Fin da piccoli impariamo che cosa si “deve” fare la domenica mattina: andare a messa. Che tu sia credente o meno (lo scoprirai col tempo o forse mai), è questa la consuetudine. In Italia. Così ti prepari a festa, sfoggi il vestito migliore e ti incammini: nella migliore delle ipotesi ascolterai attentamente l’omelia, magari rifletterai sul messaggio di fondo e poi intonerai timidamente il canto finale.
A New York anche andare a messa è diverso. Dall’angusta chiesetta metodista di Harlem alla storica Trinity Church di matrice anglicana, è tutta un’altra musica: e non è solo un modo di dire, si prega, si suona e si canta in modo differente.
Fermandosi con la metro sulla E 116th street, la parrocchia metodista rimane davvero a due passi. Guardandola da fuori non immagineresti che si tratti di una chiesa, se non ci fosse uno striscione ad indicarlo. All’ingresso, la sala di preghiera rimane sulla destra: è più che altro una grande stanza, con sedie imbottite rivolte verso l’altare, almeno quello in stile classico. Varcata la porta iniziano i saluti e non perché tutti conoscono tutti, come nei paesi di campagna. Io non conoscevo nessuno ed era evidente che fossi estranea: l’unica bianca in un gruppo afro di almeno 30 persone. L’imbarazzo iniziale vola via in un istante quando Michelle si presenta e mi spiega come seguire il libro delle letture per la celebrazione. Di lì a poco entra il Reverendo, nessuna tunica ecclesiastica. Mi aspettavo anche il coro gospel da film ma sull’altare non c’è nessuno. Poi quattro signore anziane in prima fila si alzano in piedi, rivolte verso i fedeli con le spalle alla croce, e iniziano a cantare: eccolo il coro, genuino, senza grande tecnica ma vivace. É incontenibile l’energia che stimolano quelle voci black.
La messa procede poi secondo la maniera canonica fino a quando il prete dà la parola ai fedeli: allora a turno i membri alzano la mano e intervengono, dedicando un pensiero ad una persona cara o sollecitando la riflessione su un tema di attualità. La domenica in cui ho partecipato io, l’America era in fermento. Tutti in attesa del verdetto su Zimmerman, la guardia di quartiere volontaria che ha ucciso un ragazzino di colore, credendo fosse un ladro. Il reverendo sul palco si infiamma ricordando la vittima e con lui la platea religiosa. Per stemperare la tensione c’è chi vuole fare gli auguri di compleanno a una bambina presente, così il coro delle pimpanti signore intona il classico Happy Birthday.
Può succedere poi che tra gli interventi ci sia anche chi vuole rivolgere un saluto ai nuovi membri: e così ti ritrovi al centro degli sguardi di decine di persone che ti invitano a presentarti alla comunità. E quella stessa comunità, finita la messa, ti inviterà addirittura a pranzo per scambiare due chiacchiere di fronte a un piatto caldo. Preferibilmente arricchito da salse e fritti, secondo la tipica maniera americana.
Dalla parte opposta di Manhattan invece puoi trovare la solennità di un edificio del 1600, come quella della Trinity Church, dove però l’antichità si ritrova solo nella struttura. Si tratta di una chiesa episcopale /anglicana ma per rendere meglio l’idea, la definirei avanguardista. Non c’è da sorprendersi quindi se durante l’omelia, il prete invita al rispetto reciproco in nome dell’uguaglianza per “donne e uomini, bianchi e neri, lesbiche e gay, sposati o divorziati”. E questo principio si riflette anche nell’ordine sacerdotale che prevede la presenza femminile: accanto al reverendo infatti sull’altare due giovani donne si adoperano nella lettura e nell’eucarestia.
A differenza della chiesa di Harlem, qui durante l’omelia non si può intervenire ma si partecipa comunque, in qualche modo. Sarà un merito particolare del reverendo Mark, ma durante la predica riesce a strappare perfino fragorose risate. Il prete è evidentemente un anchorman mancato ma in realtà si capisce che si tratta di una modalità consolidata: il prete cammina tra le panche mentre parla, invita al pentimento ma lo fa riuscendo a regalare un sorriso. Anche alla Trinity Church l’omelia è un momento di riflessione sui temi di attualità. E se vuoi approfondire ulteriormente, ogni domenica, prima della messa puoi prendere parte all’incontro The Gospel, Times, Journal and You. Tutti possono parteciparvi e puoi incontrare dalla studentessa di Harvard con radici jamaicane all’impiegato del Young Department con origini afro. La tematica scelta la scorsa settimana era il razzismo: sebbene infatti siano passati già parecchi giorni dalla sentenza Zimmerman, l’argomento è ancora scottante. E per quanto si creda il contrario, negli Stati Uniti la discriminazione è ancora forte: “Quando mia moglie è rimasta incinta – spiega l'impiegato americano – ho pregato perché fosse femmina. Mio nipote infatti, nero, la settimana precedente era stato brutalmente picchiato per strada” . Anche il reverendo Mark racconta un drammatico episodio accadutogli solo poche settimane fa: si trovava alla St. Louis University (di tradizione gesuita) per tenere una lezione, quando, pochi minuti dopo il suo arrivo, è stato accerchiato da tre macchine della polizia e da otto poliziotti. Questi gli hanno chiesto i documenti e dopo aver riscontrato che si trattava di un comune cittadino, uno degli agenti ha domandato al prete perché secondo lui lo avessero fermato. Il reverendo Mark ha risposto: “perché sono nero”. Il poliziotto non ha aggiunto altro e si è allontanato.