E’ la mamma la fonte di ispirazione che lo ha fatto innamorare di questo lavoro. Faceva la sarta in casa e i suoi abiti erano frutto dell’artigianalità, precisione e creatività tutta italiana. Diego di Franco, stilista italiano di Vittoria, in provincia di Ragusa, ha scelto il cognome di un conquistador spagnolo per il suo brand.
La moda come professione arriva presto ma non prestissimo. Prima gli studi da perito chimico e scienze politiche mentre continuava incessantemente a disegnare bozzetti. Abiti, borse, accessori, l’attenzione per i dettagli e la passione per quel modo eccentrico ma con stile. Poi il salto con la Maison Dior dove per quattro anni cura gli accessori fino ad essere acclamato nel 2007 “Migliore giovane stilista dell’anno” dalla Camera della Moda Italiana. Per anni Padova diventa la sua città di adozione mentre oggi New York, dove è arrivato lo scorso dicembre, è la sua ispirazione. Con il suo marchio vuole creare uno stile casual chic per le donne newyorchesi che si riconoscono in una visione moderna, elegante, grintosa, che osa senza eccessi fuori luogo.

Debutto newyorchese per il 20 Maggio alla Nap York, insieme alla make up artist Angie Valentino. Al pubblico presenteranno una collezione di T-shirt ispirate allo street style delle gang newyorchesi degli Anni novanta.
“Il mio riferimento iconico è Madonna ma io non mi rivolgo necessariamente alla donna vip quando penso alle mie creazioni. Anzi. Mi ispira la donna che incontri ogni giorno in giro. Una donna eccentrica che vuole conquistare il mondo”.
Hai detto di esserti ispirato a Hernan Cortès quando nel 2003 hai fondato il tuo brand Diego Cortez. Come mai hai scelto proprio questa figura?
“Perchè la storia di questo condottiero spagnolo che ha conquistato il Messico con intelligenza mi ha sempre affascinato. In qualche modo anche la moda è la storia di una conquista dura, fatta di decisioni oculate ma anche di grandi rischi”.
Il tuo amore per la moda e gli abiti inizia sin da bambino, grazie alla tua mamma che faceva la sarta. Come è stato a quella età innamorarsi di un lavoro artigianale che poi hai trasformato in una realtà imprenditoriale?
“Un sogno, una magia. Sono stato sempre affascinato dalla manualità e dal talento di mia madre che faceva la sarta per clienti privati e cuciva gli abiti curandone ogni singolo dettaglio: dal taglio alle cuciture fino alla prova.
Casa mia era ritrovo delle sue clienti che venivano per provare gli abiti e il modo in cui, partendo da un modello si arrivava alla confezione, era per me una magia. Io disegnavo tutto il giorno i modelli che poi mia madre realizzava. Mio zio era calzolaio e anche lui un artigiano che faceva tutto a mano. Questi elementi come l’artigianalità, la creatività appresa nella mia famiglia, in maniera semplice ma autentica, sono le fondamenta della mia storia professionale”.
Hai un diploma da perito chimico e una laurea in scienze politiche. Sognavi di fare il diplomatico ma alla fine, un pò per gioco e per scherzo, hai mandato i tuoi disegni a Dior che ti ha voluto nella sua maison.
“La mia passione per la moda inizia disegnando dei modelli a casa sin da bambino e dopo la laurea in scienze politiche, parliamo degli anni novanta, un mio amico mi invita a mandare alcuni disegni a Christian Dior, quasi per gioco. Ci provo e dopo qualche mese mi chiamano per iniziare una collaborazione rivolta alla linea degli accessori della Maison Dior. Volo a Parigi e da li cambia la mia vita. La collaborazione dura quattro anni, intensi, indimenticabili, durante i quali ho lavorato anche a fianco di John Galliano, allora direttore creativo di Dior”.
Come hai conquistato Dior?
“Allora disegnavo soprattutto borse, orecchini e collane. Sono state le borse e gli orecchini che Dior ha apprezzato molto. Lo stile è quello italiano, originale, creativo e curato nei particolari. Mi piaceva disegnare moltissimo soprattutto le borse con le borchie”.
Nel 2003 fondi il tuo marchio “Diego Cortez” e inizi a produrre le tue collezioni indossate anche da alcuni Vip. Chi erano i tuoi clienti allora e come sono cambiate le collezioni negli anni?
“Mi sono dedicato dal 2003 al total look, pret-à-porter, sia per donna che per uomo. Non erano collezioni sartoriali ma i miei clienti erano principalmente buyers come Altana. Realizzavo capi in pelle, un tessuto che oggi non utilizzo più nelle mie creazioni, e il mio design era molto innovativo, eccentrico ma sempre molto elegante. Sono stato tra i primi a parlare di stile animal e portarlo nelle sfilate.
Tra le mie clienti c’erano anche Nina Moric, Alena Seredova, Asia Argento, Melissa Satta e l’attore americano Clayton Norcross, che il pubblico ricorda per aver interpretato per primo il personaggio di Thorne nella serie televisiva Beautiful.
Oggi uso 100% cotone e materiali sostenibili che rispettano l’ambiente come l’eco pelle. Lo stile si innova e si rinnova e cambia seguendo i tempi ma restano solidi i riferimenti e l’identità di ogni stilista come di ogni artista”.
Poi ti inventi una T-shirt che ha un disegno particolare che diventa un po’ una hit.
