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July 14, 2017
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Per la stupida lite del Golfo, l’Occidente rischia di rimanere senza elio

Il 30% del fabbisogno mondiale dell'elio arriva dal Qatar, sotto assedio economico da parte dell'Arabia Saudita e i suoi alleati

James HansenbyJames Hansen
Per la stupida lite del Golfo, l’Occidente rischia di rimanere senza elio

Lo skyline di Doha, in Qatar

Time: 2 mins read

Il gas “nobile” elio – il secondo elemento della tavola periodica, con il simbolo “He” – nella percezione popolare ha due importanti utilizzi: i palloncini gonfiati con la sostanza galleggiano simpaticamente nell’aria e, inalato, fa temporaneamente parlare con la voce di Paperino. È incolore, inodore, insapore e inerte. Non fa male a nessuno. Ha anche molteplici e importanti impieghi tecnici e scientifici di cui non si parla quasi mai perché  sono  complicati  e  forse  noiosi.  In  forma  liquida,  è  il  refrigerante  ideale  per ottenere  temperature  estremamente  basse,  vicine  allo  zero  assoluto,  per  i  magneti superconduttori e le ricerche criogeniche. È il gas di “supporto” nella gascromatografia, in medicina ha un ruolo importante negli esami a risonanza magnetica, ed è usato per proteggere la crescita di cristalli di silicio e germanio nella produzione dei chip per la microelettronica. L’elio – vitale per molte tecnologie “alte” – è comune nell’universo, ma raro nella crosta terrestre. Peggio, di quel poco che c’è, il trenta percento viene dal Qatar, il più grande produttore mondiale che lo raccoglie come sottoprodotto dell’estrazione del gas naturale petrolifero.

Da poco più di un mese l’Emirato è sotto assedio economico da parte dell’Arabia Saudita e i suoi alleati nel Golfo. Hanno chiuso le frontiere non solo all’elio qatariota, ma perfino ai cammelli. Da allora neanche una goccia del gas ha lasciato il Qatar, che aveva sempre utilizzato delle strutture specializzate nei porti sauditi per il suo trasporto e non dispone di rotte alternative. Il secondo fornitore, gli Stati Uniti con un altro 20% della produzione mondiale, ne avrebbe dell’elio – ancora sottoterra – ma la creazione di nuove infrastrutture per il suo trasporto sarebbe lenta e molto costosa. Per ora, nessuno pensa a metterci tutti quei soldi finché non si capisca come va a finire nel Golfo.

Il trasporto dell’elio dal Qatar ai paesi dell’impiego in Asia e nell’Occidente – che avviene via mare – richiede circa un mese. Vuol dire che stanno per essere consegnate ora le ultime scorte nuove. Nelle prossime settimane, a meno che non subentrino altre sorprese mediorientali, il mondo scoprirà che manca improvvisamente il 30% della quantità necessaria di una sostanza che si trova alla base delle sue più alte realizzazioni tecnologiche. È ovvio che i prezzi commerciali del gas potrebbero crescere molto. Per la scarsità e l’aumentata domanda si erano già quadruplicati negli ultimi anni. Il punto però non è il costo, è il fatto che potrebbe non essercene abbastanza a qualsiasi prezzo per soddisfare il fabbisogno— che poi non è determinato dal suo utilizzo per gonfiare i palloncini alle feste dei bambini.

Non è la fine della civiltà tecnologica. Con il perdurare della scarsità – se ha da perdurare – verranno trovati modi per sostituire l’elio in certi impieghi, gli americani potrebbero rispondere all’opportunità commerciale, potrebbero emergere altri fornitori. È stata recentemente scoperta una nuova e potenzialmente importante fonte del gas in Tanzania. Si tratta comunque di un’interessante illustrazione di quanto è delicato questo “orologio svizzero” che è la globalizzazione. Succede qualcosa nel Golfo, una stupida lite tra monarchie più o meno medievali, e improvvisamente il resto del globo potrebbe trovarsi nelle condizioni di dovere scegliere tra un nuovo cellulare e la “risonanza” della nonna.

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James Hansen

James Hansen

Americano della West Coast, vivo in Italia da molti anni. Sono arrivato, giovane, nel servizio diplomatico USA come vice console a Napoli. Lì ho capito che “da grande” non volevo fare l’ambasciatore. Sono passato al giornalismo come corrispondente dell’International Herald Tribune e del Daily Telegraph, in seguito spostandomi “dall’altra parte della scrivania” come capoufficio stampa di Olivetti, di Fininvest e infine di Telecom Italia. Da tempo mi occupo di “diplomazia privata”, accompagnando grandi aziende italiane nelle loro avventure internazionali. È la diplomazia che mi immaginavo da ragazzo, con obiettivi più o meno chiari e i mezzi e l’autonomia per perseguirli. An American from the West Coast, I have been living in Italy for many years. I got here young, with the diplomatic service as the US vice consul in Naples. There I realized that, as a grown up, I didn't want to be an ambassador. I turned to journalism as a correspondent for the International Herald Tribune and the Daily Telegraph, and later on, I moved to the “other side of the desk” as chief of press for Olivetti, Fininvest and finally Telecom Italia. I deal with "private diplomacy", backing up large Italian companies in their international adventures. It's the diplomacy as I imagined it when I was young, with more or less clear goals and the means and autonomy to pursue them.

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