Desolazione. Questo ho provato leggendo Edith Bruck sulle dichiarazioni di Francesco su Gaza. Se anche una personalità con la sua storia, che il Papa frequenta da tre anni, può arrivare a dire che il pontefice si sbaglia chiedendo – in un libro recente, La speranza non delude mai – di accertare in termini di diritto internazionale quel che sta accadendo nella Striscia e che quel che scrive favorisce l’antisemitismo, non c’è davvero più nulla da dire, da potersi dire fuori dello spirito di parte, della propria parte. Rischia di non esserci più nulla da sperare, nonostante l’invito di Francesco.
E cosa scritto il Papa? “A detta di alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio. Bisognerebbe indagare con attenzione per determinare se s’inquadra nella definizione tecnica formulata da giuristi e organismi internazionali”. Questo ha detto, nel quadro generale delle sue preoccupazioni sulle migrazioni, a cui potrebbero essere ulteriormente costretti i palestinesi di Gaza.
Che ci fosse materia di pronuncia lo confermano i mandati d’arresto per Netanyahu e Gallant della Corte di giustizia internazionale, mentre Parolin è costretto a dire che il Papa non è antisemita. Che cerca la pace, innanzitutto per il futuro di Israele. Oggi finalmente anche a Tel Aviv cade il tabù: è l’ex ministro Yaalon a dichiarare che “a Gaza è in corso una pulizia etnica”. Sarà anche lui antisemita.
Ma Bruck rivendica che genocidio è un concetto che si attaglia solo alla Shoah, ai milioni di bambini, di ebrei cremati nei forni. Al più agli Armeni. In Palestina genocida è solo l’attacco di Hamas, che ha provocato mille morti, tra cui qualche decina di bambini. Non lo è però la risposta di Israele, forse eccessiva, ma legittima e comunque non genocidaria. A dirimere la questione sugli atti potenzialmente genocidari di Israele, basterebbe un’inchiesta internazionale. Aggiunga Bruck la sua voce a quanti la chiedono. Questo sarebbe un segno di speranza, di dialogo, di pace.
Veniamo al punto “narrativo” di questo sdegno per il riferimento del Papa alla possibilità che a Gaza sia in corso un genocidio. Per Bruck “genocidio” può applicarsi solo all’operato di chi ha intenzione di distruggere un intero popolo. E in Palestina è Hamas che “ha detto che vuole distruggere gli ebrei di tutto il mondo”. Quindi genocidio è solo l’operato di Hamas. Possono morire 50mila palestinesi, tra cui decine di migliaia di bambini, feriti in centomila, ridotti alla fame tra le macerie due milioni di essere umani, con un decremento demografico immediato e potenziale facile da calcolare, ma non è genocidio perché Israele non ha intenzione di ammazzarli tutti. Magari cacciarli tutti dalla loro terra, toglierla con i coloni anche in Cisgiordania, ma questo non è genocidio. Siamo grati per questa lezione sulle categorie, ma veniamo alla dura testa dei fatti.
L’intenzione genocida di Hamas, che devono morire gli ebrei di tutto il mondo, non è innanzitutto l’intenzione del popolo palestinese, come le intenzioni degli ultraortodossi che guidano la politica di Netanyahu non sono le intenzioni di tutti gli ebrei, fortunatamente. Ma il punto dirimente è che la narrativa dell’odio antiebraico di Hamas altro non è che la narrativa del risentimento di un popolo senza terra e senza diritti, perché non si nasce odiatori. Lo si diventa. Bruck sa bene sulla sua pelle cosa siano ghetti e campi, essere in costante pericolo di vita. Ha tutti i mezzi morali e intellettuali per immaginare la ghettizzazione cui sono costretti i palestinesi, in quel che una volta era casa loro, da ottant’anni. Ma al di là di questo, quella di Hamas è una narrativa virtuale, capace certo di scrivere pagine genocidarie, come il 7 ottobre, ma non di finire il romanzo criminale che ha in mente. È rancore senza sbocco, di cui vanno eliminate le cause, non il popolo che ne sarebbe responsabile in solido con Hamas.
Ammesso che Israele non abbia le intenzioni genocidarie di alcuni suoi ministri, il punto effettuale in questa diatriba “narrativa” è che la sua capacità di “autodifesa” come dominio o sterminio di chi ne mette in discussione, ben oltre l’esistenza, lo spazio considerato vitale di questa esistenza, ha tutta la possibilità di portare a termine quello che sta realizzando: il Grande Israele dal Giordano al mare, dal Libano al Sinai. Può la narrativa frustrata di Hamas essere usata come alibi per realizzare questo progetto “non” genocidario? E come bisogna chiamarlo?
Bruck lamenta che i ragazzi che manifestano non vogliono davvero la pace perché vanno in piazza sventolando solo la bandiera palestinese, ma non quella israeliana. Forse accade anche per il catenaccio informativo che vedono di noi grandi a tutela della franchigia di Israele nella sua risposta al 7 ottobre. Ben prima che i ragazzi, cui Bruck sostiene noi non spieghiamo abbastanza le cose, perdessero la pazienza e non credessero più all’equanimità dei grandi.