“Si tratta di Fish men e Fish woman che si ispira alla lisca con cui il famoso pittore messinese, Giuseppe Migneco, firmava le sue opere.
Ho cercato di dare vita ad una T-shirt iconica e moderna che raffigura un pesce e una lisca e una scritta Before, After. L’ispirazione è lo street style urbano. Una nota ironica che in qualche modo vuole simboleggiare il prima e il dopo il matrimonio. Quel modello è stato indossato dal calciatore Gianluca Zambrotta e da altri personaggi dello spettacolo”.
A dicembre arrivi a New York dove presenterai la tua nuova collezione che si ispira alla dimensione urbana di NY e che a questa città vuoi dedicare.
“Una collezione di T-shirt che si ispira alle gang di New York degli Anni Novanta, gli anni della breakdance, dello street style urbano dove le T-shirt erano un mezzo di appartenenza sociale, propaganda, affermazione di alcuni principi. NY è l’ispirazione massima in questa collezione dove ci sarà anche una T-shirt con la bandiera americana e una stella con il tricolore italiano. Perchè ricordiamoci che NY è italiana. Con questa collezione e con il mio marchio voglio portare uno street style molto glamour e raffinato e rappresentato in una serie di T-shirt comode e versatili da indossare sotto una giacca elegante o un chiodo di pelle. Uno stile urbano chic che coniuga il design raffinato italiano nei tagli della T-shirt e la grinta dello stile newyorchese. La collezione e la serata sarà anche un omaggio agli anni Novanta”.
A quale donna ti ispiri e a che tipo di donna si rivolge la tua collezione?
“Il mio riferimento iconico è Madonna ma io non mi rivolgo necessariamente alla donna vip quando penso alle mie creazioni. Anzi. Mi ispira la donna che incontri ogni giorno in giro. Una donna eccentrica che vuole conquistare il mondo e non solo gli uomini”.
Le donne americane hanno spesso uno stile diverso da quelle italiane. In che modo pensi di conquistarle?
“Loro amano uno stile comodo, casual, non vogliono soffrire come le donne italiane quando indossano degli abiti o delle scarpe. Per questo la donna newyorchese troverà nelle mie creazioni un mix di stile adatto alle sue esigenze quotidiane, pratico ma sopratutto molto chic ed elegante. Il mio sarà uno stile casual chic”.
Dove sta andando la moda oggi secondo te?
“La moda fast ha rovinato l’artigianalità del Made in Italy e abbassato la qualità. Spero ritorneremo a quel lavoro artigianale delle sartorie italiane. Quello per cui siamo conosciuti in tutto il mondo”.
Milano, Parigi e New York sono le grandi capitali della moda, e sono città dove hai vissuto. Come hai vissuto l’esperienza professionali e come la moda viene vista in queste città?
“La moda francese è sopratutto alta moda, quella delle lavorazioni a mano, artigianali mentre noi facciamo una moda che è anche casual. In Italia, la percezione che si vive a livello sociale del fashion è quella di adattarsi a certi canoni che se non rispettati finiscono per criticare chi indossa un capo più eccentrico o non in linea a certi riferimenti. Gli italiani, grandi creativi e talentuosi, abbiamo il limite però spesso di non osare sia come stilisti che come consumatori di prodotti di abbigliamento. Storciamo il naso se qualcuno secondo noi si veste in maniera eccentrica o strana. A New York, capitale delle tendenze, si osa, si sperimenta. Nessuno ti guarda neanche se vai in giro nudo”.
Per questo sei arrivato a dicembre nella Grande Mela per reinventarti e prendere ispirazione.
“In Italia mi consideravano spesso eccentrico ma io sono stato anticipatore per alcuni versi e in alcuni contesti. Non so cosa succederà a New York, per il momento la città è fonte di ispirazione quotidiana semplicemente osservando le persone in ogni dove. Presenterò questa collezione alla New York Fashion Week a Settembre mentre mi preparerò ad una nuova collezione di capi per settembre 2019 grazie alla collaborazione di Angela Valentino, che viene dal mondo della moda. In lei ho trovato una partner artistica perfetta. Sarà lei a disegnare i miei bozzetti .
I luoghi di New York che più ispirano la tua visione della moda?
“Lo street syle molto urbano di Harlem e lo stile degli uomini di affari nella zona di Wall Street. Due posti agli antipodi ma entrambi molto interessanti. Anche se per me il centro creativo e di ispirazione per eccellenza sono i locali di Brooklyn”.
I tuoi riferimenti più importanti a livello professionale?
“Nessuno in particolare oltre mia madre. Agli inizi mi affascinava molto Emilio Pucci, l’inventore delle stampe. Apprezzo sempre Giorgio Armani, icona di stile ed eleganza. Il primo a portare il livello sartoriale in una scala più industriale. I suoi tailleur sono un must”.
C’è anche la Sicilia, la tua terra, che entra nelle collezioni se non sempre in maniera eclatante.
“La Sicilia è la mia fonte primaria, come sensazioni, estetica. Nelle mie collezioni viene rappresentata dal nero, un colore fondamentale in Sicilia che rimanda al lutto. Sarà proprio la mia Isola ad ispirare la mia prossima collezione che voglio presentare nel 2019 durante la NY Fashion Week . Saranno capi dove la tradizione del tombolo siciliano, del ricamo, del cinquecento avranno la loro massima espressione”.