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April 18, 2016
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A Lesbo l’ennesima lezione di Francesco alla pavida Europa

Il significato del viaggio del papa nell'isola greca dove sbarcano i rifugiati siriani provenienti dalla Turchia

Tommaso Della LongabyTommaso Della Longa
papa lesbo migranti

Papa Francesco incontra i rifugiati nell'isola di Lesbo

Time: 3 mins read

Mentre l’Unione europea metta la testa sotto la sabbia come gli struzzi e paga la Turchia per fermare i flussi migratori, il Papa continua sulla sua strada fatta di atti rivoluzionari e di comunicazione forte e diretta. Francesco, come prima visita nella sua veste di Pontefice, aveva scelto l’isola di Lampedusa. Lo scorso 16 aprile è stata invece la volta di Lesbos, l’isola greca a due passi dalle coste turche, un tempo famoso per i versetti della poetessa Saffo e oggi luogo simbolo dei flussi migratori. Migliaia di donne, uomini e bambini sono passati su queste coste, per poi puntare verso l’Europa centrale e settentrionale. Dopo gli accordi con la Turchia, che poi diciamocelo sono vergognosi quanto come i respingimenti di berlusconiana memoria solo infiocchettati meglio e molto più trendy, la Grecia è diventata un luogo senza via di uscita per decine di migliaia di siriani, afghani, iracheni. Il Papa ha deciso così di volare a Lesbos per una visita lampo, accendendo coraggiosamente i riflettori sul dramma dell’immigrazione. E le parole di Francesco sono state solidali e forti, come d’altra parte ci ha sempre abituato. “Non siete soli”, ha detto ai migranti del Moria Refugee Camp e poi si è rivolto al Vecchio Continente: “L’Europa è la patria dei diritti umani e chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare”.

Le immagini raccontano un Papa che vola in Grecia per riportare al centro l’umanità, fatta di abbracci e parole per ogni singolo migrante incontrato. E ancora, raccontano di un Papa che ha voluto accanto a sé il Patriarca Bartolomeo e l’arcivescovo Hieronymos per testimoniare, ancora una volta, la rinnovata vicinanza con la Chiesa Ortodossa. “Siamo venuti per richiamare l’attenzione del mondo su questa grave crisi umanitaria e per implorarne la risoluzione – ha detto il Papa – Come uomini di fede, desideriamo unire le nostre voci per parlare apertamente a nome vostro. Speriamo che il mondo si faccia attento a queste situazioni di bisogno tragico e veramente disperato, e risponda in modo degno della nostra comune umanità”.

“Andiamo a incontrare la catastrofe più grande dopo la Seconda guerra mondiale. Vedremo tanta gente che soffre, che non sa dove andare, che è dovuta fuggire. E andremo anche in un cimitero, il mare: tanta gente lì è annegata. Lo dico non per amareggiare ma perché anche il vostro lavoro di oggi possa trasmettere nei vostri media lo stato d’animo con cui faccio questo viaggio”, ha spiegato ai giornalisti sul volo verso la Grecia.

Ha voluto usare parole “forti” perché “forte” è la situazione. E poi la mossa che ha sorpreso tutti quanti: tre famiglie siriane sono state portate via da Lesbos in aereo con Francesco, destinazione Roma. Il Papa “ha voluto fare un gesto di accoglienza nei confronti dei rifugiati accompagnando a Roma con il suo stesso aereo tre famiglie di rifugiati dalla Siria, 12 persone in tutto, di cui 6 minori. Si tratta di persone che erano già presenti nei campi di accoglienza di Lesbo prima dell’accordo fra Unione Europea e Turchia. Tutti i membri delle tre famiglie sono musulmani”, spiega padre Federico Lombardi, il direttore della Sala stampa del Vaticano. “Sono tutti figli di dio”, ha detto Francesco parlando della fede musulmana dei siriani trasferiti a Roma. Le tre famiglie saranno ospitate a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio, a spese del Vaticano. Un ennesimo gesto rivoluzionario di un Papa che ha voluto riportare al centro del proprio pontificato l’importanza dei piccoli gesti.

“Una goccia d’acqua nel mare, ma dopo quella goccia il mare non sarà lo stesso”, ha detto Francesco citando Madre Teresa, mentre commentava la decisione di portare le tre famiglie siriane a Roma. Certo, una decisione molto forte dal punto di vista comunicativo che forse potrebbe anche sembrare una “decisione-spot” non proprio rispettosa nei confronti delle centinaia di migranti ancora fermi sull’isola. Di certo, però, una decisione che lancia un segnale ai governanti europei che chiudono le frontiere, usano termini come “invasione” per i flussi migratori, soffiano sul fuoco di razzismo e xenofobia e magari poi si professano anche cattolici di Santa Romana Chiesa.

Nella semplicità di un abbraccio e nella durezza di certe parole usate dal Papa si dovrebbe leggere l’attivismo di una Chiesa cattolica sempre più centrale a livello internazionale. E si dovrebbe sentire il grido di dolore per guerre che vanno avanti da anni e che l’Occidente non vuole o non riesce più a fermare. “I profughi non sono numeri, sono persone: sono volti, nomi, storie, e come tali vanno trattati”, ha scritto il Pontefice su Twitter. Ora, dopo il grande avvenimento, ci sarebbe bisogno, come invochiamo da anni, di un nuovo protagonismo europeo. Drammaticamente, mentre scriviamo queste righe, arriva la notizia di centinaia di somali annegati mentre cercavano di raggiungere l’Italia dall’Egitto via mare. E l’Unione europea continua a pensare solamente ad arroccarsi dentro la propria fortezza, dimenticando la propria storia, i propri ideali, la propria civiltà.

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Tommaso Della Longa

Tommaso Della Longa

Giornalista, giramondo, romano e romanista, classe 1980. Scrittura e viaggio sono la mia vita. Per anni freelance in zone di crisi, poi nell’umanitario, prima nella Croce Rossa Italiana e poi in quella Internazionale. Ho tanti posti preferiti, tra cui Gerusalemme, Beirut, il Turkana e Belfast. Porto nel cuore le storie delle persone incontrate, dal Congo alla Siria, fino alle strade italiane. Il sorriso dei migranti, in Serbia come in Iraq o a Lampedusa, mi spinge ad andare avanti cercando di capire, imparare e raccontare sempre la verità, anche se scomoda. Ho denunciato gli abusi “in divisa”, come ho indagato sulle pagine buie degli anni di piombo. Dopo un anno a Beirut, sono tornato a Roma, perché ancora credo si possa costruire qualcosa in Italia. Sono un irriducibile idealista, lo so.

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