“Scuoti la colita, muovi la papita, sposta la cichita, muovi la colita manita rica…”. Ma anche “Vamos a bailar”, per non parlare del “Vamos a la playa” che lessa gli zebedei al modo da un secolo.
Sembra che in estate non sappiamo vivere se non ci sentiamo a Cuba o da qualche parte del sudamerica. In qualsiasi bar, baretto, discoteca, chiosco, caffè, o posto dove ci siano due casse e una sorgente sonora, la proposta musicale (imposizione in realtà) è solo e inesorabilmente quella. Basta che parta un pezzo cichito, colito, papito, beso beso amor, aria, me gusta e subito tutti scattano, specie le donne, e cominciano a scuotere i panieri (dove per paniera si intende quella parte mobile del fondo schiena che impazzisce automaticamente appena parte una roba cubana).
Ma non abbiamo un ritmo noi? Siamo così lessi, così immobili, così inchiodati nei fianchi e nelle terga? L’italiano se non si sente in sudamerica (anche a Torre Pedrera), non balla. Certo, cosa ti elettrizza sulla pista se sei a Cuneo, o in una discoteca di Casorate Sempione? Ci vuole la colita, la movida, il guaranà, i besos o comunque qualsiasi cosa finisca per esse.
Ordiniamo al ristorante una pastas, chiediamo un dentifricios, telefoniamo all’amigos e se prendiamo un aperitivos e siamo nella “movida”. Se uno dice: “C’è della mossa?”, viene spernacchiato e tacciato di essere fuori luogo. Perfino i telecronisti di calcio, che non potendo scuotere la colita e muovere la cichita, non vedono l’ora di chiamare un centravanti “falso nueve”.
Ma perchè? Di dove sei? Siamo in Italia, giocano due squadre italiane e che bisogno c’è del “falso nueve”? Falso nove non va bene? È troppo provinciale? Troppo da poveretti? Forse sì. E trovare un ritmino italiano da scondinzolare sulle spiagge, magari per il prossimo anno? Non ce la facciamo? Una batteria, due bonghi, qualcosa? Altrimenti teniamoci il “vamos a la playa oh oh oh oh” per tutta la vità. E qualcuno, nel frattempo, si è sfrantatos los marrones.