Quel 6 gennaio del 1980, il killer agisce con la precisione di un chirurgo. Sa che Piersanti Mattarella, presidente della regione siciliana, andrà a messa con la famiglia; un bersaglio facile, non c’è scorta: lo stesso Mattarella l’ha mandata a casa; anche loro, dice, hanno diritto di stare qualche ora con i loro cari.
L’azione è fulminea: il killer si avvicina all’auto, scarica in rapidissima successione quattro colpi di pistola, si allontana, si consulta con un complice che lo attende a bordo di una moto, torna indietro, sull’agonizzante Mattarella scarica altri quattro colpi; i due poi si dileguano. Mattarella muore così, tra le braccia della moglie Irma e quello del fratello Sergio, l’attuale presidente della Repubblica, che cerca invano di rianimarlo, di tenerlo in vita.
Mattarella: per definirlo, bastano quattro parole: una persona per bene. Formatosi alla scuola di Aldo Moro, don Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi, Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira come punto di riferimento ideale e culturale, Mattarella ha il puntiglio di chi vuole concepire e gestire in modo diverso la cosa pubblica, e dare un taglio secco alla politica degli affari che domina in Sicilia. Da assessore al bilancio della regione, fa cose normali e che per questo sono rivoluzionarie: presenta il bilancio nei tempi prescritti dalla legge, senza rinvii ed emendamenti compiacenti ai vari centri di potere reale; la sua mentalità manageriale scardina consolidate cattive pratiche di gestione del potere.
Le indagini sono affidate a un giovane magistrato, l’attuale presidente del Senato Piero Grasso; che intervistato da Giuseppe Marrazzo, pochi giorni dopo il delitto, così descrive Mattarella: “Ha creduto di compiere il suo mandato presidenziale in un certo modo, che è stato quello dell’efficientismo: cioè di dare alla regione siciliana un apparato burocratico che effettivamente fosse efficiente e portasse ad esecuzione le varie leggi che erano state deliberate dal Parlamento. Poi perseguiva questo scopo: dare un volto diverso della Sicilia, dare un’immagine diversa della Sicilia all’esterno”.
Una feroce stagione di sangue, quegli anni ottanta. Inquietante la scansione dei delitti: prima di Mattarella, nel perimetro di poche centinaia di metri quadrati viene ucciso il capo della squadra mobile Boris Giuliano; poco lontano, trecento metri appena, un magistrato che della lotta alla mafia ha fatto la sua missione, Cesare Terranova; e a trecento metri dall’abitazione di Mattarella, viene fatta esplodere la bomba per il capo della Procura Rocco Chinnici, e a cinquecento metri più in là, viene massacrato il segretario provinciale della Dc Michele Reina; e poco prima è toccato a giornalista che la mafia vede come fumo negli occhi, Mario Francese…poi un altro magistrato, Gaetano Costa, il segretario del PCI siciliano Pio La Torre…Un elenco di martiri che non finisce più: politici, magistrati, giornalisti, carabinieri, poliziotti. Una vera e propria mattanza…
Assicurare un buon governo quotidiano, questa l’imperdonabile colpa di Piersanti Mattarella: significa contrastare la spartizione degli appalti assegnati senza legge, combattere i signori delle clientele e delle tessere; incidere quella fitta ragnatela politico-affaristico-mafiosa che avvolge e strangola Palermo e la Sicilia. E’ per questo che le indagini si concentrano soprattutto sulle attività del Mattarella politico e amministratore. L’amministratore che rimuove assessori chiacchierati; il politico che ha visioni non legate alla contingente gestione del potere fine a se stessa. Sa di camminare su un terreno minato. Delitto di mafia, anche se non manca chi di osservare che forse c’è anche qualcosa d’altro, oltre alla mafia.
Ne parla Leonardo Sciascia: “L’assassinio davanti ai familiari non rientra nelle regole, o meglio, nel sentire della mafia. Poi ci sono altre cose: la giovinezza del killer, perché stando alle testimonianze pare fosse giovanissimo: questo mi pare deponga a favore di una tesi di gente specializzata che viene da fuori pur avendo qui delle basi informative”.
Un sospetto che prende corpo anche nelle parole di uno ieratico cardinale Salvatore Pappalardo, alla cerimonia funebre: “Una cosa sembra emergere sicura, ed è l’impossibilità che il delitto sia attribuibile a sola matrice mafiosa. Ci devono essere anche altre forze occulte, esterni agli ambiti, pur tanti agitati della nostra isola”.
Giudiziariamente parlando per il delitto Mattarella sono stati condannati Totò Riina, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, e altri boss di Cosa Nostra; ma a trentasei anni dal delitto sono ancora molte le zone d’ombra e torbide attorno a quel delitto: le complicità, le connivenze, le commistioni, i silenzi, le indifferenze.