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February 24, 2016
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I droni di Sigonella e l’Italia serva degli americani

L'accordo per far partire dalla base della Sicilia i droni americani anti ISIS

Tommaso Della LongabyTommaso Della Longa
droni sigonella
Time: 3 mins read

La questione è semplice. Semplicissima. L’Italia per norma costituzionale “ripudia la guerra” e ha anche firmato la Carta delle Nazioni Unite che si dice contraria alla guerra come relazione tra stati. Eppure per l’ennesima volta abbiamo scoperto che il suolo italiano è la base di partenza di bombardamenti e azioni militari, non italiane ovviamente, ma straniere, nello specifico statunitensi. Questa volta lo abbiamo scoperto tramite il Wall Street Journal e non purtroppo tramite il Parlamento: un accordo tra Italia e Stati Uniti permetterà a questi ultimi di usare la base siciliana di Sigonella (già tristemente nota nel 2011 come base di partenza di caccia militari NATO) per far partire i famigerati droni, aerei senza pilota, per bombardare postazioni terroristiche dell’ISIS. Come se questo non bastasse, grazie a WikiLeaks, scopriamo quasi nelle stesse ore che l’NSA (National Security Agency) spiava in santa pace il Premier italiano Silvio Berlusconi . Ora, va bene tutto. Ma la parola “alleato” dovrebbe significare prima di tutto correttezza e trasparenza. Invece, per l’ennesima volta, scopriamo che il nostro paese è forse considerato alla stregua di una colonia.

Negli ultimi 70 anni l’Italia ha accettato di avere sul suolo patrio basi e installazioni militari che vengono considerate come fossero un prolungamento degli Stati Uniti d’America. Certo, lo ha fatto in primis perché ha perso una guerra e poi perché c’era il cosiddetto “terrore russo” da fronteggiare con l’Alleanza atlantica – NATO. O almeno, queste erano le scuse principali.  Accanto a questo, però, la politica italiana ha sempre avuto un’enorme ingerenza da parte americana, dalla DC ai servizi segreti, fino alla strategia della tensione. Certo, dall’altra parte c’erano il KGB, l’URSS e il PCI, ma il risultato non cambia: il motivo del contendere era conquistare, anche se non ufficialmente, il nostro suolo per motivi strategici e geopolitici. Insomma farne sempre una colonia. Sarebbe troppo semplice parlare di Gladio, dei depistaggi, della strage di Ustica e quella più recente del Cermis, dell’assassinio dell’agente segreto Nicola Calipari, dei bombardamenti in Serbia, delle guerre che siamo stati obbligati a condurre in Iraq, Afghanistan, Libia. Ma la domanda che sorge spontanea è: per quanto tempo ancora accetteremo di farci trattare come una colonia?

Ma torniamo al fatto di cronaca. Il premier Matteo Renzi e il ministro della Difesa Roberta Pinotti hanno fatto sapere (badate bene, solo dopo la fuga di notizie) che sì l’accordo c’è, ma verrà valutato “caso per caso”. Scusatemi ma considero questa risposta ancora più agghiacciante. E’ come andare in Iraq per “motivi umanitari” e, caso strano, essere inviati proprio nella zona dove l’ENI ha i pozzi petroliferi . Abbiate il coraggio di dire quello che state facendo. L’Italia ha chinato la testa alle richieste statunitensi di un nostro maggiore coinvolgimento e sigla accordi segreti senza passare per il Parlamento. Ora Washington sarà contenta: siamo in prima fila nella cosiddetta lotta al terrorismo. O peggio, ci stiamo preparando a un’altra insensata guerra in Libia. Qual è la strategia? Dove ci porterà tutto questo? Da cittadino italiano posso pretendere che qualcuno mi risponda? O forse devo immaginare che il nostro ministro della Difesa e il nostro Premier (che per inciso non sono consiglieri militari) saranno raggiunti al telefono, 24 ore su 24, ogni volta che un drone dovrà partire per bombardare qualcuno o qualcosa? Siamo seri per favore.

Eppure qualcuno aveva fatto vedere che, sì, un altro modo di fare è possibile. Era l’ottobre 1985 e proprio a Sigonella l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi diede l’ordine ai militari italiani di puntare i fucili su quelli statunitensi che pensavano di poter usare quella base come un prolungamento degli Stati Uniti. In mezzo la questione del sequestro dell’Achille Lauro e i militanti palestinesi. Quella storia ci dice che possiamo non chinare la testa, possiamo dire la nostra, possiamo evitare di dire sempre sì. Quasi 31 anni dopo, senza più muri e Unione Sovietica, forse dovremmo rivedere il concetto di “alleato”, magari con gli altri stati europei. Forse dopo settant’anni potremmo pensare di “autodeterminarci”, smettere di essere una colonia e soprattutto evitare di essere un mero ingranaggio di una prossima guerra. Nel ’98, dopo la strage del Cermis, mi ricordo un manifesto nel mio quartiere, il Trieste-Salario, a Roma che recitava così: “Se questi sono gli alleati, non abbiamo bisogno di nemici”. Come dargli torto? Normalmente sono i nemici a spiare, sabotare, conquistare, usare il suolo altrui come fosse il proprio.

Post scriptum per i nostri parlamentari: cosa aspettate a fare le barricate per bloccare questo scempio? Non va più di moda essere contro la guerra e difendere la Costituzione?

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Tommaso Della Longa

Tommaso Della Longa

Giornalista, giramondo, romano e romanista, classe 1980. Scrittura e viaggio sono la mia vita. Per anni freelance in zone di crisi, poi nell’umanitario, prima nella Croce Rossa Italiana e poi in quella Internazionale. Ho tanti posti preferiti, tra cui Gerusalemme, Beirut, il Turkana e Belfast. Porto nel cuore le storie delle persone incontrate, dal Congo alla Siria, fino alle strade italiane. Il sorriso dei migranti, in Serbia come in Iraq o a Lampedusa, mi spinge ad andare avanti cercando di capire, imparare e raccontare sempre la verità, anche se scomoda. Ho denunciato gli abusi “in divisa”, come ho indagato sulle pagine buie degli anni di piombo. Dopo un anno a Beirut, sono tornato a Roma, perché ancora credo si possa costruire qualcosa in Italia. Sono un irriducibile idealista, lo so.

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