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L’insuperabilità della candida bellezza: Nivea, un brand amato nel mondo

È Biancaneve, la dolce immagine di Walt Disney, il filo che lega l'azienda tedesca alla poesia di Catullo

Laura BenattibyLaura Benatti
L’insuperabilità della candida bellezza: Nivea, un brand amato nel mondo
Time: 4 mins read

Nivea è un’azienda tedesca di cosmetici che fa parte del gruppo Beiersdorf AG: Nivea è presente su tutti i mercati a livello mondiale e costituisce uno dei più apprezzati brand al mondo nel campo della cosmesi. Il suo nome deriva dall’aggettivo latino “niveus, nivea, niveum” e indica il colore chiaro e radioso dell’incarnato femminile che ha sempre rappresentato uno dei canoni principali di bellezza fin dai tempi più antichi.Persino nelle fiabe le fanciulle più belle hanno un viso che emana uno splendore che rispecchia insieme la beltà dell’animo. La bellissima Snow White, Biancaneve, in tedesco Schneewittchen, nota anche come “Biancaneve e i sette nani”, è  la protagonista di una fiaba popolare scritta dai fratelli Jacob e Wilhelm Grimm nel 1812. In tutto il mondo è presente la sua candida immagine nella resa di Walt Disney. Ma soprattutto per gli antichi Greci e Romani la pelle chiara era sinonimo di somma grazia e delicatezza femminile: così ci canta il poeta latino C. V. Catullo (I a .C.) nei suoi splendidi versi dedicati alla donna che gli rubò per lungo tempo il cuore e la ragione, Clodia, soprannominata “Lesbia”.

“Per molti Quinzia è bella, per me bianca, dritta,

slanciata. Questi pregi li riconosco,

ma non dirò certo che è bella: non ha grazia,

né un pizzico di sale in quel corpo superbo.

Bella è Lesbia, bellissima tutta fra tutte

a ognuna ha rapito ogni possibile grazia”.

Egli elenca le più importanti doti di bellezza presenti in un’altra fanciulla Quinzia, aggiungendo che la sua Clodia, oltre a queste, possiede anche intelligenza e simpatia. Per i Romani l’idea di bianco poteva essere resa anche con altri due aggettivi che, tuttavia, pur sembrando apparentemente sinonimi, in realtà si contrapponevano: ”albus, a, um” che intendevano come “il bianco opaco, che assorbe la luce” e “candidus, a, um” da leggersi come “il bianco splendente, che emette luce”, e questo era proprio il colorito che le donne romane desideravano. Ancora Catullo, quando vuole descrivere i giorni indimenticabili trascorsi con la sua Clodia, li definisce “candidi”…Ma allora purtroppo la Casa NIVEA non esisteva ancora e allora a quali trucchi si rivolgevano le donne romane per raggiungere l’effetto “fresh skin”?Innanzitutto era possibile mantenere una pelle bianchissima alle matrone e alle fanciulle o nobili che quindi non avevano bisogno di lavorare all’aperto sotto il sole, o molto “virtuose” che, cioè, in ottemperanza ai costumi del tempo, non uscivano quasi mai dalle loro abitazioni. Secondariamente,  si servivano della pericolosissima polvere di carbonato di piombo per sottoporsi al processo di “imbiancatura”. Per il corpo, invece, sembra che giovasse a tale effetto, immergersi per lungo tempo in vasche di latte d’asina (certo molto più costoso, ma sembra che l’imperatrice Poppea, una delle mogli di Nerone, se lo potesse permettere) Candida era inoltre nell’antica Roma la veste che veniva imposta a coloro che si proponevano per gli affari di governo, i cosiddetti “ candidati”. Presso i Celti, il bianco era il colore della classe sacerdotale: i Druidi, infatti, vestivano di bianco. Anche presso gli antichi Greci il bianco candido, oltre a rappresentare uno dei canoni principali della bellezza femminile, era associato alla colomba, simbolo di fascino puro, semplicità e serenità, sacra alla dea della bellezza, Afrodite, contribuiva alla formulazione di presagi favorevoli. Si racconta, inoltre, che Era, moglie di Zeus, adirata con il piccolo Eracle, abbia smesso di allattarlo e le piccole goccioline di liquido bianco, che costellano la volta celeste, avrebbero dato origine alla meravigliosa “Via Lattea”.

