In uno spot che imperversa in questi giorni sulle tv italiane, l’allenatore della nazionale di calcio Roberto Mancini invita a scoprire le bellezze naturali e storiche delle Marche. Mancini è uno dei tanti figli illustri di una terra tra le meno conosciute d’Italia. Come lui, sono marchigiani Raffaello e il Bramante, Gioacchino Rossini e Beniamino Gigli, Giacomo Leopardi, Valentino Rossi, il pianista Giovanni Allevi. Eppure le Marche sono sempre rimaste nel cono d’ombra del turismo italiano e internazionale, nonostante il fascino di città e borghi medievali, la bellezza di magnifici angoli di costa e di mare, la qualità di una cucina che soprattutto negli ultimi vent’anni è balzata ai vertici di classifiche e guide gastronomiche. Nella graduatoria delle regioni più visitate d’Italia, le Marche occupano un modesto tredicesimo posto (su venti) con meno di dieci milioni di presenze annue. Poca cosa, a confronto dei 70 milioni del Veneto e di cifre appena inferiori di Trentino -Alto Adige e Toscana. In realtà, i motivi per visitare questa magnifica parte d’Italia sono tanti, anche quando non è stagione di tartufo bianco. Urbino, Ascoli, l’azzurra Gola del Furlo, la riviera del Conero, le colline e i parchi appenninici offrono mille sorprese, anche a tavola.

Chi legge questa rubrica già conosce Mauro Uliassi e il suo bel ristorante sulla spiaggia di Senigallia. Uno storico amico e rivale di Uliassi, Moreno Cedroni, gestisce da anni una tavola d’eccellenza, la Madonnina del pescatore, tempio di una cucina moderna, originale e innovativa. Un altro locale di Cedroni, Il Clandestino, è un fresco e magnifico ristorante e sushi bar sulla splendida spiaggia di Portonovo, un angolo di mare dalle mille sfumature di azzurro, non lontano da Ancona. I piatti sono efficaci, freschi, precisi, semplici ma di grande perizia. La scelta dei vini è circoscritta ma onesta e intelligente. Portonovo è un buon modo per cominciare a conoscere la piacevolezza e il senso di accoglienza di questo bel tratto di costa adriatica. La piacevolezza continua nelle trattorie e nei panorami di Sirolo, nelle spiaggette azzurre del Conero, il fascinoso promontorio che interrompe la monotonia del sabbioso litorale adriatico. Evitando i giorni del weekend il piacere dei luoghi aumenta.

A pochi chilometri da Ancona c’è Loreto, una capitale del culto mariano europeo. Stradine antiche e animate circondano l’imponente santuario che custodisce la casa della Madonna. Secondo un’antica leggenda, la casa dell’Annunciazione fu trasportata dalla Palestina fino a qui dagli angeli. Versione difficile da accettare, certo. Ma il luogo è intenso, suggestivo. Vive di una piacevole e composta sobrietà ed è bene organizzato.
A Loreto c’è un’altra tappa obbligata dell’eccellenza gastronomica marchigiana: il ristorante Andreina, un miracolo di continuità e passione familiare che ha saputo rinnovarsi con modernità ed eleganza senza perdere le sue straordinarie e profonde radici tradizionali. Merito soprattutto di un cuoco di prim’ordine come Errico Recanati, maestro nell’abbinare i profumi della griglia a legna con la fragranza delle verdure, con una magnifica cacciagione, con carni selezionate puntigliosamente. Il grande camino all’ingresso del locale scalda il cuore e alimenta aspettative destinate a non rimanere mai deluse. Servizio impeccabile, conto mai troppo severo. Insomma, un grande indirizzo.

Per scoprire una serie infinita di borghi e paesi arroccati sulla prima collina, l’auto è indispensabile. Una buona base può essere Villa Lattanzi, ottimo hotel a cinque stelle sulle colline di Fermo. Stanze silenziose, climatizzate, bene arredate. Letti ottimi e, tutt’attorno, un curatissimo ed esteso parco, con piacevoli passeggiate in un verde folto e accogliente. È una grande terrazza vista mare, sapientemente illuminata di sera, rilassante e tranquilla. I prezzi non sono da alberghetto adriatico, ma nei mesi meno affollati diventano molto interessanti. Di buon livello anche il ristorante, dove Vincenzo Russo, per sette anni allievo dello chef Antonino Cannavacciuolo, propone piatti di mare e di terra, con fantasia, belle presentazioni e tecniche attualissime.

In una quarantina di minuti d’auto si può arrivare ad Ascoli Piceno, un gioiello tra i meno frequentati nell’Italia delle mille sorprese. La piazza centrale è magnifica. I palazzi del potere laico affiancano chiese, portici, angoli e passaggi suggestivi. Visita obbligata al Caffè Meletti, un salotto di fine Ottocento che mantiene il fascino di uno stile Liberty sobrio e lineare, molto italiano, lontano dai trionfi floreali dell’Art Nouveau francese. Siamo nel tempio dell’Anisetta Meletti, un marchio storico dei liquori italiani. A tavola ci si può accontentare di qualche buona fetta di culatello, accompagnata da una burrata di rara freschezza, oppure virare su piatti più impegnativi. Un classico è il fritto misto all’ascolana: variegato, generoso, saporoso. Non si può pretendere che sia anche leggero e digeribile.