Succede tutto a New York, 50 anni fa, sono tutte storie vere, ma sono anche storie di ieri e di oggi. C’è Holly, una transessuale che viene da Miami, che ha attraversato gli Stati Uniti in autostop e lungo la strada si è depilata le gambe per diventare una lei…
C’è Candy, transessuale di Long Island, carina con tutti, che non perde mai la testa, neanche quando la muove avanti e indietro con i clienti. E c’è Joe, detto “Little Joe”, un modello e prostituto che non lavora mai gratis.
Se li guardi, questi personaggi t’invitano: “Ehi tesoro, fatti un giro sul lato selvaggio…”.
Si va avanti con l’omosessuale Sugar Plum Fairy e con la strafatta Jackie, che morirà anni dopo per un’overdose di eroina. A completare il quadro ovviamente ci sono le ragazze nere, che nella New York libera e aperta condiscono le giornate canticchiando: “Doo, doo, doo, doo-doo-doo-doo, doo, doo…”.
La storia è tutta qua, ma la voce e il talento di Lou Reed la trasformano in un film che non finisce mai di bucarci dentro. L’atmosfera è metropolitana, sembra di stare davanti al finestrino sui binari di un treno che scorre lento, in giro su due accordi che sono l’inizio e la fine di ogni storia. Accordi che però si ripetono all’infinito trascinati da un basso caldissimo e suadente, che di fatto è la magia della canzone e che potrebbe incantarti come un serpente se non arrivasse ancora lei, la voce sincera e amica di Lou Reed, a ricordarti che le storie sono tante e non finiscono mai, se le vuoi vedere.
È proprio Lou Reed che dice: ”Ho sempre pensato che sarebbe stato divertente far conoscere alla gente personaggi che forse non avevano mai incontrato prima, o che non avrebbero voluto incontrare”, (Victor Bokris, Transformer: The Lou Reed Story, 1997).
L’invito provocatorio non è certo quello a “farci” un giro, ma a guardare realmente, ad ascoltare con empatia, senza giudizio, cercando di comprendere più a fondo la diversità e uscendo da quella famosa zona di comfort che ci dona quiete sul lato di qua, quello comodo, perbene ed educato. Il sax finale della versione originale è bello, intenso e troppo breve, giusto il tempo di lasciarci aperta una nuova prospettiva: “venite – sembra dirci- venite a conoscere il blues, il jazz, le altre note della vita…”.
Oggi c’è l’Ukraina, ci sono i femminicidi, c’è la Libia dove la guerra continua dal 2011, ci sono migranti che sognano di prendere il largo, pur sapendo che potrebbe essere l’ultimo sogno e l’ultimo mare in cui annegare, ci sono i diritti negati in Iran e i calciatori che approfittano di questo scomodo mondiale nel Qatar sperando nelle telecamere di tutto il mondo, perché raccontino le vere storie di Holly, di Joe, di Jackie e dei tanti altri che per vivere o essere semplicemente se stessi devono scappare, combattere, rubare o prostituirsi, solo perché in realtà non si sono mai venduti.
“Walk on the Wild Side” fa parte di “Transformer”, secondo album solista di Lou Reed dopo la sua uscita dai Velvet Underground, album di grande successo grazie anche alla collaborazione e produzione di David Bowie.
Non occorre dire altro, la canzone è talmente famosa che mi piace qui segnalarvi questa cover di Alice Phoebe Lou, per un racconto giovane e diverso, al femminile.
Ovviamente per i nostalgici metto qui anche il link dell’originale cantata da Lou Reed.
Buon ascolto e buona empatia.