Il blues è una musica nera. Infatti nasce dall’Africa, o meglio dalla sua perdita. Dagli sguardi e dalle bocche degli schiavi che per secoli guarderanno sparire la loro grande Mamma Africa con i suoi intensi liberi tramonti dove il niente e il tutto trovano un senso. A seguito della scoperta dell’America, l’oceano si agiterà parecchio dall’Africa al nuovo continente e resterà per sempre custode di ogni storia e ogni verso, strofe e ritornelli istintivi e improvvisati, un immenso spartito di voci e canti che prepara la più grande rivoluzione della storia della musica popolare.
Quella schiavitù durò quattro interminabili secoli, attraverso i quali l’Europa espanderà enormemente i propri confini, accelerando il processo che oggi conosciamo col termine di impresa globale. Quella stessa Europa che aveva ereditato, fra l’altro, i modi maggiore e minore della musica dall’antica Grecia, è adesso così straordinariamente capace di conoscere, misurare e giudicare, e consoliderà anche codici e regole della musica colta e dell’armonia, regalando al mondo intero opere e compositori immortali, come Bach, Beethoven e Mozart.
Dall’altra parte, nel nuovo continente americano, il ricordo del dolore e del distacco si trasmette nel tempo e gli archivi dicono che le prime tracce del blues risalgono proprio alla fine della guerra di secessione americana. Dopo il 1865, abolita la schiavitù, gli ex schiavi portarono i loro canti dalle piantagioni del cotone in giro lungo il Mississippi e poi sempre più in là. Un nuovo virus contaminava la musica di tutto il mondo, il dannato blues, un po’ stonato per i canoni occidentali. Ma è un virus benigno e liberatorio, irresistibile, che si trasmetterà fra gli oceani contaminando jazz, soul, rock e persino la nostra amata melodica canzone napoletana.
La stonatura irresistibile nasce dal fatto che i semplici canti e accordi mescolano note che appunto gli occidentali tengono ben separate. Insomma usano e inventano le “blue note” ovvero delle note, o meglio degli intervalli, che l’armonia tradizionale considerava dissonanti. E il canto sembra sospeso fra due note non definite, come fra un mi e un mi bemolle. E così la scala blues di do introduce note come il mi bemolle, il sol bemolle e il si bemolle, scalando di mezzo tono le rispettive note più consonanti della tradizionale scala maggiore. Il sol bemolle (o fa diesis) è la nota più blue, la più straordinaria stonatura mai inventata.
Ovviamente gli schiavi afro-americani non conoscevano nulla di armonia ed è questo il bello della diversità: il loro modo di esprimere rabbia e dolore è sospeso nell’anima, fra qua e là: il cotone e l’Africa, il fiume e l’oceano, la miseria e Dio. Noi occidentali avremmo usato la scala maggiore per gridare la nostra gioia e quella minore per atmosfere più intimiste, il blues le mescola per ricordare che non esiste luce senza buio. E buio senza luce.
E a proposito di anima e luce, rispolveriamo Ray Charles, il “Genio”. Appena nato nello stato razzista della Georgia, la sua famiglia si trasferisce in Florida. Di origini umili, non ha un’infanzia facile, che diventa buia alla sola età di 5 anni. Perde la vista e quindi frequenterà una scuola di ciechi. Studierà musica classica ma il suo cuore batte per lo swing, il soul e il blues. Porterà alla massima fama “Georgia on My Mind”, il suo più grande successo, che era stato scritto in onore di Georgia, una sorella di uno dei autori della canzone (Hoagy Carmichael e Stuart Gorell). Ma Georgia era anche lo stato di nascita di Ray Charles, la su Africa, la sua luce…
E canterà questa canzone anche il 7 marzo 1979 davanti all’Assemblea Generale della Georgia, dopo i conflitti e il riconoscimento da parte di questo stato dei diritti civili. In seguito all’esibizione l’Assemblea adottò il brano come canzone ufficiale dello Stato, e accadde di questi tempi d’aprile. Per l’esattezza il 24 aprile 1979, potere della musica.
Questo 2020 e questa Pasqua sanno di Blues, anche nell’andamento swing e nelle terzine dolci e amare di questi giorni e notti in cui uomini e donne combattono negli ospedali e in vari centri contro il corona virus. Ma sanno anche di Soul, per tutti noi chiusi nelle nostre case, con l’anima sospesa fra dentro e fuori, ognuno con il proprio mal d’Africa, in attesa di nuovi liberi e spettacolari tramonti.
Vi suggerisco due video-ascolti di Georgia on My Mind: il primo è ovviamente di Ray Charles dal vivo. Il secondo, per chi ha un po’ più di tempo e passione per la chitarra, è una versione strumentale seguita da intervista di uno dei più grandi chitarristi jazz della scena mondiale, Martyn Taylor.