Bei tempi. Bei tempi quando si correva a rispondere al telefono. A volte ti sfuggiva dalle mani, quand’era quello a muro, e la cornetta si salvava solo per il filo a groviglione. Bei tempi quando, anche nei primi tempi dei cellulari si rispondeva subito, al volo, in qualsiasi condizione fossi, in macchina, a piedi, al ristorante, in riunione, al cesso.”Prontochiè?”, tutto attaccato, come un’unica parola. Non si vedeva chi fosse sul display, ma anche se si vedeva chi era si rispondeva. Fiduciosi, entusiasti.
Adesso, benvenuti nell’era in cui nessuno risponde più al telefono. Suoni a vuoto, continui, lunghi, senza che succeda nulla. Non si risponde. Si lascia squillare. E se devi fare, esempio, quattro telefonate, ti succede che per quattro volte sei perso nella ionosfera, nel nulla dei segnali a vuoto. Cellulari che squillano, che brillano, che ronzano invano, cercando di richiamare l’attenzione del proprietario. Le chiamate vengono sistematicamente ignorate.

E le scuse sono sempre: “Non l’avevo visto”, “Non l’avevo sentito”, “L’avevo da un’altra parte”, “Ero in moto”, “Ero in riunione”, “Stavo trombando”. In realtà la scena è quasi sempre quella che ho visto mille volte al bar. C’è uno che fa colazione, a un certo punto, avvertendo evidentemente un fremito nelle braghe (o quei suoni di terrificanti suonerie con pezzi musicali improbabili e di una bruttura spaventosa), prende il telefono, dà un’occhiata al display, fa una smorfia di disgusto, come avesse visto una cacca, e lo rimette in tasca.
Riprendendo l’espressione di prima e tornando a fare colazione o a parlare normalmente, se è con qualcuno. Questo è il nostro destino, il destino di noi “chiamanti” intendo. Essere guardati, schifati e messi via, nel binario morto del suono a vuoto. A volte va ancora peggio. Colui che prende il telefono e guarda chi è sul display fa : “Eeeeh, macchè macchè macchè!”, e mette via. Oppure: “Eh sé. Neanche morto!”. Come dire, non ti rispondo neanche se vien giù l’universo.
Ormai quelli che rispondono alla prima telefonata sono animali rarissimi, da WWF. La chiamata è diventata come un avviso. Guarda che ti ho chiamato. Poi deciderai tu se e quando richiamare. Ma avanza una nuova tendenza: non richiamare nemmeno più. Cioè tu ricevi una telefonata, non rispondi e non richiami. Bello no? Ebbene, funziona così nell’80% dei casi.

“Se ha così bisogno mi richiamerà poi lui”, si dice, dall’alto del proprio piedistallo di non rispondente (la presunzione da telefono è una bruttissima malattia). E se per caso uno risponde? Allora scatta un meccanismo molto interessante. La persona risponderà e, se è in compagnia di qualcuno, dirà: “scusa un attimo”. Poi si allontanerà e inizierà un percorso di chilometri col telefono incollato all’orecchio. Non si sta più fermi a telefonare.
Si cammina, si passeggia. Si percorrono distanze impensate, come sonnambuli. Se più tardi chiedi a quello che chiamava che tragitto ha fatto, non saprà mai risponderti. E’ un deambulare cieco, senza senso, fatto di sterzate improvvise, di dietrofront, di stop. Se a uno squilla il telefono sulla Lexington al 72 per esempio e risponde, fa: “Un momento”, poi parte e non lo vedi più.
Dopo un po’, quando riattacca, è nel Village e deve prendere la metro. Una volta mi è capitato. A Bologna. “Scusa un attimo” (ero in Piazza Maggiore con un amico), ed è partito. Dopo un po’, preoccupato perchè non lo vedevo più, sono andato a cercarlo. Niente. L’ho ritrovato un mese dopo. A Modena. Si guardava intorno spaesato. “Cavolo!”, mi ha detto. “Mi sono distratto a parlare e…non ho più capito chi ero e dov’ero”. Gli ho offerto un tè caldo. E’ stato subito meglio.