Nel 1992 un mio caro amico comprò un bell’appartamento a Bologna per 500 milioni di lire. Abita ancora lì. Se oggi vendesse quell’appartamento ne ricaverebbe (secondo la stima di un’agenzia immobiliare) circa 450 mila euro, massimo 500 mila. Se il mio amico, nel 1992, avesse investito lo stesso denaro in terreni agricoli nella zona di Montalcino, patria del Brunello, i suoi 500 milioni di lire non sarebbero diventati 450 mila euro, ma una cifra pazzesca: circa cinque milioni di euro. Il calcolo è il risultato di una recente analisi di un autorevole sito specializzato in vini: WineNews.it. Sì, i vigneti che producono il celebre vino rosso toscano valgono venti volte di più rispetto al 1992. Un ettaro di terreno in zona Brunello costa sui 700-750 mila euro, con punte da un milione di euro per cru di particolare pregio. Non siamo ai tre milioni a ettaro che in Borgogna sono praticamente la norma, ma il boom è comunque notevole. Nel Collio, magnifica zona vinicola del Nord-Est italiano, ai confini con la Slovenia, un ettaro di terreno costa circa 100mila euro.

Del celebre rosso toscano conosciamo da sempre la classe e la piacevolezza. Con 30 o 40 euro si può comprare un accettabile Brunello, ma da decenni vediamo decollare i prezzi di grandi bottiglie delle migliori annate (negli ultimi dieci anni le annate definite ‘eccezionali’ sono state addirittura quattro: 2012, 2015, 2016 e 2019). Abbiamo letto recentemente che il vino più costoso d’Italia è un riserva Biondi Santi da 52.400 euro. Brunello, naturalmente. Ma mai come oggi il rosso orgoglio di Montalcino è stato anche sinonimo di magnifico investimento.
Il suo mito, solido e antico, è legato a filo doppio alla famiglia Biondi Santi. A fine Ottocento fu Ferruccio Biondi Santi, farmacista e vignaiolo, a inventare il Brunello dell’era moderna. Sangiovese al 100 per cento, coltivato in una miracolosa zona appena collinare nella provincia di Siena, ai confini con quella di Grosseto. Fama di origine medievale, rilanciata e rinvigorita nel secolo corso. Un celebre salone dei vini tipici, svoltosi nel 1933 a Siena alla presenza del re d’Italia, ne decretò la consacrazione. Lo slogan di quella mostra fu ideato dal fondatore e maestro del futurismo italiano: Filippo Tommaso Marinetti. “Il Brunello è benzina”. Slogan discutibile per chi ama apprezzare gusti e retrogusti di un buon rosso. Eppure funzionò e rimase perfino nella storia. Furono i Biondi Santi a battersi per creare il consorzio dei produttori di Brunello, a sostenere la necessità di tutelare quel prezioso vino con un preciso disciplinare, e anche a inventare il rito della ricolmatura. È una vera e propria cerimonia in cui le bottiglie d’annata vengono stappate e poi ritappate dopo un assaggio (a verificarne l’intatta qualità) e un rabbocco con vino della stessa annata.

C’è un mondo attorno al Brunello e ci sono regole ferree a presidio della sua eccellenza. Due anni in rovere e altri quattro mesi in bottiglia prima della vendita, consentita dal gennaio successivo al termine di cinque anni (compreso quello della vendemmia).
Dagli anni Cinquanta il successo del Brunello è esploso anche oltre confine. Nel 1966 arrivò il riconoscimento della doc, nel 1980 la docg (denominazione di origine controlllata e garantita). Vino meraviglioso con le carni rosse, la selvaggina, i funghi, tanti piatti al tartufo. Presenza fissa nei primi posti delle più autorevoli classifiche enologiche del mondo. Fra i sette e i nove anni di età, dicono i sommelier quasi unanimi, quel vino dà il meglio di sé.
Quella del Brunello è una lunga storia di successi e prodigi. Il vino ha portato prosperità e notorietà a un paese che oggi ha quasi seimila abitanti e a una zona che fino agli anni Sessanta e Settanta faceva scappare i suoi residenti alla ricerca di lavoro e di sicurezze. Il risultato fu uno spopolamento del 70 per cento. Oggi tutto è cambiato. Miracoli del vino. Tra questi, uno va raccontato. Un talentuoso musicista inglese bevve solo birra fino a vent’anni. Poi raccontò che, proprio grazie al Brunello, si convertì al vino rosso e si innamorò della Toscana. Risultato: nel 1997 comprò una splendida tenuta tra Figline e Incisa Valdarno, dove tuttora produce un olio e un vino di cui va orgoglioso. Il suo nome è Sting.