Giulio Cesare è nato un giorno prima di me, il 13 luglio, però qualche annetto prima, duemilacinquecentodue anni, per l’esattezza. Lui è cresciuto nella Suburra, quartiere dell’antica Roma situato sulle pendici dei colli Quirinale e Viminale e che si allargava fino all’Esquilino. Io non sono nato molto distante da lì, forse un chilometro e mezzo in linea d’aria, cioè sulla Via Appia Nuova, davanti a Villa Lazzaroni. Lui proviene da un’antica famiglia Patrizia, la gens Iulia. Mia moglie si chiama Giulia. Sua madre si chiamava invece Aurelia Cotta, io conosco un bel ristorantino sulla via Aurelia e, prima di sposarmi, prendevo una cotta per una bella signorina ogni dieci secondi. Suo padre si chiamava Sesto. Io, una volta, sono arrivato sesto ai campionati di ping pong della scuola e una volta ho forato una gomma, a Sesto S. Giovanni. Lui ha avuto due sorelle, entrambe di nome Giulia, Giulia Maggiore e Giulia Minore. Mia moglie si chiama sempre Giulia e, ora che ci penso, mio padre ha posseduto una bellissima Alfa Romeo Giulia Super e, come se non bastasse, avevo anche una zia che abitava in via Giulia. Lui fu educato da tal Marco Antonio Grifone. Io, al liceo, avevo un professore ingrifato delle belle studentesse in minigonna che gli svolazzavano intorno. Suo zio si chiamava Gaio e il mio invece si chiamava Cencio ma, quando beveva, era Gaio da morire. La moglie sua si chiamava Cornelia. La mia sempre Giulia, ma ogni tanto prende la Metro e scende alla Stazione Cornelia dove c’è un bellissimo negozio per ciclisti. Mia moglie però non va in bicicletta. Perché allora va sempre lì? Il commesso dagli occhi verdi?
Lui, per sfuggire alle vendetta del nemico Silla, si ritirò in Sabina. Io, al Parco degli Aranci, davanti alla Chiesa di Santa Sabina all’Aventino, ho scambiato il mio primo tenerissimo bacio d’amore. Lei poi mi lasciò e andò ad offrire ad altri il suo secondo bacio e pure il terzo, il quarto e il quinto. Lui partecipò in Cilicia a diverse azioni militari. Io imboccavo sempre via Cilicia con il motorino per andare a prendere le mie maledette ripetizioni di Greco e sembravo anch’io un soldato, incavolato com’ero. Tra parentesi, dopo mi hanno pure bocciato. Invece a Giulio Cesare non l’hanno bocciato mai in greco, anzi, a ventisette anni si recò a Rodi per approfondire la cultura e la filosofia greca. Il ricordo che ho io di Rodi è legato invece ad una grossa pizza cinematografica in Super 8 girata da mio padre che una volta io e il mio amico Andrea, oggi noto giornalista del Corriere della Sera, svolgemmo completamente, srotolando in terra tutta la pellicola, perché ci serviva la pizza vuota per montare il nostro filmettino da spedire al Festival del Super 8 di Montecatini. Ci andammo poi a Montecatini, insieme a Nanni Moretti. Lui vinse, noi no, però ci divertimmo un sacco.
Non si divertì, invece, Cesare, perché, durante il viaggio verso Rodi, fu rapito dai pirati che gli chiesero di pagare un riscatto di venti talenti. La stessa cosa che fece mio padre quando mi chiuse in camera per studiare. Mi chiese ventimila lire per farmi uscire. Io i soldi non ce li avevo, anzi ventimila lire tutte intere non le avevo nemmeno mai viste in vita mia. Così restai chiuso dentro e passai gli esami di terzo liceo. Cesare si presentò alle elezioni per Tribuno del 72 a.c. e risultò il primo degli eletti. Stessa cosa accaduta a mio padre, nel 1972: primo degli eletti, in un’elezione regionale. Un giorno Cesare, osservando una statua di Alessandro Magno, scoppiò in lacrime. Guarda caso mi è accaduta la stessa cosa giorni fa, guardando una foto di Francesco Totti, il pupone, l’ultimo re di Roma. Cesare fu scagionato dalle accuse di Lucio Vezio grazie al suo amico Cicerone. Un mio amico, in via Cicerone, il mese scorso mi ha dato un passaggio con la sua Smart e mi ha salvato. Se fossi arrivato tardi alla cena del compleanno di mia suocera non voglio neanche sapere che cosa sarebbe potuto accadere.

