essere sostituiti dalla fede cattolica, e viceversa.

In nome di questa ambita fratellanza, uomini e donne hanno umiliato e vessato altri uomini e donne che non facevano parte della stessa fratellanza. Una fratellanza (e sorellanza) del genere non è quindi realistica. Pur evocando la celebre parabola del buon samaritano, come fa ancora notare l’economista, chi prestò aiuto al povero viandante non fu il prossimo, il fratello; non furono neppure il sacerdote e il levita, ma il più lontano, addirittura un nemico religioso e politico. Si ripropone quindi l’interrogativo posto da Gesù: chi è dunque il prossimo? E aggiungerei: chi lo è sinceramente nella fratellanza?
Il professor Roberto De Mattei ha accusato il pontefice di aver redatto il suo manifesto ideologico, “la sua professione di fede massonica, e la sua candidatura alla presidenza della Religione universale, ancella del Nuovo Ordine Mondiale. Tanta subordinazione al pensiero mainstream può portargli l’applauso dei nemici di Dio, ma conferma l’inesorabile abbandono della missione evangelizzatrice della Chiesa”.
Tant’è vero che l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, già nunzio apostolico negli Stati Uniti, ha dichiarato che la “dimensione spirituale è totalmente assente” da Fratelli tutti, e che una lettura non approfondita potrebbe indurre a pensare che il manifesto possa essere stato concepito da un massone, non dal Vicario di Cristo”.
Ha fatto discutere infine quel radicale passaggio sulla proprietà o meglio su quel “non intoccabile il diritto alla proprietà privata”. La Storia ci insegna che proprio sulla proprietà privata si siano innescate dinamiche politiche assai intricate e non sempre positive per l’umanità. E non parliamo di sforare i limiti della ricchezza materiale non riconosciuta dalla tradizione cristiana, parliamo di libertà politica che va di pari passo con la libertà economica garantita appunto dalla proprietà privata.
Dulcis in fundo, i malumori generati dall’enciclica, purtroppo, hanno riportato alla luce l’alone di mistero che circonda da sempre il Pontefice.
Qualcuno ha ricordato che durante la dittatura militare guidata dal generale Jorge Videla, lo stesso generale condannato all’ergastolo per aver torturato e ucciso preti e laici cattolici progressisti contrari al governo militare tra il 1976 e il 1983, Bergoglio fosse stato il gesuita più influente in Argentina. Per la BBC, Papa Francesco avrebbe collaborato con il governo militare durante la Guerra Sporca” (la Guerra Sucia), che fu causa della sparizione di oltre 30mila persone, i famosi desaparecidos.
Coincidenza vuole che il processo sia iniziato il 5 marzo 2013, esattamente una settimana prima dell’investitura del cardinale Bergoglio a Pontefice. Una casualità?
A rafforzare questo sottile clima di diffidenza, di nuovo le parole dell’arcivescovo Viganò, che ha denunciato in una testimonianza di undici pagine il coinvolgimento di Papa Francesco nella copertura di accuse di abuso sessuale a carico dell’ex cardinale Theodore McCarrick, spretato lo scorso anno.
Viganò ha inoltre dichiarato che “Vescovi e sacerdoti, abusando della loro autorità, hanno commesso crimini orrendi a danno dei loro fedeli, minori, vittime innocenti e giovani desiderosi di offrire la propria vita alla Chiesa, o con il loro silenzio non hanno impedito che tali crimini continuino a essere perpetrati”.
E conclude che Bergoglio avrebbe “casualmente chiuso un occhio” sulla pedofilia.
C’è quindi una sorta di spaccatura tra ciò che di spirituale viene predicato e ciò che effettivamente dovrebbe essere ‘razzolato’. Una credibilità messa in discussione da carenza di chiarezza, da un’oggettiva mancata ‘pulizia’ della Chiesa, la casa del leader spirituale, mai liberata definitivamente da corruzione, pedofilia e lusso – per non dire lussuria – a cui uomini di Dio non dovrebbero in alcun modo ambire.
Una Chiesa in cui il concetto di “verità” sembra non esistere.
Proprio nelle ultime ore è stata arrestata Cecilia Marogna, manager del cardinale Angelo Becciu, ex numero due della Segreteria di Stato Vaticana. L’accusa è di peculato per distrazione di beni. Nei suoi confronti è stato emesso un mandato di cattura internazionale con l’accusa di aver impropriamente gestito 500mila ricevuti dal cardinale destinati ad operazioni umanitarie in Asia e Africa, e che avrebbe invece utilizzato per l’acquisto di beni di cosmetici, borse e accessori griffati. Una storia non molto lontana da quella di Francesca Immacolata Chaouqui, che si divideva tra i salotti della Roma buona e le poltrone del Vaticano.
Due giorni fa, la prima udienza che ha visto al banco degli imputati don Gabriele Martinelli, accusato di abusi sessuali e minacce su alcuni allievi del Preseminario San Pio X, e don Enrico Radice per favoreggiamento.
E ancora lo scandalo che ha coinvolto monsignor Nunzio Scarano che, con la complicità di Don Luigi Noli, riciclava denaro attraverso lo Ior, la banca del Vaticano. La lista dei beni di lusso, dimore e attici da mille e una notte, acquistati da uomini di Chiesa è ben lunga. Un sistema finanziario imbarazzante che non è stato ancora estirpato, nonostante gli innumerevoli buoni propositi di Papa Francesco. Va da sé che schierarsi contro gli abusi nella propria casa spirituale e poi includere due accusati degli stessi abusi tra i componenti del governo della Chiesa universale, non è sinonimo di coerenza. Averli esclusi dopo le numerose polemiche neppure.
Secondo Newsweek sono stati spesi milioni di dollari per evitare la divulgazione delle notizie e la condanna dei colpevoli. Le stanze del Vaticano non appaiono esattamente come stanze di preghiera, e il primo disallineamento del Papa sembrerebbe partire proprio dall’interno di quelle mura.
La domanda che molti si pongono, me compresa, è questa: quanta distanza c’è tra ciò che si predica e ciò che si pratica? Se lo stesso Papa non ha possibilità di ‘mettere ordine’ nella sua Chiesa, che speranza abbiamo che il suo messaggio possa giungere al resto del pianeta? Che possibilità hanno i virtuosi e indefessi sacerdoti di quelle piccole e spesso difficili parrocchie, di sopravvivere alla mancanza di credibilità della Santa Sede?
La risposta potrebbe essere proprio tra le righe di questa nuova enciclica: la ricerca di una verità indiscussa e condivisa, seppur intimamente, deve comunque prevalere su ogni forma di buonismo.