Sono ore cruciali per l’esito delle trattative tra Movimento Cinque Stelle e Lega volte alla formazione del nuovo governo. Il dialogo, tra tira e molla, accelerazioni e brusche marce indietro, era iniziato a sorpresa qualche giorno fa, appena in tempo per scongiurare l’entrata in campo di un esecutivo “neutro” proposta dal Capo dello Stato, soluzione che avrebbe scontentato tutte le forze politiche uscite vincitrici dalle scorse elezioni.
Dopo l’ulteriore richiesta di tempo avanzata a Mattarella da Di Maio e Salvini, ieri si era arrivati a un passo dalla rottura, mentre oggi l’atteggiamento dei due leader sembra più ottimista. Non sappiamo ancora se la nave di un prossimo governo “giallo-verde” naufragherà ancor prima di salpare o se invece spiegherà le vele.
Una cosa è certa: il mare è in tempesta, perché nelle ultime 48 ore si è levato dalle istituzioni Europee e dai grandi giornali internazionali un grido di allarme di fronte all’ipotesi di un probabile governo tra leghisti e pentastellati, mentre anche i mercati hanno mostrato segni di incertezza.
Il quotidiano britannico Financial Times si è spinto addirittura a titolare che “Roma ha aperto le porte ai nuovi barbari”, riferendo l’infelice paragone a Salvini e Di Maio. Da Bruxelles, invece, si teme un’altra “spallata” alla fragilissima impalcatura europea.
L’effetto dell’entrata a gamba tesa dell’UE è stato, come sempre avviene in questi casi, opposto a quello sperato. Punti nel vivo, i due leader si sono paradossalmente compattati, replicando con durezza alle critiche con infuocate dichiarazioni.
In tale spinosissimo contesto, stamattina è arrivato un altro imprevisto quando l’Huffington Post ha pubblicato la bozza del famigerato “contratto per il governo del cambiamento” da giorni al centro della discussione tra i due partiti. Il documento è datato 14 maggio e anche se Lega e M5S si sono affrettate a precisare che si tratta di una versione radicalmente diversa da quella attuale, il suo contenuto ha sollevato un terremoto politico.
Tra le altre cose, oltre all’introduzione di un inedito “Comitato di Conciliazione”, che dovrebbe agire come organismo ombra risolvendo i futuri eventuali dissidi governativi (e di fatto guidando l’azione del prossimo presidente del consiglio), a far discutere sono state le posizioni critiche nei confronti della politica economica europea, con la previsione di una “necessaria ridiscussione dei Trattati” e apposite misure che consentano un recupero della sovranità monetaria. Non bastasse, è presente poi la richiesta, rivolta alla Banca Centrale Europea, di vedersi cancellati quasi 250 miliardi di debito pubblico, mentre sul piano delle alleanze internazionali, pur ribadendo la fedeltà all’alleanza “privilegiata” con gli Stati Uniti, è previsto un riavvicinamento a Mosca, con una decisa richiesta dell’abolizione delle sanzioni internazionali alla Russia.
In breve, a parte una quasi assenza di misure “dure” contro l’immigrazione, sul piano dei contenuti non c’è nulla che stoni troppo con i programmi presentati da Lega e Cinque Stelle alle scorse elezioni. Lo scandalo mediatico di queste ore, semmai, sarebbe dovuto scoppiare se il contenuto della bozza fosse stato opposto a quello dei programmi.
E viene dunque il sospetto che il polverone alzato dallo scoop dell’Huffington Post sia stato sapientemente tirato fuori per far saltare il le negoziazioni o quantomeno per spingere verso un ammorbidimento del programma, scatenando lo spauracchio di un nuovo esecutivo “antieuropeo”. Comunque la si pensi sul merito delle misure previste, però, nessuno può negare che la soluzione di un governo “giallo-verde” fosse la conseguenza più aderente al risultato del voto del 4 marzo. Il malessere nei confronti delle politiche economiche degli scorsi anni ha forti radici popolari e un nuovo governo troppo ligio ai voleri Bruxelles è stato sonoramente bocciato nelle urne.
È altrettanto chiaro che una critica all’Unione andrebbe condotta con sapienza, evitando di esporsi a ritorsioni potenzialmente dannose per gli interessi italiani.
Il clima di incertezza e confusione che si respira negli ultimi giorni esprime infine gravi difficoltà nella composizione di una nuova squadra di governo, principale nodo che né i leghisti né i pentastellati hanno ancora sciolto. Se non verrà partorito in fretta un accordo definitivo sui nomi, primo fra tutti quello del presidente del consiglio, il tavolo rischia per l’ennesima volta di saltare.
Il tanto deprecato “totonomi” è in corso e ogni minuto emerge un’ipotesi diversa: premier tecnico “di area”, cioè politicamente orientato, esponente di spicco di uno dei due partiti e persino “staffetta” tra Salvini e Di Maio di craxiana memoria (che tuttavia pare aver perso definitivamente quota).
Qualsiasi teoria è da prendere con le pinze. Al momento, all’orizzonte, ilmare è ancora agitato.