Basta che arrivi un piatto. Che sia a Roma, a Milano, a Manhattan, a Boston, o a Los Angeles. Un piatto qualsiasi ormai. E zac, parte l’operazione. Come un automatismo irresistibile. La mani scattano, come quelli dei pistoleri nel west quando c’era il duello davanti al saloon, e vanno in tasca ad estrarre il cellulare. Due “sditazzatine” sullo schermo per attivare la funzione camera e poi le mani si protendono verso l’alto e il cellulare punta sul piatto, come fosse un aereo in ricognizione.
Ditino e fotina! Un trionfo. Il gesto, se il tavolo è da otto, può essere eseguito anche da tutti e otto contemporaneamente. E otto telefonini, sospesi in cielo sopra il tavolo, immortalano l’orrenda sbobba, ricamata e arzigogolata da sapienti manine di chef, convinti che un piatto prima che buono debba essere bello. Ma non è assolutamente vero, perché viene ormai fotografato di tutto, anche roba orribile a vedersi. Boazze di friggione fumante, tagliatelle su cui è piovuto un quintale di ragù, fette di carne intingolate da sughi tremendi, hamburger grondanti di ketchup, budini tremolanti (che infatti nella foto vengono mossi).
Certo quando arriva l’installazione da Arte Contemporanea, cioè “Il benvenuto dello chef” (quel caghino che servono prima di iniziare) si fotografa più volentieri. Così poi lo si manda subito agli amici invidiosi che sono a casa con un brodino, uno stracchino o una mela cotta, oppure lo si mette immediatamente su “Feizbuk” o su “Istagra” così che tutti gli amici o i curiosi ne possano beneficiare. Ormai vengono postate più foto di piatti che tramonti, citazioni spiritose, gatti o piedi (la foto dei piedi, con sullo sfondo il mare, è stato un grande classico fin dall’inizio dell’era dei social). Le foto inviate vengono di solito accompagnate da commenti tipo: “Guarda mo qui!”, oppure “Che buono!”, o “E da domani dieta!”.
Ma perché? Perché gli altri amici, o presunti tali, devono essere i destinatari di una foto di roba da mangiare? Quale beneficio ne possono trarre? Quale piacere può provocare a un poveraccio che è a casa o in un altro posto e riceve sul telefono un piatto di maccheroni al ragù? O una zuppa inglese? O una chela di granchio con la maionese? Uno cosa deve fare? Deve ridere? Gli deve venir fame? È un mistero, ma a qualcosa servirà pure.
C’è gente comunque che ha la rubrica delle foto piena di foto di piatti e di impiattamenti. Tra l’altro sono foto non facili da scattare bene e infatti, siccome sono fatte con l’occhio del dilettante, risultano spesso incomprensibili, non si capisce niente di cosa c’è nel piatto, solo un grumo di colori, solo un grande senso dell’unto che impera. Infatti quelle dei piatti sono fondamentalmente foto unte. Ma sta di fatto che, al ristorante, la moda di fotografare tutto quello che arriva sul tavolo è dilagante.
Per una cena si possono scattare anche una cinquantina di foto perché, dopo quelle dei piatti (se ne fanno sempre cinque o sei perché non si sa mai) ci sono quelle dei selfie, con tutti che si sporgono verso tutti. E queste sono le famose foto di sbieco o di “giangone” che dir si voglia, perchè per entrare nell’inquadratura quasi tutti si piegano tragicamente verso il prossimo. E lì via con le faccine e le bocche chiuse a bacio, per non dire delle solite linguacce che, non si sa perché, si fanno nelle foto.
Gente che si alza che corricchia dall’altro capo del tavolo per fare la fotina e poi il classico “Dai, me le giri?”, che provoca un fenomeno curioso: tutti a quel punto, isolandosi, si ripiegano sul loro smartphone e provvedono all’invio. WhatsApp lavora più del cameriere e del cuoco. Spediti foto e videini, la cena può proseguire fino all’arrivo del prossimo piatto. C’è anche qualche foto del conto alla fine, che viene poi regolarmente pubblicata, con polemica annessa sul prezzo pagato e i commenti annessi: “Mai più”, “Che botta!”, “Non mi vedono più”, “Alla faccia della tradizione”. “Mastercess!”, eccetera.
Comunque le foto dei piatti sono la nuova moda, ma siccome le mode cambiano in fretta, pensiamo, con terrore, quale sarà la prossima cosa che ci scateneremo a fotografare. Piano, per favore, ragazzi. Pianoooo!