La Basilica di Santa Sabina allÔÇÖAventino con uno scorcio del Parco degli Aranci
Quando fu eletto governatore in Spagna, Cesare condusse diverse operazioni militari. Stessa cosa che farà la mia squadra di calcio quest’anno contro il Barcellona, operazione militare in Spagna per la Coppa dei Campioni. Cesare fece un triunvirato con Crasso e Pompeo, ma il terzetto non andò molto bene. Io da giovane ho messo su un terzetto musicale con Luciano detto il Profugo alla batteria e il guizzante Cuttica alla chitarra solista. Una volta abbiamo anche suonato per sbaglio all’Antico Caffè Berardo di piazza Colonna e per poco non ci hanno gonfiato di botte, per quanto facevamo schifo.
Pompeo sposò Giulia, una figlia di Cesare. Io non ho figlie femmine. Ma se qualche Pompeo vuole sposare uno dei miei figli maschi e quest’ultimo è d’accordo, faccia pure, niente preclusioni ai matrimoni di alcun tipo. Se poi questo Pompeo è ricco, meglio. Nel 58 a.C. gli Elvezi inviarono a Cesare dei messaggeri che chiesero l’autorizzazione per attraversare pacificamente la Gallia. Cesare disse: “Nun se ne parla”. Una volta mio cognato, che vive in Svizzera da venticinque anni, mi chiese il permesso di usare la mia casa del mare e di poterci invitare anche dieci cari amici, di cui due esperti di tatuaggi tribali. Io dissi: “Nun se ne parla”.
Nell’estate del 55 a.C. Cesare decide di invadere la ricca e misteriosa Britannia. Stessa cosa feci io nell’estate del ’70. Avevo diciotto anni e più che ai Britannici ero interessato alle Britanniche. Peccato che loro non fossero così interessate a me. Però, quante birre, quanta musica rock e quanto era bello il gioco dell’Arsenal, sempre in verticale, cross al centro, colpo di testa e goal.
Cesare varcò con le armi il fiume Rubicone, mentre io, in via Rubicone, al quartiere Testaccio, varcavo spesso la porta di casa della più bella del liceo che abitava lì. Poi un giorno ho incontrato per le scale suo padre e il Rubicone non l’ho passato più. Ammazza com’era grosso quel signore!
Il Senato, spinto da Catone, ordinò che Cesare sciogliesse le sue legioni entro la fine del 50 a.C. e che poi tornasse a Roma da privato cittadino. Io una volta, dopo una storica abbuffata ai Castelli, ho sciolto le mie “legioni” dietro ad una fratta e sono tornato a Roma a piedi, perché nessuno dei miei amici voleva portarmi in macchina, per come ero ridotto. La popolazione di Alessandria d’Egitto costrinse una volta Cesare a rinchiudersi dentro al palazzo reale insieme a Cleopatra. A me, ai tempi della scuola elementare, mi rinchiusero dentro uno sgabuzzino insieme a tal Carletto Porfidi, le cui ascelle perennemente sudate gareggiavano con le Puzzole e spesso vincevano alla grande.
Tra l’agosto e il settembre del ’46 Cesare celebrò quattro trionfi, uno per ciascuna campagna militare che aveva con successo portato a termine. Io, tra l’agosto e il settembre del 1968, ricevetti quattro sonori schiaffoni da mio padre, uno per ciascuna materia in cui mi avevano rimandato. Cesare fu in sequenza dittatore e poi imperatore. Io la stessa cosa, soprattutto all’interno di casa mia, dove ogni elemento presente, figlio o moglie che sia, mi rispetta e scatta per eseguire un mio ordine, anche il più semplice. Anzi, ora che ci penso, solo il più semplice, tipo: “Passami il sale, ti prego”.
In conclusione direi con tutta franchezza che certamente io e Giulio Cesare abbiamo avuto davvero molte cose in comune, su questo non ci sono dubbi. Anche se lui, probabilmente, non la pensa affatto così perché l’altra notte mi è apparso in sonno e mi ha detto:
“Se vuoi davvero assomigliarmi, levati quel ridicolo pigiama a righe e vieni come me”.
“Ma ‘ndove?”, ho risposto io, sbadigliando.
“In Gallia, in Britannia, nelle Spagne. Insomma ovunque ci sia da combattere e da sguainare la spada. Insomma, vieni o non vieni?”.
“Posso essere sincero, Cesarè?”, ho domandato.
“Certamente”.
“Vacce te a combatte nelle Spagne. Io c’ho sonno e poi nun me piace ammazzà nessuno”.
“Manco li Galli?”, ha chiesto lui.
“Manco loro. E poi lasciami stare il pigiama a righe che me l’ha regalato mia moglie per Natale. E adesso levate, smamma, famme dormì”.
“Va be’, allora io me ne vado?”, ha bofonchiato lui, sconsolato.
“E che stai ancora qui? A proposito, Cesarè, guardate le spalle”.
“E perché?”.
“A Roma c’è ‘na rivendita de coltelli usati e quelli fanno male di brutto, anzi…di Bruto. Ciao, core!”.