Con il “decreto del fare” il governo ha esaurito la fase di rodaggio. Salvo scenari di crisi innescati dalla decisione della Cassazione sulla vicenda Mediaset, può ora muovere alla realizzazione del programma presentato in Parlamento per la fiducia, concentrato sulle questioni dell’emergenza sociale e finanziaria. E’ auspicabile che il governo sappia confrontarsi anche con le emergenze strutturali, in particolare su quelle richiamate qui di seguito.
Le elezioni politiche e amministrative hanno confermato il crescente distacco dei cittadini dalla politica. Vi è un senso diffuso di rinuncia a sperare che partiti e ceto dirigente smettano di proporsi come “casta”. Il comportamento dei parlamentari eletti sta peraltro confermando quel giudizio, ad esempio rifiutando la riforma della legge elettorale e di quella sul finanziamento pubblico dei partiti. La gente, una volta si sarebbe detto “il popolo”, è al disgusto, perché percepisce che la più parte di chi fa oggi politica, non è spinto dalla vocazione di servizio alla comunità ma dal fiuto di privilegi, carriera, denaro, opportunità di corrompere e farsi corrompere.
Stretta fra minori nascite e maggiore migrazione di giovani laureati, l’Italia continua a taglieggiare il suo potenziale competitivo. Occorrerebbe un’iniezione di risorse finanziarie nel sistema di studi e ricerca, impensabile in questa finanza pubblica. Ma senza giovani capaci e preparati, l’Italia non potrà uscire dalla crisi strutturale e sarà destinata a scivoli ulteriori nel confronto con le altre democrazie. Un ragionamento simile può essere proposto anche per le nostre imprese di fascia alta. Letta qualche giorno fa ha cercato di convincere la City di Londra ad investire da noi, ma non deve sfuggirgli che la prima preoccupazione del governo deve essere quella di convincere a non emigrare le multinazionali italiane penalizzate, nella competizione con la concorrenza, dai buchi neri (incertezza del diritto, bulimia fiscale, invadenza di burocrazia e norme amministrative, etc.) del sistema Italia.
La pretesa della mano pubblica di non rinunciare a privilegi e prebende, quindi a non procedere a tagli significativi sui costi della politica e della macchina amministrativa, non consentirà di ridurre il debito, che infatti continua ad ingrossarsi. Letta dice che la lotta all’evasione fiscale e ai capitali esportati, metterà i conti in ordine: nella migliore delle ipotesi, i risultati di una eventuale azione in questo senso si vedrebbero nel prossimo lustro. Servono misure immediate, che dovrebbero partire dalla cancellazione degli eccessi dei costi pubblici, in particolare di quelli voluti dalla sciagurata stagione di governo della Lega Nord.
Metta, il primo ministro, sulla sua scrivania, le parole che Luigi Einaudi pronunciò visitando l’impresa F.lli Guerrino, il 15 settembre 1960: “migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, umiliarli, scoraggiarli”. Mezzo secolo fa era già evidente l’idiosincrasia delle istituzioni di governo e dei partiti verso la domanda di cambiamento che arriva dai ceti produttivi. Se non si batte quell’atteggiamento, non si esce dalla crisi trentennale che ha sfibrato e impaurito il paese. Per farlo, occorre uscire dal cosiddetto “governo delle emergenze”, gettando le fondamenta del periodo nuovo che tutti, salvo i mascalzoni alcuni dei quali ahinoi! siedono anche in parlamento e nel governo, vogliamo.
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