Se le prime proiezioni che stanno uscendo in queste ore (da prendere con le pinze) fossero confermate domattina, i risultati di questo attesissimo 4 marzo avrebbero ribaltato il panorama politico italiano, aprendo nuovi e imprevedibili scenari all’orizzonte.
A vincere a mani basse le elezioni politiche 2018 sarebbero infatti due partiti su tutti: il Movimento 5 Stelle (con una forbice che va dal 31% al 33%) e la Lega (che si attesterebbe tra il 15 e il 17%, sorpassando Forza Italia e guadagnando la leadership del centrodestra).
Per il Partito Democratico, invece, si prospetterebbe una bruciante sconfitta, con percentuali addirittura sotto il 19%. Una vera Caporetto (per dirla con sobrietà), che segna il punto più basso mai toccato dal Centrosinistra italiano negli ultimi venti anni.
Una sorpresa? Mica tanto, almeno per gli osservatori più attenti. Chiunque abbia fatto la fila a un seggio per esprimere il proprio voto in questa tiepida domenica di inizio marzo, da Trento a Trapani, si sarà certamente accorto che spirava “aria di rivoluzione”.

E le rivoluzioni, si sa, non sono mai ordinate. Dopo anni all’insegna di governi tecnici, grandi coalizioni e ulteriori tentativi di arrivare con fatica a fine legislatura, le voci che giravano tra la gente erano chiarissime.
Gli elettori fremevano dalla voglia di dare una lezione alla classe politica di governo, e si sono espressi premiando chi gli ha presentato un’offerta opposta a quella sperimentata in questi anni. Un mutamento “radicale”, che ha visto nella Lega e nel Movimento 5 Stelle i suoi paladini ideali.
I motivi di tale scelta sono tanti: frustrazione economica, clima sociale teso, scetticismo di fronte a politiche troppo deboli nei confronti dell’Unione Europea. I commentatori in queste settimane si scateneranno nel cercare di analizzarli col lumicino.
A caldo, però, già si possono fare alcune considerazioni importanti. Ammesso che i dati siano confermati e il centrodestra (da solo) non riesca a guadagnare la maggioranza necessaria a formare un governo, una delle prospettive più probabili sarebbe una convergenza “populista”, ovvero un’alleanza tra Lega e M5S.
Non si tratta però di una soluzione automatica, ma probabilmente di un risultato che giungerà al termine di lunghe trattative. Il tutto sotto il “ricatto” dei mercati e delle istituzioni europee, le quali nelle prossime settimane potrebbero condizionare indirettamente le decisioni prese nelle urne.
Di fronte a queste incerte prospettive sarà il Presidente della Repubblica a dover trovare la quadra, aprendo il “grande gioco” delle consultazioni.
Un compito difficilissimo, che potrà essere attuato solo da una persona dotata di grande sensibilità politica. Bisognerà infatti bilanciare due istanze contrapposte: l’esito del voto popolare (che non potrà essere ignorato, pena lo scoppio di pericolosi malcontenti) e la tanto auspicata “stabilità” del paese, che in questo momento preoccupa a livello internazionale.
E se invece il centrodestra dovesse sfiorare il 40% (ipotesi ancora non del tutto esclusa)? Anche in questo caso le prospettive sarebbero nebbiose.
La guida della coalizione, contrariamente alle previsioni, sarebbe saldamente in mano alla forza meno amata da Bruxelles e ciò potrebbe causare lo sfaldamento dell’alleanza, con il divorzio tra Berlusconi e Salvini.
Sempre guardando alle cifre attuali, inoltre, il tanto temuto “inciucio” tra PD e Forza Italia non sarebbe lontanamente ipotizzabile, salvo colpi di scena (mai da escludere totalmente in Italia).
In breve, per il nostro capo dello stato, dipinto in molti casi ingiustamente come un personaggio fin troppo “tranquillo”, non sarà una passeggiata. Le pressioni saranno fortissime.
E chissà che Mattarella, alla fine, non riesca a compiere un miracolo.