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Mattarella, la leadership e lo scetticismo degli studenti

Il discorso del Presidente alla Columbia e la reazione di chi lo ha ascoltato

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
mattarella columbia

Il Presidente Sergio Mattarella alla Columbia University (Ph. Quirinale.it)

Time: 9 mins read

Nel suo secondo giorno a New York, giovedì mattina, il Presidente Sergio Mattarella ha tenuto un lungo discorso alla Columbia University  intitolato, “In the age of change: managing current development in the Mediterranean through Europe”. La grande sala della “Rotunda” nella prestigiosa università era piena, e la crisi dei profughi nel “Mediterraneo” era la questione che gli studenti, ci hanno poi detto in molti rispondendo alle nostre domande, più attendevano di ascoltare dal Presidente della Repubblica italiana.

Dopo essere stato introdotto dal presidente della Columbia, il professore Lee Bollinger – esperto di libertà di stampa e giornalismo, ndr -, che di Mattarella ha ricordato anche la figura del fratello, Piersanti – il presidente della Regione Siciliana ucciso nel 1980 mentre cercava di combattere la mafia e le sue ramificazioni con la politica – il presidente della Repubblica ha iniziato il discorso in cui il messaggio principale, sulla leadership necessaria ai paesi occidentali per governare le difficili sfide che li attendono, è arrivato subito nei primi passaggi:

“E’ evidente che, in qualsiasi sistema liberale e democratico, a fare la differenza, accanto alla efficacia dei risultati, è la modalità di selezione degli obiettivi e delle leadership. Vi è, cioè, una doppia legittimazione che caratterizza l’esercizio di una guida, che deve essere espressione di una ‘coscienza comune’. Onorare una leadership, in altri termini significa assunzione di responsabilità per l’attuazione nell’azione politica di valori e principi condivisi. Essere leader non è condizione astratta. La leadership si forma sapendo corrispondere alle sfide proposte dalla realtà”.

Mattarella, individua nella leadership occidentale e nella “straordinaria amicizia e comunanza di vedute a lungo termine” sviluppata tra le due sponde dell’Atlantico dopo due guerra mondiali che “hanno contribuito a definire una comunità di valori”, come la “libertà e democrazia” con i quali adesso provvedere all’ “indispensabile contributo alla gestione e risoluzione delle crisi che il mondo si trova ad affrontare con sempre maggiore intensità e frequenza”.

Eppure questa leadership atlantica, secondo Mattarella  “viene chiamata, ogni giorno, a riaffermare la testimonianza dei propri valori con coerenza, ad incarnarli in una realtà mutevole ed esigente, di cui sono segni evidenti la minaccia del terrorismo, sempre più presente nel nostro quotidiano; la portata epocale dei flussi migratori e, infine, l’insorgere di nuove crisi e l’aggravarsi di antiche tensioni nella regione del Mediterraneo”.

Per come affrontare queste crisi di “interesse capitale” per gli Stati Uniti, l’Europa l’Italia,  Mattarella chiede aiuto al teorico della Guerra Fredda – o meglio della teoria del Containment – George Kennan, che alla fine del suo famoso “long telegram” inviato nel 1946 al Dipartimento di Stato da Mosca, scriveva  che “dobbiamo avere coraggio e fiducia in noi stessi e rimanere fedeli ai nostri metodi e alla nostra concezione della società. Dopo tutto il più grande pericolo nel quale possiamo cadere … è di permettere a noi stessi di divenire uguali a coloro che stiamo affrontando”.  Per Mattarella, infatti, “agendo diversamente potremo forse vincere alcune battaglie, assicurarci qualche vantaggio transitorio, ma finiremmo per dimenticare – e irrimediabilmente mancare – il nostro obiettivo fondamentale: assicurare a ciascuno benessere e progresso in misura pari a quella di cui noi stessi possiamo oggi godere. È il diritto alla ricerca della Felicità, così mirabilmente contenuto ed espresso nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, approvata nel 1776. È questo l’universo di valori che dobbiamo consegnare alle nuove generazioni, nell’auspicio che esse si impegnino a preservarlo e a migliorarlo”.

