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July 23, 2016
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Il terrore chiama, l’Europa risponda

Dopo l'ennesima e folle violenza di Monaco, è utile ricordare certe parole di Wiston Churchill

Luigi TroianibyLuigi Troiani
monaco attacco

Il centro commerciale a Monaco di Baviera dove venerdì nove persone hanno perso la vita

Time: 5 mins read

Il coro di telefonate e dichiarazioni di solidarietà ad Angela Merkel che i leader mondiali, in particolare europei, hanno espresso dopo il tiro a segno assassino del tedesco di origini iraniane Ali Sonboly a Monaco, è così smaccatamente retorico e improduttivo da risultare irritante. I capi delle nazioni occidentali, le cui popolazioni subiscono da decenni l’offensiva di gruppi e individui a vario titolo riconducibile alla radice islamica, invece di proclamare la retorica vacua delle parole, dicano quali misure hanno messo in campo per arrestare l’espandersi delle azioni assassine che con progressiva regolarità continuano a uccidere ingiustamente esseri umani innocenti fuori dai teatri delle guerre e dei conflitti armati. Lo stesso caso di Monaco, nonostante abbia avuto come protagonista un ragazzo schizzato di mente, con nessun legame con i movimenti islamisti, potrebbe, ad una più attenta analisi, essere iscritto nell’elenco delle azioni generate in Occidente dagli effetti di imitazione della violenza islamista.

Si assiste con sgomento da un lato all’incapacità degli stati di fornire risposta adeguata agli atti di violenza sterilizzandone le fonti o almeno prevenendone l’esecuzione; dall’altra al montare del risentimento e della rabbia della vasta massa di popolazione che si percepisce esposta alla totale gratuità degli atti di terrore: che vengano da radice politico-religiosa o da frustrazioni individuali ben poco alla fine importa. Si tratta di risentimento e rabbia che, insieme al dolore per la perdita di vite umane, vanno sempre più a saldarsi con le piattaforme elettorali di forze politiche nazionalistiche e xenofobe che rafforzano le adesioni e si preparano alla presa del potere in molti dei paesi presi di mira dalle azioni violente. La candidatura di Donald Trump è la tipica dimostrazione del percorso insensato al quale la mancata o debole risposta dei governi democratici all’attacco che stiamo subendo, può spingere le nostre società. Il voto britannico contro la permanenza nell’Unione, così come i muri e i fili spinati che in taluni luoghi dell’Europa orientale vengono alzati per impedire il passaggio di emigrati e dei miserandi in fuga dai conflitti armati, insieme alla virata autoritaria di governi come quelli di Ungheria e Polonia, sono altri esempi di dove le paure delle popolazioni possano spingere.

Al punto in cui siamo, di fronte alla notizia del prossimo attentato di ambito islamista, riuscito in una qualsivoglia città d’America o Europa (si tralascia il riferimento al martirio quotidiano di territori come Iraq, Afghanistan, Siria, Libia, Yemen) non interesserà neppure più chiedersi se l’autore sia parte dell’armata del terrore che Daesh allestisce nelle nostre contrade e che, dai proclami via rete, è destinata a farci vivere nell’angoscia giorno e notte, o sia un “lupo solitario” (che nome romantico! perché non chiamarlo semplicemente con il suo vero nome, “vigliacco assassino”?) violento. Interesserà invece contare il numero delle vittime, scorrere le loro biografie, scoprire, come è capitato a Nizza, che sono me e te che leggi, figli miei e tuoi, parenti amici, nonni bambini e gente comune, cristiani e musulmani, che hanno diritto a vivere la loro vita, che non hanno niente a che spartire con la follia violenta della quale sembriamo incapaci di venire a capo, che proprio non meritavano il destino che gli si abbatte addosso attraverso un proiettile, un esplosivo, un machete, un’accetta, un camion, un pugnale, nel crescendo di creatività omicida e orrore nel quale è stato deciso che dobbiamo essere calati come comunità. Né interesserà se, come nel caso del centro commerciale di Monaco, a produrre le nove vittime, sia una mente malata, magari alimentata dalla cultura di separazione e antagonismo sciita.

Interessa che quella violenza vada fermata e come ciò possa essere fatto. Con il dialogo e il confronto civili, certo; con le riforme sociali e culturali che promuovano la convivenza tra culture e religioni, certo; ma anche con l’uso della violenza legittima là dove essa si mostri necessaria e indispensabile, purtroppo anche in barba a certe consolidate regole del diritto internazionale. Churchill, maestro di resistenza alla brutale aggressione nazi-fascista, spiegò una volta per tutte che, in certi passaggi della storia, occorre salvare la sostanza della democrazia, anche contro certe “forme” che ne decreterebbero altrimenti la sconfitta. 

