Con la legge n. 92 del 30 marzo 2004, il Parlamento italiano ha scelto la data del 10 febbraio, in cui ricorre l’anniversario della firma del trattato di pace tra l’Italia e le potenze alleate nel 1947, come Giorno del Ricordo, al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia delle foibe, dell’esodo di istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e, più in generale, delle complesse vicende del confine orientale. La consueta commemorazione che il Consolato Generale d’Italia a New York assicura ogni anno, non ha potuto avere luogo nel giorno stabilito a causa dell’arrivo nella Grande Mela del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale, tuttavia, nell’incontro con la collettività, non ha mancato di fare un riferimento molto sentito al Giorno del Ricordo.
Il Console Generale Natalia Quintavalle ha quindi riprogrammato un evento per venerdì 26 febbraio, dedicato a questa importante ricorrenza, sempre nello spirito di mantenere vivo il ricordo e onorare le migliaia di persone che furono deportate, subendo violenze e torture. La cerimonia si è aperta con un suo saluto, in cui ha ringraziato l’Ingegner Clapcich e il Dottor Tommaseo (Presidenti dell’Associazione Giuliani nel Mondo) per la loro partecipazione e per le loro preziose testimonianze. “Siamo convinti – ha dichiarato il Console Generale – che solo dalla ricostruzione della storia e dall’accettazione delle responsabilità che ne derivano, si possano porre le basi per il superamento di qualsiasi forma di odio, razzismo, intolleranza e discriminazione”. Quelli che riuscirono a scappare, furono costretti a un esodo forzato, che li costrinse ad abbandonare tutto ciò che avevano e a trasferirsi in altre parti del paese o del mondo. Così come negli Stati Uniti, le comunità che si sono formate all’estero hanno dato un sostegno molto forte a questa attività, volta a preservare la memoria perché questa ricorrenza fosse riconosciuta a livello istituzionale. “Come sapete – ha aggiunto Quintavalle – sto per lasciare New York e questo è un uno degli ultimissimi eventi a cui partecipo. Ci tenevo particolarmente e sono felice di essere riuscita a organizzarlo prima della mia partenza”.

Clapcich è poi intervenuto con la presentazione di Trieste, città simbolo dei grandi vissuti lungo il confine orientale, riportando agli eventi che hanno coinvolto le grandi potenze mondiali, incluse le Nazioni Unite, durante e specialmente dopo la fine della seconda guerra mondiale. La città di Trieste, che ha disturbato il sonno a Truman, Eisenhower, Churchill, Tito e Stalin, ha ospitato il maggior numero di istriani, fiumani e dalmati dal settembre del 1943 all’ottobre del 1954: 11 anni in cui sul suolo triestino hanno marciato austriaci, tedeschi, jugoslavi, neozelandesi, francesi, inglesi, americani e infine italiani. Come nessun’altra città d’Italia, Trieste ha accolto l’unico campo di sterminio nazista, dove furono bruciate nei forni crematori circa cinquemila persone, soffrendo le atrocità titine per 42 giorni.

Tommaseo ha poi ricordato la più grande e sconosciuta strage dell’Italia repubblicana, quella di Vergarola, causata dall’esplosione di materiale bellico e avvenuta sulla spiaggia omonima a Pola il 18 agosto 1946. L’esplosione provocò la morte di circa cento persone. Più grande della strage di Piazza Fontana, più grande della strage della stazione di Bologna, ma senza una sola riga in qualsiasi testo. Tuttavia, per Vergarola, per più di settant’anni nessun orologio si è fermato come nella stazione di Bologna, nessuna targa è stata esposta come in Piazza Fontana. Per Vergarola non sono state spese parole, né inchiostro fino a poco tempo fa, quando Simone Cristicchi l’ha ricordata nel suo spettacolo Magazzino 18. L’anno scorso anche la Camera dei Deputati ha commemorato la strage.
Oggi le vittime sono ancora sepolte a Pola, dove una delle famiglie locali ha messo a disposizione un tomba in cui sono sepolti in sessantotto. “A questi sessantotto – ha dichiaratoTommaseo – e a quei venti di cui non sapremo mai i nomi, oggi abbiamo cercato in questo breve intervento di ridare la dignità, di ricreare l’esistenza, perché la peggior morte per istriani, fiumani, dalmati e per ogni esule, non consiste nell’andar via, ma nell’essere ignorati”.