mattarella_sergio_columbiaIl terrorismo, ha affermato Mattarella, “è la minaccia più dirompente che le nostre società stanno affrontando. Una minaccia che non ha confini, che si alimenta di un’irrazionale pulsione distruttiva e di una serie di insidiosi anti-valori. Essi appaiono costruiti come l’antitesi stessa delle fondamenta sulle quali poggiano le nostre società. La pericolosa diffusione del fenomeno, che si giova dei benefici e degli strumenti della globalizzazione, non risparmia nessun continente e costituisce un pressante monito per tutti noi”. È illusorio, aggiunge, “pensare che i singoli Paesi, separatamente, possano riuscire a sconfiggere questo nemico… Il terrorismo punta, in primo luogo, ad impaurirci e, di conseguenza, a condizionarci. Non lo permetteremo. Difenderemo sempre e ovunque le conquiste della nostra civiltà e la libertà delle nostre scelte di vita”.

Mattarella non crede che siamo difronte ad uno “scontro di civiltà”, il pericolo terrorista nasce da altre ragioni: “Una minaccia che si alimenta dell’instabilità e sfrutta la guerra, la povertà e le tensioni sociali che tengono in ostaggio una quota ancora troppo importante della popolazione mondiale. Si frantumano società antiche e non si pongono basi per le nuove. Queste – e non un presunto scontro di civiltà – sono le principali cause della diffusione del terrorismo e dell’affermarsi di Daesh. La minaccia prospera laddove gli Stati ‘falliscono'”.

Quindi per Mattarella Daesh (o ISIS)  “è la negazione di ogni quadro giuridico nel quale i diritti della persona trovino garanzia nella supremazia della legge; la negazione dello Stato di diritto, strumento in grado di costruire relazioni con altri Stati per raggiungere insieme obiettivi di progresso nell’interesse dell’umanità. Le conseguenze di questa barbarie le abbiamo purtroppo avute di fronte ai nostri occhi nelle nostre stesse città e nelle immagini delle terribili esecuzioni di esseri umani inermi. Il fenomeno dei profughi che l’Europa sta affrontando in questo periodo affonda le proprie radici nel medesimo humus: guerra, povertà, tensioni sociali”.

Che fare quindi? Per Mattarella “non possiamo dimenticare che le migrazioni costituiscono uno dei grandi eventi ricorrenti nella storia dell’uomo: non ha alcun senso combatterle, dobbiamo invece governarle. L’unica risposta possibile è quindi quella di un impegno che nasca da una rinnovata unità di intenti da parte della comunità internazionale e, per quanto riguarda il mio Paese in particolare, dalla più stretta collaborazione fra Stati membri e Istituzioni dell’Unione Europea. Milioni di uomini, donne e bambini sono in cammino in questo momento in Africa, in Medio Oriente, per sfuggire alla morte o alla fame. Le organizzazioni regionali, secondo quanto indica la Carta della Nazioni Unite, sono chiamate ad un ruolo attivo. Vale per le crisi umanitarie, vale per il perseguimento e la realizzazione di aree sempre più vaste di prosperità. L’Europa deve essere efficace nella sua azione”.

Per Mattarella, l’opinione pubblica europea, a differenza di altre, non è stata preparata ad affrontare il fenomeno migratorio per quello che storicamente è:

“La crisi migratoria che ha, sin qui, investito l’Europa non ha dimensioni numeriche comparabili a fenomeni che hanno – e hanno avuto – luogo in altre parti del pianeta. Gli stessi Stati Uniti  accolgono ogni anno quasi un milione di nuovi cittadini stranieri, che continuano a incontrarvi la terra nella quale realizzare le proprie speranze di vita mentre il Paese si avvantaggia della loro presenza e fonda la sua prosperità anche sul loro apporto. Tuttavia, l’impatto della crisi migratoria sul processo di integrazione europea si sta rivelando ben più problematico rispetto alla recente crisi dell’Euro, a causa dei suoi pesanti effetti di radicalizzazione delle opinioni pubbliche interne. Una radicalizzazione che porta con sé il rafforzamento di forze populiste e del loro messaggio solo apparentemente seducente, spesso incentrato su un antistorico e irrealistico ritorno a nazionalismi che – come la storia ha ormai dimostrato – sono senza futuro”.

