Sempre più spesso quando si parla del successo della cucina italiana si finisce per fare riferimento all’impatto negativo che i prodotti agroalimentari contraffatti hanno sulla espansione e conquista di nuovi consumatori per il Made in Italy.
Gli specialisti hanno chiamato questo specifico fenomeno di contraffazione Italian sounding intendendo tutti quei generi alimentari che, pur non essendo prodotti in Italia, vengono commercializzati con nomi, etichette, grafiche e confezionamento che richiamano il Tricolore. L’acquirente e il consumatore sono così indotti erroneamente a credere che abbiano comprato un prodotto Made in Italy autentico.
È evidente che tale fenomeno che avevano caratterizzato sin dall’inizio del secolo scorso l’insediarsi di colonie italiane in tanti importanti paesi in Europa e oltremare dove avevano cominciato a produrre ’ della loro tradizione alimentare nazionale e regionale.
Il fenomeno, sebbene in chiave molto ridotta, è esistito a partire dal secondo dopoguerra in linea con le prime fasi di globalizzazione recente, alimentato anche dai flussi migratori: nelle colonie italiane all’estero venivano mantenute e riprodotte specialità regionali e nazionali. Man mano che il sistema Italia agroalimentare, inteso come sinergia tra pubblico e privato, è stato in grado di conquistare nuove aree geografiche e fasce di consumatori, si è andato sviluppando un vero e proprio mercato parallelo di alimenti realizzati fuori dallo Stivale, a volte direttamente negli stessi Paesi di destinazione, traendo vantaggio dal successo commerciale e dalla popolarità dei prodotti autentici.
L’Italian sounding non ha semplicemente i caratteri di un fenomeno qualsiasi di produzione di beni della tradizione alimentare italiana fuori dai confini nazionali, ma risponde a una precisa strategia industriale e di marketing che ha come unico risultato trarre in inganno il consumatore inducendolo a comprare articoli che hanno poco o niente delle competenze e dei saperi nostrani.
Secondo alcune stime approssimative, gli articoli che vengono spacciati come italiani e venduti in tutto il mondo ammontano a circa 100 miliardi di dollari.

Negli USA, oggi, milioni di consumatori scelgono prodotti della cucina italiana non distinguendo se sono Made in Italy originali o Italian style food, quindi realizzati fuori dai confini nazionali. È evidente che questi articoli non incorporano i saperi, i sapori, il clima, la capacità di combinare tradizione e innovazione che risultano in alimenti tanto attrattivi sul piano del gusto, quanto su quello della sicurezza alimentare.
Gli alimenti Made in Italy sono sottoposti a rigorosissimi protocolli e regole di produzione, disposte dal Governo e anche dall’Unione Europea come ulteriore garanzia per il consumatore sui processi produttivi, sulle materie prime impiegate e sulla tracciabilità. Sono valori unici, non riscontrabili altrove.
Libero è il consumatore di acquistare qualsivoglia prodotto, ma è importante che sia consapevole di cosa stia comprando e stia portando sulla sua tavola.
Le aziende italiane, con il supporto di tutto il sistema nazionale, sono impegnate costantemente in una grande campagna di educazione per evitare che si vada ad acquistare il Parmesan pensando di comprare il Parmigiano-Reggiano – prodotto a denominazione di origine protetta (D.O.P.), quindi che segue regole di produzione precise, e formaggio più imitato nel mondo. Con circa 3,8 milioni di forme prodotte annualmente, rientra sul podio per produzione dopo il Grana Padano.
Lo stesso discorso vale per il pomodoro pelato dove il consumatore spesso viene ingannato. Pensando di comprare San Marzano, una varietà riconosciuta come prodotto italiano D.O.P., il “San Marzano dell’agro sarnese-nocerino”, acquista invece un Italian style food.
Anche per l’aceto balsamico di Modena prodotto a Indicazione geografica protetta (I.G.P.) si registrano numerosi falsi. Il disciplinare di produzione I.G.P. stabilisce regole ben precise nello specifico l’utilizzo di mosto di uva in percentuali tra il 20% e il 90% e di aceto di vino dal 10 all’80%, rigorasamente italiani. Questo gioiello emiliano è considerato un bestseller negli Stati Uniti e nel mondo con un appetibilità di mercato che si aggira intorno a più di 400 milioni di euro e una produzione certificata di oltre 90 milioni di litri annui.

La gamma di prodotti alimentari della tradizione italiana che si sta imponendo in tutto il mondo si allarga sempre di più. Ormai da più di un decennio sta registrando una crescita costante, soprattutto sul mercato USA dove ha raggiunto i 7 miliardi di dollari se si combinano cibi con vini e bevande. Purtroppo, questo implica che il fenomeno dell’Italian sounding coinvolgerà inevitabilmente un numero elevato di consumatori a tutte le latitudini.
La gastronomia tricolore è riuscita piano piano a conquistarsi palati in altri gruppi etnici, alcuni dei quali sino a una ventina di anni fa osteggiavano persino il consumo dei prodotti nostrani. A questo successo ha contribuito notevolmente quello della cucina autentica italiana e non all’italiana, del rinnovato turismo verso lo Stivale, che si basa sempre di più sull’esperienza, e dei nuovi mezzi di comunicazione, che fanno arrivare direttamente dall’Italia al consumatore americano informazioni dettagliate sui cibi e sulle loro preparazioni, che in passato erano veicolati da pochi canali.
Un numero sempre più crescente di statunitensi pretende che la carbonara venga realizzata con guanciale, che la cacio e pepe sia con autentico pecorino italiano, che la mortadella per un buon panino sia I.G.P., che il mascarpone per un ottimo tiramisù sia Made in Italy, che il caffè per l’espresso o cappuccino originali sia stato tostato, preparato e confezionato in Italia secondo una tradizione ormai più che centenaria.
Ma sono ancora milioni i consumatori che acquistano prodotti e frequentano ristoranti dove l’italianità è confinata a suggestive etichette o ad accattivanti nomi dei piatti – vedi le “Penne della nonna” con gli ingredienti delle “Penne alla norma” -, evidenziandone una chiara ignoranza circa l’origine geografica e storica.
I menù dei ristoranti non autenticamente italiani sono un incredibile campionario di come il fenomeno dell’Italian sounding si sia andato espandendo negli USA di pari passo con l’affermarsi del prodotto originale.
La selezione di falsi formaggi italiani prodotti negli Stati Uniti scovati dalla Coldiretti –
ANSA/COLDIRETTI
Negli Stati Uniti sono necessarie, al di là della ormai improcrastinabile firma di accordi con l’UE sulla tutela delle indicazioni geografiche, attenzione da parte del consumatore alla lettura attenta delle etichette, consapevolezza della qualità intrinseca del prodotto che si va ad acquistare e capacità critica affinché si smetta di accettare come autentico un formaggio pecorino se fatto con latte bovino.
Con l’utilizzo ingannevole di immagini e nomi accattivanti che richiamano la tradizione italiana arrivano davanti ai consumatori USA centinaia di prodotti che non hanno nulla a che vedere con l’Italia e con la sua industria gastronomica, dove sono imposti rigorosi criteri per rispettare la salute e la sicurezza alimentare.
Quello che rende ancora più peculiare la situazione è che molto spesso i prodotti non sono realizzati negli Stati Uniti da aziende locali ma provengono dai più disperati Paesi dove sono lungi dall’essere applicati i rigorosi controlli delle norme USA e della UE.