Ma vediamo cos’ha rappresentato per l’immaginario collettivo di tutti i tempi il colore bianco. Il bianco ha avuto da sempre un duplice simbolismo, teorico e pratico:  il bianco è il colore del pulito, della luce, del nitore morale, ma può anche indicare, essendo un non-colore, incertezza, ambiguità, rifiuto di scelte definite, opportunismo, viltà ( un esempio è in Dante, Inferno, “…quel color, che viltà di fuor mi pinse…”, e così bianca è la pagina vuota, non scritta e bianco l’abito della sposa, che indica integrità morale. Diceva lo scrittore  H. Melville (scrittore, poeta e critico letterario statunitense, autore nel 1851 del romanzo Moby Dick considerato uno dei capolavori della letteratura americana) “…accade  che in molti oggetti la bianchezza accresca raffinatamente la bellezza, quasi impartisca una sua speciale virtù…”  Il  grandissimo William Shakespeare nel dramma “Tito Andronico” (la prima tragedia di Shakespeare, composta con molta probabilità tra il 1589 ed il 1593 che narra la storia di un immaginario generale romano che si vuole vendicare di Tamora, regina dei Goti) paragona le guance della protagonista Lavinia al candore del giglio, fiore della purezza “…fresche lacrime stavano sulle sue guance, come gocce di rugiada su un giglio reciso…”. E ancora nell’”Enrico VIII” del medesimo autore la regina Caterina mormora “… proprio come il giglio, che un tempo fioriva come sovrano del campo, ora piego il mio capo e muoio…”.

Nel primo Ottocento, in pieno regime napoleonico, la moda “bianca” negli arredi, nell’architettura, nel guardaroba, ebbe la meglio, probabilmente per mascherare sapientemente le difficoltà imposte alla tintura dei tessuti, derivante dalla mancanza di materie prime causata dal blocco continentale proclamato da Napoleone contro l’Inghilterra…e così il “bianco napoleonico” trionfa a corte con gli abiti dell’imperatrice Giuseppina e delle dame di corte. Nella moda attuale il bianco gioca ruoli importantissimi, sia per le proposte destinate al giorno, pensiamo sia ai famosi completi bianchi del personaggio protagonista di J. Fitzgerald “Il grande Gatsby”, sia agli abiti da cerimonia, soprattutto agli abiti da sposa. Ed ora cari lettori vi saluto, regalandovi una frase del famoso pittore Kandinskij: “Il bianco è una sorta di silenzio che potrebbe essere compreso” e soprattutto augurandovi…un meraviglioso White Christmas!

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Laura Benatti

Laura Benatti

Dopo essermi laureata in Lettere Classiche all’Università Cattolica di Milano, ho iniziato subito ad insegnare lingua e civiltà latina e greca al Liceo Classico e vi assicuro che in 30 anni di esperienza (arricchita da continui aggiornamenti e concorsi) si è rafforzata sempre più in me l’idea che la vera bellezza non è quella che al momento toglie il respiro, che abbaglia, ma quella che non riesce ad essere scalfita minimamente dall’implacabile trascorrere del tempo. Ed è questo che cerco di trasmettere quotidianamente ai miei studenti e che proverò a raccontare con la mia rubrica “Brand e Mito” ai miei lettori internazionali. A proposito, cari lettori, scrivetemi tutte le vostre domande e curiosità: vi risponderò sicuramente e con grande gioia! sturmunddrangbenatti@gmail.com

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