Ecco perché “leadership è saper rispondere alle sfide: auspico vivamente che anche dalla crisi migratoria l’Unione Europea possa acquisire ulteriori spinte per rafforzare la propria coesione”.

Per Mattarella, si combatte Daesh e si governa il fenomeno migratorio, soprattutto offrendo “una speranza di futuro. Vi sarà sempre un “dopo”, ed è in questo “dopo” che dovremo continuare a operare affinché siano garantiti più diritti e più tutele che tanti siriani, afghani, eritrei, somali sperano di ottenere emigrando verso l’Europa, a rischio della loro stessa vita e – ciò che è ancora più spaventoso e doloroso – di quella dei propri figli che, troppe volte, muoiono annegati nel Mediterraneo”.

Oggi “per la prima volta dalla fine della guerra fredda, l’Europa si trova a confronto con una doppia sfida”: al suo interno “il processo di integrazione che solo pochi anni fa ha toccato il suo apice con l’avvio della moneta unica sta subendo un rallentamento, sia sul piano del completamento delle strutture relative alla governance economica, sia in termini di libera circolazione dei propri cittadini”, mentre sul fronte esterno “la politica estera e di difesa dell’Europa e quella dei suoi Stati membri si sono sovente sovrapposte, e non sempre in maniera coerente”.

Nel 2015 – ha ricordato ancora – “abbiamo celebrato il settantesimo anniversario della fine della seconda Guerra Mondiale e ricordato il centenario dell’inizio della Prima. Due tragedie globali nate in Europa dalle cui immani sofferenze è nata, è cresciuta e si è radicata l’idea di un’Europa che sapesse unirsi piuttosto che combattersi, progetto all’avvio del quale gli Stati Uniti d’America hanno dato un contributo determinante. Gli Stati Uniti, in diversi momenti della loro storia – hanno saputo assolvere a un fondamentale ruolo di leadership alla guida dei Paesi democratici. L’appoggio degli Stati Uniti è stato determinante, dopo la conclusione della seconda Guerra Mondiale, per un nuovo equilibrio europeo”. L’Ue, insomma, “è il risultato di un lungo e vitale processo”, una “storia che ha prodotto diritti e accresciute tutele per tutti. Che ha generato sicurezza e offerto un modello di convivenza plurale. Sono traguardi ai quali non possiamo rinunciare”.

Ecco perché “la partnership atlantica rimane un punto di riferimento essenziale”.

Anche alla Columbia, Mattarella ha citato le riforme in atto in Italia e ribadito il ruolo del Paese nell’Ue continuando “a proporre una linea politica fra le più avanzate in tema di integrazione, di crescente integrazione, d’intesa con i partner che condividono questa visione. Turbolenze finanziarie, crisi politiche e umanitarie si sovrappongono in un intreccio di spinte centrifughe che è imperativo bilanciare e – soprattutto – governare. Dobbiamo saper essere all’altezza di questo compito, esercitando un’azione intelligente e decisa. Lo dobbiamo fare insieme, mostrando l’attualità dei nostri principi, il coraggio delle nostre idee, la forza delle nostre democrazie, la solidità delle nostre Istituzioni”.

“È questa – ha concluso – l’idea di leadership che l’Italia predilige, una leadership collegiale di idee e valori che contribuisce, giorno dopo giorno, ad unire in un dibattito leale e fecondo partner e alleati, nel quotidiano impegno a favore della pace, della stabilità e del benessere di tutti i popoli”.

