Dopo una gestazione di ben ventidue anni esce nelle librerie Le Ripetizioni, il primo romanzo del sessantenne Giulio Mozzi, libro che entra subito come di diritto nella lista dei finalisti al premio Strega 2021. Uscito per Marsilio editore, il romanzo ha un titolo innocuo, così come innocua appare la copertina che raffigura il volto di un giovinetto dipinto dalle mani della cerchia del Giorgione e che potrebbe per questo farlo sembrare un romanzo storico.
Se invece ne leggiamo il contenuto e pensiamo al fatto che in libreria avrà la fascetta gialla che lo indicherà fra i candidati al premio e per questo considerato meritevole più di altri di essere acquistato e letto, veniamo assaliti dalla paura.
In un mondo in cui, soprattutto i giovani, oggi più di ieri, sono facilmente influenzabili quando non inclini all’emulazione, alla violenza gratuita, alla pornografia più aberrante, ci viene da pensare che su opere di questo tipo, dal momento che la libertà di espressione deve rimanere il baluardo più importante, andrebbe forse apposto un bollino rosso, proprio come si fa da molti anni ormai, con i film, i programmi TV, e quei siti che richiedono la maggiore età per accedervi.
Senza contare lo sgomento per una candidatura inspiegabile ad un premio come lo Strega, non solo per l’oscenità del testo, ma per uno stile letterario che vorrebbe sembrare originale o incisivamente personale, i capitoli vanno avanti e indietro nella storia, nella vita e nella mente di tutti i personaggi, ma che è in realtà non è di nessuna rilevanza, originalità, e tantomeno bellezza.
Giulio Mozzi, scrittore di racconti, già nel 1998 da alle stampe “Il male naturale”, libro per cui venne indetta un’interrogazione parlamentale perché inneggiante alla pedofilia, nell’ultimo racconto dal titolo Amore infatti, veniva minuziosamente descritto un rapporto sessuale fra un adulto e un bambino; il libro sparì dalle librerie e venne ristampato solo tredici anni dopo dalla casa editrice Laurana per cui lavora lo stesso autore.
Ne “Le ripetizioni” Mozzi scrive che il tempo è una somma di infinite ripetizioni con minime variazioni, e infinite minime variazioni conducono alla cancellazione di tutto, presto o tardi, ma in realtà, qui, a ripetersi è solo lui che torna a scrivere pagine aberranti che lasciano il lettore sgomento per il male espresso, male che lo scrittore continua a considerare naturale in ognuno di noi e quindi senza colpa. E senza colpa viene presentata la dipendenza di Mario, il protagonista, da Santiago, che nel libro rappresenta il diavolo, il male assoluto.
La sua sottomissione al giovane è tale da spingerlo a vivere una doppia e poi tripla vita nella quale da una parte si accinge a sposare Viola, una donna apparentemente normale ma pervasa dal male anche lei, mentre dall’altra si dedica con il suo amante a pratiche sessuali che lo vedono impegnato a sgozzare nella vasca da bagno, dopo averli violentati, cani randagi e infine nello stesso rito con la stessa pratica anche una bambina, forse la sua stessa figlia, senza che questo scalfisca niente dentro e fuori di lui.
Nella sua terza vita si sposta in una città diversa dove vive un’altra relazione malata con una ex compagna di liceo, dalla quale ha forse avuto una figlia per cui non prova alcun sentimento o senso di responsabilità. Mario stesso dice nel libro: la mia vita è insensata come quella di tutti e di chiunque.
Lo scrittore, infatti, ci presenta un personaggio i cui ricordi e la cui esistenza possono essere sia reali che immaginari, ma soprattutto preda dell’atarassia. Il protagonista è un uomo senza passioni, senza carattere, senza mai una sbavatura né di amore, né di rabbia, ci appare lui stesso spettatore di una vita che gestisce con lucida freddezza, calcolo e linearità, proprio perché come lo vede Bianca, l’ex compagna di scuola e madre della bambina, è un uomo vuoto, senza spina dorsale, dal quale lei stessa non riesce a staccarsi perché malata di mente, Santiago perché ama il potere che ha su di lui, Viola semplicemente perché dopo l’orrore vissuto in gioventù vede in Mario una possibilità di normalità.
