Non ci rimane che Dio per salvarci dalla “invisibilità”, nessuno di noi è esente dal rischio, il confine tra visibile e invisibile è sottile, dobbiamo “farci i conti e non girarci dall’altra parte”.
Questo il messaggio forte gridato da Richard Gere nel corso dell’anteprima del film “Gli Invisibili”, (negli USA uscito col titolo “Time Out of Mind”) che si è tenuta a Roma presso la mensa della Comunità di Sant’Egidio (nelle sale italiane dal 15 giugno distribuito da Lucky Red).
Gere con questo film (di cui è produttore e protagonista, il regista è Oren Moverman) ripropone un tema attuale ma ancora poco metabolizzato, quello della indifferenza e della urgente necessità di misericordia di cui parla anche Papa Francesco e insieme della inadeguatezza della politica, che sia italiana o americana.
“Ci sono altri luoghi, Istituzioni a stimolare il peggio di noi stessi – ha detto Gere ad una platea di giornalisti e senzatetto – invece le religioni continuano ad aiutarci nel riscoprire e dare il meglio di sé. Io non conosco nessuna religione che non sia basata sull’amore e la compassione. Il vecchio Papa Francesco, ad esempio, sta cercando di dare una nuova immagine di quella che è la Chiesa Cattolica e ha già cominciato a fare molto per gli invisibili, i rifugiati, gli immigrati. Quindi ritengo che sia le religioni, che organizzazioni come la Comunità di Sant’Egidio, stiano operando nella maniera giusta, in modo tale che tutti i Governi, i Paesi, cambino, aprano un po’ di più gli occhi e il cuore e affrontino queste questioni come si deve”.
Ad essere chiamata in causa una società indifferente, priva dei valori, in primis familiari, in cui l’individuo in difficoltà è destinato ad una emarginazione-cancellazione, un congegno diabolico (ben raccontato nel film) orchestrato da una società di tipo burocratico nella quale, anziché aiutare la persona a riacquistare una dignità (il protagonista è un uomo come tanti che oggi ha perso prima un lavoro e poi tutto il resto), si è scelto di cancellarla, addirittura affibbiandogli ogni responsabilità.
“Girando questo film ho avuto una importante illuminazione, ho capito chi siamo, come esseri umani, che il concetto di essere umano è vasto, misterioso, ma ho anche percepito la nostra estrema vulnerabilità e compreso che il confine tra chi è integrato nella società, e chi non lo è più, è sottilissimo. Perdere tutto e diventare invisibili è davvero molto facile, ognuno di noi in pochissimo tempo potrebbe ritrovarsi a vivere sulla strada. Ho compreso che la cosa che più conta è quella di avere una casa, non parlo solo di una casa in senso fisico, ma di un qualcosa di molto più profondo legato alla nostra essenza, una casa vuol dire senso di appartenenza a una comunità vasta, piena di amore, compassione. E’ questa la ragione che mi ha spinto a produrre questo film, la ricerca profonda di una casa comune, di un posto nel quale siamo e dal quale veniamo ”.
Una casa che a quanto pare sembra non esistere.
“Durante le riprese nessuno mi ha aiutato (oltre che riconosciuto) e non è che le persone non mi abbiamo visto, hanno scelto di non vedermi. Il film non è stato costruito come di routine, abbiamo girato in un quartiere benestante di New York con telecamere nascoste e senza una sceneggiatura, ci siamo basati solo sul resoconto di quella che è la realtà, su quello che accade tutti i giorni, la nostra intenzione non è stata di commuovere, o attirare l’attenzione del pubblico con scene lacrimevoli, ma di raccontare la vita di queste persone nel loro quotidiano”, ha spiegato l’attore.
Il film è stato partorito dopo anni di meditazione e frequentazioni con associazioni di volontariato, ma soprattutto si ispira alla storia vera di un barbone, meglio noto come Cadillac Men, e al suo libro Land of the Lost Soul.
“Cadillac Men non solo è diventato mio grande amico – ha dichiarato Richard Gere – ma è anche stato il supervisore del film e mi auguro veramente che questo nostro lavoro possa servire a qualcosa, a far capire che ormai sono le persone che possono aiutare, curare altre persone, non sono i soldi, non sono i governi, non è la politica, ma sono gli esseri umani, è il collegamento tra gli esseri umani, è il guardarsi negli occhi, raccontarsi delle storie, saper ascoltare le storie degli altri, ecco, credo che questo sia l’inizio di qualsiasi processo di guarigione, psicologica, emotiva, ma anche fisica”.
I numeri d’altra parte sono allarmanti, parlano chiaro e raccontano il fallimento della politica, se a Roma ci sono 7000 persone che vivono per strada e in Italia 50mila, a New York sono 60mila e in tutti gli Stati Uniti parliamo di un milione di persone senzatetto.
“Negli States le cifre sono impressionanti, anche qui però ho visto nelle strade senzatetto un po’ ovunque, allora il nostro atteggiamento deve essere questo, o ci giriamo dall’altra parte e facciamo finta che queste persone non esistano, oppure cominciamo a guardarle e a occuparci di loro”.
Insomma, Gere ha rilanciato la palla all’individuo, bocciando la politica, anche se in calcio d’angolo (ma non nel suo film) ha voluto salvare l’operato di Obama con una frase ad effetto, quasi una battuta, al giornalista che ha chiesto una valutazione riguardo questo tema delicato, in rapporto alle primarie Usa 2016, ha risposto: “Sto facendo attività di lobby per cambiare la Costituzione americana… così che Barack Obama possa fare ancora un altro mandato!”.
“Gli Invisibili” sarà presentato al Taormina Film Fest e sostiene la campagna #HomelessZero, portata avanti in Italia da Fio.PSD, la Federazione Italiana degli Organismi per le Persone Senza Dimora.
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