La Pasqua è una festività mobile, poiché è correlata con il ciclo lunare e la sua data varia di anno in anno. Infatti, Pasqua cade sempre la prima domenica dopo la prima luna piena di primavera, come fu deciso in occasione del Consiglio di Nicea nel 325 DC.
La Pasqua coincide con l’arrivo della primavera e con gli alberi e giardini che cominciando a fiorire spargendo nell’aria profumi inebrianti. Perciò, dopo un lungo e buio inverno non è una sorpresa che le delizie della primavera siano integrate nelle celebrazioni pasquali sia in Italia che nel mondo, rendendo la Pasqua non solo una celebrazione religiosa ma anche una festa di cibi e tradizioni tramandate da generazioni.
Le feste sono belle ma possono essere anche nostalgiche perché ci portano indietro nel tempo, facendoci ricordare il nostro passato, un mondo molto diverso da quello in cui viviamo oggi. Quando ero bambina in Calabria, la nonna paterna (dalla quale porto il nome, Filomena) il Giovedì Santo preparava i dolci di Pasqua per tutti i suoi figli e nipoti. I dolci erano tanti e diversi ma tutti cotti nel forno a legna di campagna che si usava per cuocere il pane. La nonna, con passione e gioia, passava la giornata a cuocere dolci con l’aiuto delle figlie e le nuore. Era un giorno veramente speciale, e il profumo di limone, cannella e vaniglia si sentiva da lontano. Tra i dolci, ce n’era uno speciale assegnato a ogni nipote, la cuddhura di Pasqua; una ciambella intrecciata e decorata con uova che può essere sia dolce e sia salata.
Questo dolce o pane si regalava in segno augurale per la domenica di Pasqua; preparato con ingredienti semplici della tradizione contadina è diffuso in Calabria e nell’Italia meridionale, ed è simbolo di rinascita e d’abbondanza. Le forme possono essere diverse, ma non devono mancare le uova poste nel centro o sui lati della ciambella. La cuddhura pasquale è conosciuta con altri nomi, e anche la ricetta tramandata da una generazione all’altra, è diversa da famiglia a famiglia e da regione a regione. Il termine cuddhura deriva dal greco antico κολλύρα (kollura) che significa corona. Oggi questo nome italianizzato ha origine da un dialetto dell’Italia meridionale molto diffuso, con tutte le sue varianti, in Calabria, Sicilia, Puglia, Basilicata, e Campania.
A quei tempi era uso che i bambini portassero le ciambelle di dolce o di pane in chiesa la sera di Giovedì Santo per farli benedire e conservarli poi per il giorno di Pasqua. Oggi, anche se la Pasqua è ancora un momento per celebrare la rinascita e il rinnovamento della nuova vita, della natura, e delle tradizioni, la cuddhura è sostituita da altri simboli come: il coniglio di Pasqua, la colomba, l’agnello, e uova di Pasqua di tutti i tipi e misure. Anche questi simboli che si sono evoluti dall’antica tradizione pagana che nel corso degli anni, per mancanza di tempo, hanno sostituito la tradizione dei dolci fatti in casa. Bensì queste dolci e simboli pasquali non mancano a New York, gli italoamericani conservano vive le tradizioni dei dolci fatti in casa, anche se ci sono delle varianti in paragone a quelli tradizionali italiani di tanti anni fa.

Da quando vivo a New York la ciambella di Pasqua si fa ogni anno con pasta di pane, per mancanza di tempo, oppure con la tradizionale ricetta dolce. Mia nuora Angela, italoamericana di terza generazione, ama fare i dolci che gli aveva insegnato sua nonna di origine siciliane. Ogni anno prepara la pastiera napoletana, un dolce che rappresenta l’emblema della cucina partenopea. Dalle origini molto antiche, la pastiera è famosa a New York e in tutto il mondo, una torta classica che si consuma tradizionalmente nel periodo pasquale.
Mia nipote Giulia, invece, italo-americana di prima generazione, colora le uova e fa i dolci pasquali con la ricetta di sua nonna. Naturalmente, i sapori dei dolci possono essere diversi da quelli fatti in casa in Italia, dipende dalla variazione della ricetta e dagli ingredienti usati, ma quello che importa agli italo-americani è tramandare la tradizione italiana e non dimenticare o rinnegare le proprie origini.
Treccia pasquale o cuddhura di Pasqua
Questo dolce per la sua dolcezza è tra un pane e una torta. A forma di anello intrecciato oppure non, con un sapore distinto che viene dalla scorza dei limoni. Le uova incastonate devono essere per tradizione sempre dispari, uno, tre, o cinque, e per la decorazione si ricopre la ciambella di confetti o confettini colorati a piacere, ma si possono usare anche mandorle e pinoli, ma prima di metterla in forno si spennella la ciambella di rosso d’uovo per renderla lucida e dorata.

Ingredienti:
500 grammi di Farina
125 grammi di Zucchero
1/4 di litro di Latte
6 uova
2 rossi d’uovo
3 cucchiai di olio extravergine d’oliva
100 grammi di burro (la nonna usava strutto di maiale fatto in casa)
1 bustina lievito per dolci
1 pizzico di Sale
La scorza di un limone grattugiata
Per guarnire a piacere: Confetti colorati, mandorle, pinoli zucchero ect.

In un contenitore abbastanza grande sbattere le uova con lo zucchero e aggiungere il lievito sciolto nel latte, il sale, e la farina.
Lavorate il tutto con le mani affinché l’impasto diventi morbido ma non attaccaticcio, se l’impasto si presenta troppo soffice aggiungere piano, piano un po’ di farina e continuare il lavoro sulla spianatoia.
Quando la pasta è liscia e morbida dividere l’impasto in tre pezzi uguali, ma lasciatene un pezzetto per le uova. Con i 3 pezzi di pasta fare dei rotoli per realizzare una treccia nella quale verranno inserite le uova lavate e asciugate, colorate oppure no; ricordatevi che le uova devono essere sempre in numero dispari. Con la pasta messa da parte fare dei rotolini sottili, e coprire a forma di croce le uova inserite. Spennellare con il rosso d’uovo mischiato con un cucchiaio di latte e cospargere di confetti colorati, mandorle e/o pinoli. Cuocere in forno preriscaldato a 180°C (350 F) per 30 minuti. Deve essere cotta e dorata ma non deve essere troppo scura, per questo è importante regolarsi a secondo del forno in uso.