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Gestione dei beni mafiosi: dopo Silvana Saguto altri tre giudici sotto inchiesta

La VOCE Sicilia NYbyLa VOCE Sicilia NY
Magistratura senza più veline? Il “Caso Palamara” e lo stupore degli ipocriti
Time: 5 mins read

Si allarga l’inchiesta sulla gestione dei beni confiscati alla mafia. Fino a ieri si sapeva che le indagini coinvolgevano il presidente della sezione per le misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, giudice Silvana Saguto, il padre, il marito e il figlio della stessa Saguto e l’avvocato Gaetano Capellano Seminara. Oggi il quotidiano Il Messaggero di Roma ha dato notizia che ci sono altre tre magistrati indagati. Sono Tommaso Virga, ex membro togato del Csm e ora presidente di sezione; poi Lorenzo Chiaromonte, che lavora nella stesso ufficio del giudice Saguto (che ha rassegnato le dimissioni, sostituita dal suo collega Mario Fontana, presidente della quarta sezione penale, sempre del Tribunale del capoluogo dell’Isola) e del pubblico ministero, Dario Scaletta.  

In totale, per ora, sono quattro i magistrati messi sotto inchiesta dalla Procura della Repubblica del Tribunale di Caltanissetta.

Le accuse a carico dell’ormai ex presidente della sezione di misure di prevenzione sono corruzione, induzione e abuso d'ufficio. Gli stessi reati vengono contestati all'avvocato Gaetano Cappellano Seminara, titolare di uno studio che negli anni ha fatto incetta di incarichi relativi alla gestione di beni sequestrati e confiscati ai mafiosi (questo, forse, è il motivo che ha portato la Giustizia ad occuparsi di questa vicenda). Coinvolto, come già accennato, anche  il marito del giudice Saguto, l'ingegnere Lorenzo Caramma, che in passato avrebbe avuto rapporti di consulenza con l’avvocato Cappellano Seminara, con parcelle che negli anni hanno raggiunto i quota 750 mila Euro.

Il giudice Scaletta è accusato di rivelazione di segreto d'ufficio: avrebbe dato notizie sull'inchiesta al collega Chiaromonte e a un altro giudice; Virga – stando sempre a quello che scrive Il Messaggero – avrebbe favorito un procedimento disciplinare che riguardava la Saguto. Quest’ultima avrebbe a propria volta garantito la nomina del figlio di Virga, Walter, ad amministratore giudiziario dei beni sequestrati, a Palermo, agli eredi dell’imprenditore, Vincenzo Rappa. Il giudice Chiaromonte non si sarebbe astenuto dalla decisione di affidare la gestione di beni, per un valore di 10 milioni di Euro, sequestrati al boss Luigi Salerno, nonostante l'amministratore designato fosse una persona considerata a lui vicina.

Il giudice Saguto respinge le accuse. E ha già chiesto ai magistrati di Caltanissetta di essere interrogata “al più presto per dimostrare la mia estraneità ai fatti contestati”.

Sulla vicenda si attende una puntata di Report, la trasmissione d’inchiesta di Milena Gabanelli (questa notizia, che circola da qualche tempo, potrebbe avere impresso un colpo di acceleratore all’inchiesta penale). Sono anni, a dir la verità, che a Palermo si parla degli incarichi di amministratore giudiziario conferiti ai ‘soliti’ noti, con in testa l’avvocato Cappellano Seminara. Tema affrontato nel gennaio 2014 dal Prefetto Giuseppe Caruso, che allora ricopriva l’incarico di direttore dell'Agenzia dei beni confiscati alla mafia. In ballo c’è un patrimonio di circa 30 miliardi di Euro (circa mille aziende e oltre settemila immobili) distribuiti in tutta Italia. Per la cronaca, il 43 per cento di questi beni aziendali e immobiliari si trova in Sicilia (molti di questi beni sono concentrati a Palermo e provincia).

All’Adnkronos il Prefetto Caruso ha rilasciato la seguente dichiarazione: “In tempi non sospetti, e in tutte le sedi istituzionali e non, ho rappresentato tutte le criticità riscontrate nella gestione dei beni sequestrati e confiscati  alla mafia e proposto le relative soluzioni. Ora qualcuno dovrà giustificarsi e qualcun altro forse dimettersi…”. E, in effetti, sono arrivate le dimissioni della dottoressa Saguto.

