Quella che si chiama pulce nell’orecchio lo mette una coppia di amici italiani che da sempre vivono in Francia; amano Parigi quanto e più di Roma. Lì vivono ormai stabilmente, lì votano; in Italia vengono solo per le vacanze; mezza età, una “comunione” fatta di piccole complicità e grandi intese: basta uno sguardo, a volte neppure di questo c’è bisogno; sono moderatamente progressisti, orgogliosamente borghesi: quel tipo di borghesia raffinata e non leziosa, che sa apprezzare il “vecchio”, ma è curiosa e attratta dal “nuovo”; che ancora legge buoni libri, ama viaggiare, si impegna senza ostentazione per cause che ritiene giuste. Una filosofia di vita riassumibile in “vivi e lascia vivere”; se si vuole: “Non faccio al prossimo quello che non voglio il prossimo faccia a me”. Il voto per loro è qualcosa di sacro; non perdono una consultazione. Da che li conosco hanno sempre votato per il progressista di turno: in modo ragionato e pacato, senza preconcetto, senza essere schiavi di ideologia. Questa volta, a sorpresa, lei confida: “Anche se è donna, e tu sai quanto tifo per le donne, Marine Le Pen non la voto; di questo sono certa. Ma non sono sicura che la cosa giusta sia votare per Emmanuel Macron”.
“Guarda che non hai molta scelta, o l’una o l’altro”, gli dico.
“E nessuno dei due?”, mi rimbecca.
“Si può fare. Ma deleghi gli altri che voteranno di scegliere anche per te?”:
“Lei non mi piace, ma lui non mi ispira alcuna fiducia…”.
“La pensi così tu sola o anche…”.
“Anche lui, ne abbiamo parlato; e non siamo venuti a capo di nulla”.
“E al primo turno?”
“Non abbiamo votato. Non ce ne piaceva nessuno. Ma sapevamo che c’era il secondo turno…”.
“Avete solo rinviato la scelta…”.
“E ora ci siamo…tu che faresti?”.
Bella domanda: che farei, fossi elettore in Francia? Per tante ragioni, che riguardano la Francia, ma anche l’Europa (e dunque l’Italia), quale potrebbe essere il voto più utile, o almeno meno dannoso? Messa così, c’è poca scelta. Posto che madame Le Pen è una sommatoria di pessimo “vecchio” e ancor peggior “nuovo”. Non resta dunque che sperare nell’elezione di Macron a presidente della Repubblica? E’ lui l’uomo su cui puntare per sperare che possa far uscire la Francia dalla situazione di immobilità e di sclerosi in cui è precipitata? E che questa speranza trovi rispondenza e correlazione in altri paesi europei, e specialmente in Italia.
Mi sono ridotto a pensare che sarebbe gesto di autentica amicizia richiamare l’attenzione dei nostri amici italiani che votano in Francia sul problema che li tocca in quanto francesi e in quanto italiani; e dire loro che il danno minore è costituito da un perplesso sì a Macron.
Giungo a questa conclusione perché il candidato e leader di “En Marche!” promette di non edificare nuovi muri: perché non è dai muri, ma dai ponti, che passa la nostra vera sicurezza. Perché ai suoi comizi vedo sventolare le bandiere francesi, ma anche quelle dell’Unione Europea. Perché Macron promette di dare corpo, voce e sostanza a parole all’apparenza desuete, ma sempre valide e attuali, come “Liberté, égalité, fraternité”. Perché ai suoi comizi ho sentito i suoi sostenitori scandire: “Europe! Europe!”, simbolo di una resistenza al crescente populismo.
Macron perché ho ascoltato il suo solenne appello “ai ricercatori, agli accademici e alle imprese che negli Stati Uniti d’America combattono contro l’oscurantismo e oggi sono spaventati”, e ha detto loro che “incarnano l’innovazione e l’eccellenza” e possono considerare di avere, se sarà eletto, “una nuova patria”. Perché cita Simone Veil e la sua battaglia per l’aborto; Emile Zola e Charles Péguy, per la loro lotta in favore del capitano Dreyfus; François Mitterrand, per il suo discorso sull’Europa poche settimane prima di morire; e Jacques Chirac, quando ha ricordato alla Francia la sua responsabilità in occasione del rastrellamento degli ebrei condotto a Parigi dalla polizia del regime collaborazionista di Vichy.
Questo, alla fine, ho detto alla coppia di amici italo-francesi. Se si sono convinti o no, glielo chiederò solo lunedì.
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