È mai esistito il passato nel quale abbiamo vissuto? Le sensazioni che rimangono sono difficili da decifrare. Un impasto di pensieri e percezioni, racchiuso in un perimetro limitato, il tempo, che però l’età e gli anni dilatano sempre più. Ce lo portiamo appresso, compatto e indistinto, e quasi ci travolge. Poi in certi momenti si dilata, trasfigura, perde consistenza, non si propone più nell’immaginario con la stessa nettezza. Diventa leggero, evanescente. Il passato, dimenticato, è dunque passato? C’è persino da dubitare che sia accaduto nella vita di prima.
Il passato, oltre a consumarsi in sé stesso, oltrepassa l’orizzonte, il confine che lo racchiude, e invade il presente sino a spingersi oltre. A far debordare il magma, è la sovrabbondanza che la costituisce, l’essere somma di elementi accumulati. Fino a diventare troppi. Impossibili da contenere, lasciandoseli alle spalle. Perciò tracimano. Cose di varia natura e anche importanza, tra loro slegate e eterogenee, inanellate strada facendo, accantonate come se un giorno, tutte o ciascuna, potessero tornare utili.

Con l’unico intento di conservare, ci siamo distratti nell’immediato. Non abbiamo prestato attenzione a quanto accadeva di giorno in giorno. Abbiamo trascurato il presente, convinti che non sarebbe durato a lungo, che fosse destinato a consumarsi in sé stesso. Per lo scarso pregio, la pochezza. O l’aspettativa di altro che ne prendesse il posto. L’oggi inteso come intervallo temporale senza significato proprio, momento di passaggio strumentale rispetto al nuovo.
Il nuovo in attesa di accadere è prorompente e vitale, proprio perché nuovo, altro da quanto conosciuto e sperimentato. Un lungo viaggio ci spinge sempre oltre. È capace di incarnare lusinghe, attirare curiosità, muovere interesse. Prima di essere a sua volta abbandonato, messo da parte, in preparazione di altro. Un continuo avvicendarsi di cose, alternanza ciclica di vecchio e nuovo, che non permette al presente di nascere e svilupparsi.
Poi è una folata di vento a riproporci quell’odore, o quel suono; il caso a farci ricordare quel verbo, a ripresentarlo nella sua concretezza e vitalità. Si risvegliano d’improvviso i ricordi, sfilacciati e terribilmente corti. Sono solo frammenti recuperati da un confuso passato. Corrispondono ad istanti di cui non sappiamo dire quale sia stata la durata, sicuramente più ridotta rispetto alla percezione sotto traccia, eco di un vissuto più consistente, almeno per lunghezza se non per intensità.

Sono stati momenti, tanto intensi quanto brevi e perciò effimeri. Appena sbocciati, sono presto appassiti, sopraffatti da nuovi arrivi e dimenticati. Almeno così è parso. Erano associati all’indelebile, questo sì persistente nella memoria tanto da formare radici destinate a durare. Istanti più forti della loro stessa sembianza. È la fame che ha reso quel boccone davvero speciale, e indimenticabile, pur essendo uguale a tanti altri. È il silenzio che ha trasformato i passi di lei nella notte, regalando leggerezza al successivo risveglio. È la sorpresa che ha dato a quella parola la forza di infrangere la tristezza.
La memoria non è un baule ingombrante e fastidioso di ricordi, pronto ad aprirsi quando è stracolmo e a sommergerci di cose. Per quanto molto di ciò che vi conserviamo sia inutile, dimenticato, scadente. Né è un contenitore di esperienze troppo laceranti per essere finalmente messe da parte, affinché non tornino a incalzarci ogni giorno, tormentandoci, impedendoci di ricominciare. Come fossero ferite sempre sanguinanti, refrattarie a qualsiasi cicatrizzazione.
La memoria non è solo peso od inquietudine. Una dimensione che trattiene l’uomo nella malinconia delle cose perdute o nel tormento di quelle più drammatiche. Insomma non è solo passato che non passa mai e non sa rigenerarsi. Tra tanto altro, il ricordo custodisce anche germogli vitali. Semi che lasciano intravedere il futuro possibile e anzi lo preparano. Il paradosso è che proprio il passato, libero da inciampi, può anticipare il futuro, renderlo possibile, insegnando a costruirlo.