In passato, Caruso ha più volte denunciato alla Commissione nazionale antimafia, presieduta da Rosi Bindi, l’uso per “fini personali” operato da alcuni amministratori giudiziari. Questi ultimi, sempre secondo il Prefetto Caruso, avrebbero “bloccato il conferimento dei beni agli enti destinatari”. Di più: gli stessi amministratori giudiziari avrebbero percepito “parcelle stratosferiche”, mantenendo poltrone nei consigli di amministrazione delle aziende confiscate. Insomma, la solita storia del “controllato e controllore”.

Caruso ha tirato in ballo il nome dell’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, chiamato a gestire un bel numero di patrimoni confiscati in Sicilia. Tra questi si ricorda i beni del costruttore Vincenzo Piazza. La presidente della commissione Antimafia nazionale, Rosy Bindi (PD), ha difeso i magistrati, parlando di “effetto delegittimazione” e di “accuse generalizzate al sistema”. Ma Caruso aveva insistito nelle sue tesi: “Dire che ho inteso delegittimare l’autorità giudiziaria non corrisponde a verità”.

Sulla questione dei beni confiscati alla mafia interviene il parlamentare nazionale del PD, Giuseppe Lauricella. Che parla della necessità di “un intervento urgente” da parte della politica.  

“L’inchiesta della Procura della Repubblica di Caltanissetta – sottolinea Lauricella – ci dice a chiare lettere che, qualunque sarà l'esito, in questo importante settore della vita pubblica qualcosa non funziona, o funziona male. Assistiamo alla concentrazione, in poche mani, di ingenti patrimoni (con beni aziendali e beni immobili) sequestrati alla mafia. Con l’aggravante che, spesso, non sono gestiti con criteri imprenditoriali. Cosa, questa, che provoca la crisi se non la chiusura di attività economiche, con la perdita di posti di lavoro anche quando l'inchiesta finisce con un provvedimento favorevole all'indagato o imputato”.

“Il problema è noto da tempo – prosegue il parlamentare nazionale -. Ora è arrivato il momento di trovare soluzioni. E di questo compito deve occuparsi la politica. Mi rendo conto che, in certe situazioni, il rapporto fiduciario tra i magistrati e gli amministratori giudiziari è importante. Ma appare, in ogni caso, irrazionale concentrare nelle mani di pochi amministratori giudiziari, o, in certi casi, addirittura di uno solo di essi, decine e decine di beni aziendali ed immobili, sapendo che è oggettivamente impossibile garantirne contemporaneamente una buona gestione”.

“La nuova normativa che il Parlamento nazionale dovrebbe approntare e approvare – dice ancora Lauricella –  dovrebbe introdurre un limite numerico di incarichi per la gestione di questi beni. Avendo cura che a gestire i beni aziendali siano figure con alle spalle esperienze imprenditoriali o associazioni di imprenditori, con un serio riscontro sulla probità dei soggetti incaricati. Fermo restando che questi ultimi dovranno fornire comunque risposte precise in termini di sana gestione e di tutela dell’occupazione, pena la perdita dell’incarico e il risarcimento del danno”.

“Credo che il limite di tre incarichi per un soggetto non debba essere superato – afferma il deputato nazionale del PD -. E ritengo che, fatto salvo, almeno per alcuni casi, il rapporto fiduciario, vada vagliata anche l’ipotesi del sorteggio tra gli iscritti all’albo degli amministratori giudiziari. La nuova normativa – continua Lauricella – era scaturita dall'esigenza di assicurare, con la previsione degli amministratori giudiziari, una specifica ed adeguata professionalità nella gestione di tali situazioni. Ma l'affidamento sproporzionato a pochi ha finito con il vanificare la ratio della norma, con gravi danni economici e sociali".

“Quando la Camera dei deputati discuterà in tema di giustizia – conclude Lauricella – presenterò le proposte necessarie per provare a fare chiarezza su questo tema. E sono certo che tutto il Parlamento lavorerà ad una soluzione per risolvere un problema che è diventato annoso e non più eludibile".

 

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