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February 10, 2016
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Le parole sono importanti (e non solo quelle)

Vivere a New York da europeo tra momenti quotidiani di confusione e smarrimento

Laura GamberinibyLaura Gamberini
vivere-a-new-york

Uno scorcio del Museum of the City of New York

Time: 4 mins read

Ci sono tante piccole abitudini quotidiane nel vivere a New York che mi ricordano ogni giorno che non sono “a casa”. Cose che in Italia non farei mai eppure qui faccio per non sembrare una totale weirdo. Tipo entrare nei posti e chiedere alla gente come sta. Qui si fa, sempre e con tutti. Novantacinque volte al giorno come minimo, con persone di cui non ti interessa niente e che probabilmente non vedrai mai più, ma lo devi fare. Tu devi chiedere: “How are you?”, possibilmente sorridendo. Quando a chiedertelo è la cassiera dello Starbucks, la farmacista, il benzinaio, il cameriere, il tuo vicino di autobus o la persona che sta aspettando al semaforo al tuo fianco, tu devi sempre e comunque rispondere con entusiasmo. Non importa se stai morendo di bronchite, tu devi rispondere: “Good” come minimo, meglio ancora “Great”. Non “Fine” come ti insegnano a scuola, fine è troppo poco per gli americani. Magari puoi rispondere che stai fine a un inglese, ma non ti sognare di farlo con un americano. Io per esempio, di solito quando mi chiedono come sto, rispondo “non male” felicemente traducibile con “pas mal” in francese e “not bad” in british english e finché sono in Europa va benissimo.

Qua invece mi è successo di incontrare una ragazza per la terza o quarta volta. È americana, ma ha studiato in Europa, quindi ho pensato avesse l’elasticità e lo spirito per sopportare e magari apprezzare un onesto “not bad”. Lei mi ha risposto: “Ma che problema hai tu che non stai mai bene?”, e io non sono proprio riuscita a spiegarle che probabilmente sto meglio di lei, ma non mi piace vantarmene. Cioè, ci ho provato, ma poi ho capito che aveva ragione lei. Questo è il paese dell’entusiasmo smodato. O lo abbracci in toto per quello che è e giochi con le loro carte o non ha senso che tu ci stia. La sua reazione mi ha insegnato che non si possono fare eccezioni. Pure se ti senti una chiavica tu devi rispondere che ti senti great, e non ti sognare di entrare nello specifico di come ti senti davvero e raccontare che ti fa male la gola o ti manca il tuo cane o hai avuto un problema con la compagnia telefonica, tanto qua non interessa a nessuno. Non prenderla neanche come una mancanza di rispetto, è così che funziona e basta.

Qui la gente ha fretta e lo capisci anche da come tronca le conversazioni e se ne va. Mi è successo per la prima volta con un’agente immobiliare. Usciamo dal buiding e lei mi dice, allontanandosi velocemente: “Ok allora teniamoci in contatto via mail”. Fine. Niente convenevoli di ore e ore. Stessa cosa al telefono. Finiscono di dirti quello che devono e attaccano, spesso senza neanche dire bye.

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Sono sempre tutti di corsa, ma non pensare che per questo non siano disponibili. Non esiste un newyorchese che non si fermi a darti un’indicazione. Anzi, spesso se ti vedono esitante o guardare una cartina, sono i primi a fermarsi e a chiederti se hai bisogno di aiuto, ma anche in questo sono veloci e molto pratici. Devi fare domande specifiche. Se chiedi cose come: “Dov’è la fermata della metropolitana più vicina?” ti guardano come una ritardata e ti mollano lì perché stai facendo perdere loro del tempo. I newyorkers ti aiutano, ma tu devi fare lo sforzo di avere la domanda giusta, tipo: “Dov’è la fermata del 7 più vicina?”. E allora sì, ti rispondono, in modo chiaro, ma veloce. Se hai capito bene, se no chiederai a qualcun altro. Ah, mi raccomando, non chiamare la metropolitana tube come a Londra perché qua è una parola che non solo non usano, proprio non la capiscono. Qui dicono semplicemente train o al limite underground o anche il meno usato subway.

Andrebbe proprio scritto, se non esiste già, un vero e proprio “bon ton” per quelli che vengono a vivere a New York su cosa è educato e cosa è socialmente accettabile qua in base alle evidenti differenze culturali che abbiamo. Non mi riferisco solo al linguaggio. Ci sono anche tanti gesti quotidiani che ho sempre dato per scontati e che ho scoperto con l’esperienza che qua sono segno di maleducazione o stramberia. Per esempio soffiarsi il naso. Ecco, questo in realtà per me è un autentico mistero: gli americani non si soffiano il naso. In assoluto. Non so come facciano, ma è così. Infatti, se ci fate caso, nei supermercati si trovano raramente fazzolettini di carta e la maggior parte delle volte non sono in confezioni portatili, ma nei box da tenere in casa. Come se soffiarsi il naso fosse una cosa da fare in gran segreto. Provate a soffiarvi il naso in mezzo alla gente in metropolitana e vedrete come tutti si fermeranno guardandovi come il peggiore e più squallido degli individui.

Ecco, questi sono solo alcuni piccoli esempi di cosa significhi vivere a New York, ma davvero la mia vita come quella di ogni europeo qui è piena di piccoli momenti quotidiani di confusione e smarrimento. Penso davvero che prima o poi dovremmo mettere insieme le esperienze di tutti e scrivere una guida per i nuovi arrivati in modo da preservarli dall’alienazione, anche se in fondo senza quel piccolo o grande spaesamento non ci sarebbe occasione di mettersi veramente in discussione e di aprirsi davvero al cambiamento. Per dire, ci sono italiani che vengono qui e si rifiutano di mangiare il mac and cheese sostenendo che “fa schifo” perché “la pasta non si cucina così”. Ma certo! La pasta non si cucina così a casa loro e nemmeno a casa mia, ma il mac and cheese non è un’imitazione mal riuscita della pasta all’italiana. È un piatto della cultura americana e va preso per quello che è, senza fare inutili e sciocchi confronti. E sapete una cosa? È anche uno dei miei piatti preferiti. Questo non significa che io rinneghi la pasta al dente, anzi! Semplicemente, apro le frontiere del mio gusto. E qui di sapori nuovi e interessanti ce ne sono veramente tantissimi!

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Laura Gamberini

Laura Gamberini

Mi chiamo Laura e di mestiere scrivo, prevalentemente per la TV. Ho sempre viaggiato tanto, per lavoro e per passione. Negli ultimi anni ho chiamato casa più o meno 14 posti diversi in 7 città divise in 3 differenti paesi, distribuiti in due continenti. Ho vissuto a Ravenna, a Milano, a Bologna, a Londra, a Roma, a Padova e ho lavorato a Parigi. Ora sono a New York e quelle che vi racconto sono le mie avventure alla ricerca del succo della Grande Mela.

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