“Stiamo combattendo per ristabilire il dominio del diritto e proteggere la libertà … La nostra sconfitta significherebbe l’inizio di un’età di violenza barbarica, e si rivelerebbe fatale non soltanto per noi stessi … abbiamo il diritto, in realtà il dovere, di abrogare per un certo periodo alcune delle convenzioni di quelle stesse leggi che noi stessi cerchiamo di consolidare e riaffermare. … La lettera del diritto non deve nei momenti di emergenza suprema ostacolare coloro che si sono assunti il compito di proteggerla e farla valere. Non sarebbe giusto o razionale che la potenza che ci ha aggredito godesse dei vantaggi che le vengono dal calpestare il diritto, e dei vantaggi che le verrebbero dall’innato rispetto per la legge dei suoi oppositori. La nostra guida deve essere l’umanità. piuttosto che la legalità” (The Gathering Storm, New York, 1961, libro II, cap. 9, p. 488).

Sono parole pesanti e da prendere con le molle. Ma senza dimenticare che funzionarono, visto che la bestia nazifascista fu abbattuta, e la democrazia rifiorì anche più rigogliosa in Europa.

Né possiamo nasconderci che tra gli effetti della violenza di radice islamista, si va producendo nelle nazioni occidentali, la pericolosa polarizzazione tra forze dell’accoglienza e del dialogo e forze della rottura e dello scontro. La crescita dei cosiddetti populismi, in realtà dei vecchi nazionalismi di ritorno, trova alimento proprio nelle difficoltà che i governi incontrano nel dare una risposta efficace ed efficiente alla sfida del terrorismo islamista. Quanto accade all’interno dell’Unione Europea in materia di immigrazioni e richiedenti asilo, è illuminante. Non si varano politiche sociali efficaci mirate alle comunità di immigrati, al fine, ad esempio, di abbassare il livello delle frustrazioni nei giovani di seconda generazione (si veda la biografia del tedesco di famiglia iraniana autore della strage di Monaco). Non si generano sufficienti opportunità di occupazione e percorsi formativi che portino all’inserimento nelle società di appartenenza. Gli strumenti decisi dalla Commissione in materia di ripartizione dei richiedenti asilo, sono tuttora al palo. Nei primi cinque mesi di quest’anno, tra Grecia e Italia, sono sbarcati più di 200.000 disperati e solo pochissimi tra di loro hanno trovato collocazione definitiva in qualche parte d’Europa. Lo stesso milione e passa di sbarcati nel sud Europa dello scorso anno, è in buona sostanza, salvo poche migliaia di casi, in attesa di collocazione definitiva. Le istituzioni dell’Unione rischiano grosso sul pacchetto immigrazione e rifugiati, perché sono in tanti, tra le popolazioni europee, a ritenere che la questione del terrorismo islamico sia intimamente legata alla questione immigrazione.

Ovvio che si tratti di erronea convinzione. Però non si può fare a meno di notare come anche in Italia il 38% degli intervistati veda uno stretto legame tra le due questioni, il 74% si dica contrario all’atteggiamento “soft” di Renzi, il 66% alla posizione espressa da Renzi in sede EU (pro-accoglienza), e che il 39% chieda misure di contrasto diretto all’immigrazione anche manu militari. Al tempo stesso non si può non notare come, in un paese tradizionalmente europeista come il nostro, gli ultimi sondaggi diano in salita gli euroscettici, che non si fidano o si fidano poco dell’UE, sino a percentuali del 56%. Qui la polarizzazione tra il fronte dell’”inclusione” e dell’”esclusione”, che sta spaccando un po’ tutte le società in Occidente, viene a saldarsi sulla questione del futuro dell’Unione Europea, pesantemente ipotecato da crisi come quelle di Brexit e Grexit, dai comportamenti illiberali dei governi di Budapest e Varsavia, dalla pesante situazione sociale ed economica di vasti territori dell’Unione. E, appunto, dal terrore diffuso dai diversi attori di violenza che dichiarano ritrovare nell’islam e nel Corano la ragione delle loro azioni omicide.

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Luigi Troiani

Luigi Troiani

Insegno Relazioni Internazionali e Storia e Politiche UE all’Angelicum di Roma. Coordino le ricerche e gli studi della Fondazione Bruno Buozzi. Tra i promotori di Aiae, Association of Italian American Educators, ho dato vita al suo “Programma Ponte” del quale sono stato per 15 anni direttore scientifico. Ho pubblicato saggi e libri in Italia, tra gli altri editori con Il Mulino e Franco Angeli, e in America con l’editore Forum Italicum a Stony Brook. Per la rivista Forum Italicum ho curato il numero monografico del maggio 2020, dedicato alla “letteratura italiana di ispirazione socialista”. Nel 2018 ho pubblicato, con l’Ornitorinco Edizioni, “Esperienze costituzionali in Europa e Stati Uniti” (a cura). Presso lo stesso editore sono in uscita, a mia firma, “La Diplomazia dell’Arroganza” e “Il cimento dell’armonizzazione”. La foto mi mostra nella maturità. Questa non sempre è indizio di saggezza. È però vero che l’accumulo di decenni di studi ed esperienze aiuta a capire e selezionare (S. J. Lec: “Per chi invecchia, le poche cose importanti diventano pochissime”), così da meglio cercare un mondo migliore (A. Einstein: “Un uomo invecchia quando in lui i rimpianti superano i sogni”).

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