Quella mail inviata a un contatto segreto, il messaggio mandato di nascosto a una persona che in teoria non si dovrebbe contattare, la telefonata fatta sussurrando per non farsi sentire dai vicini.
Tutti questi sforzi sono inutili e le ultime notizie in merito alla pericolosità del web lo dimostrano. Internet non è un luogo sicuro, perché rimanendo gratis, eccezion fatta per il costo irrisorio della connessione, dà per scontato che il guadagno venga fatto sugli utenti. Vale sempre il detto: se non paghi il prodotto, il prodotto sei tu.
Questo discorso, applicato ai social network, è ormai di dominio comune e, nonostante qualche reticenza iniziale, ora gli utenti sembrano averlo metabolizzato. Ci si iscrive su Facebook, Instagram o Twitter e si è coscienti di essere continuamente profilati. Lo spiega bene il documentario “The social dilemma”, ma chiunque, con un po’ di attenzione, può facilmente rendersi conto di come funzioni il meccanismo.
Stessa cosa si può dire per i famosi “cookie”. Quelli che tutti, entrando in ormai qualsiasi sito internet, accettano senza aver mai letto pagine su pagine di informative sulla privacy. Il tempo da spendere per informarsi è troppo e la voglia, diciamocelo, troppo poca. Le informazioni sono poi tutte contenute in pagine fittissime scritte a caratteri microscopici, che rendono la lettura noiosa e incomprensibile.
È infine risaputo che la cronologia di un dispositivo connesso alla rete possa essere facilmente rintracciata da chiunque abbia basi di informatica. Insomma, su questi temi c’è ormai una consapevolezza piuttosto consolidata.
Il discorso cambia, però, se ci si sposta sugli effetti personali. Nel 2013, il “caso Snowden” ha fatto luce su cosa fosse esattamente il controllo governativo sulla vita dei cittadini.
Edward Snowden, un ex consulente dell’Nsa (L’agenzia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti), otto anni fa ha rivelato ciò che le autorità si auguravano non venisse mai scoperto. Amplificato dai grandi giornali americani, Snowden ha svelato inizialmente la raccolta dei tabulati telefonici di milioni di cittadini, per poi disegnare meglio i contorni e definire i dettagli di un programma di sorveglianza di massa chiamato Prism. A partecipare erano tutte le multinazionali del virtuale: Apple, Facebook, Google, Microsoft, PalTalk, Skype e Yahoo.
È il periodo in cui, allo Studio Ovale della Casa Bianca, siede Barack Obama ed è proprio lui a permettere alla Nsa di controllare per più di due anni anche i metadati delle email. Una concentrazione di dati personali messi in un cassetto e utilizzati in caso di necessità.
Certo, l’idea che ogni mail, comprese quelle scritte per organizzare questo articolo, siano a disposizione di un gruppo di persone che in qualsiasi circostanza potrebbero decidere di leggerle, rende l’utilizzo della rete uno spiacevole disagio. Ci si può consolare pensando all’utilità di un compromesso del genere. La polizia federale australiana, con l’appoggio dell’FBI, ha smantellato nelle scorse ore una rete malavitosa dopo aver ottenuto l’accesso a milioni di messaggi scambiati tra organizzazioni criminali.
Se la privacy avesse vinto, probabilmente questi arresti non sarebbero mai arrivati. Occorre dunque fare una valutazione di costi e benefici. Meglio che leggano anche i miei messaggi innocenti, o che non leggano nulla e quindi nemmeno quelli inviati da pericolosi delinquenti che con le loro trame potrebbero danneggiare anche me? È un dubbio che poco ha a che fare con la legge e molto con la moralità. Simile, per certi versi, alla questione sollevata attorno al “caso Brusca”.
Internet è un mezzo meraviglioso, una rete infinita di sapere che ha rivoluzionato la vita quotidiana della gente. Anche i più conservatori dovranno ammetterlo. Senza il web, si viveva peggio. Come tutte le cose ha però anche i suoi lati oscuri, frequentati da chi, di tecnologia, se ne intende parecchio.
Siete disposti ad accettare il rischio?