Dopo il lungo intervento sono arrivate alcune domande degli studenti, moderati dalla professoressa di economia Alessandra Casella, che hanno toccato alcuni punti del suo discorso, quindi crisi migranti, la Turchia e il rapporto con l’Europa, lo stato dell’Unione europea. Ad un certo punto uno studente italiano ha fatto una domanda riprendendo un passaggio del discorso di Mattarella che aveva elogiato la stagione di riforme costituzionali in atto in Italia. Mattarella nel suo discorso, aveva detto:

“L’Italia attraversa un periodo di cambiamento, sotto il profilo sia politico sia economico. Dopo anni di dibattito, il Parlamento sta per approvare definitivamente un’importante riforma della Costituzione che trasforma il ruolo del Senato da seconda Camera politica – con le medesime attribuzioni della Camera dei Deputati – in Assemblea rappresentativa delle Regioni e dei poteri locali. In questi mesi sono entrati in vigore anche altri importanti provvedimenti: una profonda riforma del mercato del lavoro; una riforma del sistema scolastico; una riforma della Pubblica Amministrazione, cui si sta gradualmente dando attuazione, che permetterà di aumentare l’efficienza dell’apparato statale; un miglioramento del sistema fiscale che mira a ridurre l’evasione e l’elusione fiscale, rafforzando il rapporto fra cittadini, imprese e Stato; una riforma del sistema previdenziale e quella, in parte realizzata e in parte in corso, della giustizia. Si tratta di passi che stanno consentendo un significativo recupero di efficienza e di competitività per il nostro Paese, la cui economia, non a caso, è tornata a crescere nel 2015 e – secondo le previsioni più attendibili – consoliderà questa dinamica positiva nel 2016”.

Lo studente italiano della Columbia, quindi ha chiesto: Presidente, come si fa ad essere a favore di riforme costituzionali che vengono approvate da un Parlamento eletto da una legge dichiarata incostituzionale e in cui siedono ancora molti deputati indagati?

Mattarella, che probabilmente non si aspettava una domanda di “politica interna”, ha risposto che “non mi risulta che ‘molti’ parlamentari sono indagati. Ce ne sono solo alcuni, delle eccezioni”. E poi Mattarella ha cercato ancora di difendere i parlamentari eletti con la legge cosiddetta “porcellum”: “E’ vero che il Parlamento è stato eletto attraverso una legge elettorale poi dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale. Io ne facevo parte e naturalmente abbiamo scritto che la pronuncia non inficiava la legislatura in corso, come si fa sempre, ma valeva per il futuro”. Già, tecnicamente ineccepibile, ma la domanda dello studente della Columbia non era stata posta cercando una spiegazione strettamente “tecnica” ma, a nostro parere, era più su un piano “etico-morale”. Può un Parlamento eletto da una legge incostituzionale riformare la costituzione? Su questo, Mattarella non ha risposto.

Infine, noi de La VOCE di New York abbiamo chiesto ad alcuni studenti che idea si fossero fatta dello “speech” di Mattarella. Due studentesse cinesi di relazioni internazionali, ci hanno risposto che “era stato un discorso interessante, con belle frasi, ma poca concretezza. Soprattutto su come risolvere la crisi dei migranti”. A questo punto abbiamo rilanciato: ma voi ci credete al futuro degli Stati Uniti d’Europa? “Dipenderà molto dalle condizioni economiche dei prossimi anni. Con la crisi economica, anche in Europa si arresterà qualunque progresso di integrazione politica”.

Un’altra studentessa della Columbia, Melissa, italoamericana che ha terminato gli studi e ora lavora all’università, ci ha detto in italiano: “Strano sentire parlare un politico italiano di leadership. Leader è una parola che in italiano non la trovi, si usa sempre quella inglese…”. Già, forse perché troppo vivo ancora il ricordo del disastro sopraggiunto dopo che quella parola italiana si gridò troppo nelle piazze d’Italia.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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