Nessuno, a parte Santiago immagina che possa essere capace di tutto quel male vissuto con assoluta naturalezza. Mozzi non affronta il tema del male da un punto di vista morale, etico, filosofico, non ne analizza la banalità o la stupidità, lo fa semplicemente scaturire tutto dal corpo. Il corpo è al centro del male assoluto, del male peggiore, del male terreno.
Lo scrittore lo separa nettamente dall’anima che fa risiedere in solitudine al centro delle scapole, là dove la mano non riesce ad arrivare. I pensieri fanno casa nel cervello invece, separa così nettamente le tre cose. Per Mario la vita non ha senso e la vive di conseguenza, senza la speranza di trovarne, scrive Mozzi, e l’unica cosa possibile da fare è infatti rinunciare a trovarne uno, e come fa il protagonista immaginare di essere morto o di vivere vite che non esistono e non ha mai vissuto.
Lo scrittore sembra autoassolversi, ed è forse il motivo per il quale ha rotto il lungo silenzio tenuto sull’argomento “male naturale”, quando scrive che le uniche persone responsabili di ciò che fanno e per questo soggette a giudizio morale, sono quelle che non hanno un destino, e quindi le persone comuni. Un artista, di contro, ha un destino e non è e non deve essere ritenuto responsabile di ciò che fa, e sottoposto a giudizio. Io racconto storie, dichiara lo scrittore in diverse interviste, Il mio scopo non è affermare qualcosa che abbia valenza universale, non è suscitare indignazione, non è educare e istruire. Il mio scopo è: far arrivare chi legge fino in fondo alla storia.
Ci sembra una posizione troppo comoda da tenere anche se intelligentemente in controtendenza con questo presente in cui ogni “artista” o pseudo tale, che si tratti di uno scrittore, di un cantante, di un attore e così via, convinto di avere una responsabilità sociale si arroga il diritto di dire ciò che vuole, quando vuole, dove vuole, soprattutto se appoggiato dai poteri forti. Qualche critico letterario ha infine pensato di paragonare Giulio Mozzi ad Aldo Busi, anche per la vicenda giudiziaria analoga che è poi l’unica cosa che li accomuna.
“Sodomie in corpo 11” uscito per la prima volta nel 1988, libro cult di Aldo Busi, genio letterario italiano sul quale si tengono corsi monografici in tutte le Università del mondo, fu accusato in parlamento di oscenità e lo scrittore fu chiamato a processo, cosa che invece non è successa a Mozzi, e assolto in formula piena. Il titolo del libro di Busi infatti era già di per sé indicativo, non era né innocuo, né ambiguo, o passibile di inganno; chi decideva di comprarlo sapeva che non ci avrebbe trovato da leggere delle preghiere, e l’unica violenza descritta nel libro è quella subita dallo scrittore in gioventù, uno scrittore che ha sempre, con forza, condannato la pedofilia e capace di scrivere pagine sentimentali di una profondità insondabile.
Della nipote Adele scriveva nel libro incriminato: Adele ha due anni, è mia nipote. I miei amori sono infelici, penso di sporcarla per il solo fatto di pensarla. Avere nella libreria “Sodomie in corpo 11” così come gli altri libri di Aldo Busi significa avere una libreria intera, universale, aperta su ogni sfaccettatura della vita e dell’animo umano.
Avere “Le ripetizioni” di Giulio Mozzi, crea un disagio mai provato per nessun altro libro. Mozzi cerca con il suo romanzo non romanzo di imitare una formula, quella del romanzo che si fa libro, che in Italia è nata con Aldo Busi, e con il suo tornare a colpire in faccia il lettore portandolo a sanguinare, cerca di lasciare di sé una traccia che altrimenti lo riconsegnerebbe all’oblio.
Solo chi non trova ciò che cerca da luogo a una storia, scrive, speriamo che Giulio Mozzi allora la trovi presto la sua storia, finalmente, in modo che possa tornare a fare solo ciò che in tutti questi anni ha fatto, dicono, con grandi risultati e grande fiuto letterario, ossia l’editor e il talent scout.