Attila flagello di Dio, titolava un film con Abatantuono. Adesso basterebbe sostituire Attila con la parola monopattino. Il monopattino elettrico sta diventano in Italia uno dei più grandi flagelli mondiali dopo l’invasione delle cavallette in Egitto.
Morti, gente con le ginocchia rotte, reparti da radiografia degli ospedali zeppi di gente che va in risonanza magnetica, dopo aver battuto la testa, volando appunto da un monopattino.

A New York mi dicono che ancora non c’è. O meglio, c’é ma ancora non si è trasformato in Attila, magari viene usato più col piedone che spinge per terra che elettrico. Altrimenti sui marciapiedi della Quinta o della Madison farebbe una strage. Ma in Italia il monopattino viene usato non sul marciapiede, ma sulla strada e fra poco anche in casa, o in bagno o in autobus.
Una mania lanciata dal governo, con un incentivo che poi si è rivelato un incentivo a schiantarsi contro qualcosa o qualcuno. Un po’ come gli incentivi dei banchi a rotelle, che sono stati un “incentivo” per far capire alla gente che più o meno uno che passa di lì, può prendere dei provvedimenti per la nazione.
Occhio alle caviglie. Si consigliano addirittura cavigliere protettive, come quelle dei calciatori. Il rischio del pedone è diventato altissimo. Prima è passato attraverso l’esplosione dell’egocentrismo del ciclista che, non essendo a conoscenza dell’esistenza del genere umano, gira sui marciapiedi, va contromano e passa gli incroci ignorando completamente i semafori rossi (mentre per i poveri mortali i semafori rossi esistono eccome e si vede dai punti sulla patente).

Il monopattinista va oltre il ciclista. Lo supera, nel completo disinteresse delle regole stradali. E in più, avendo movimenti obbligati a causa del mezzo, non ha la possibilità di curva stretta e quindi, la sua entrata imperiosa in strada, avviene con un cerchio molto largo che lo porta a materializzarsi all’improvviso davanti a macchine, autobus e scooter. Il monopattinista è un essere solo, gli piace stare da solo ed è convinto di essere assolutamente da solo. Sente l’aria, fende la città, sta in piedi, troneggiando come da un’ammiraglia del direttore di corsa del Giro o del Tour.
In pratica è assolutamente proprietario della strada e quello che sta intorno a lui è un paese fatato, postnucleare, in cui i panorami sono valorizzatissimi dal suo osservare.
Lasciamolo così. Nessuno gli dia l’incredibile notizia, da cui non potrà poi più prescindere, dell’esistenza degli altri. Sarebbe un colpo durissimo per lui.