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May 31, 2017
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Dino Borri: una vita per il cibo buono, pulito e giusto

All’interno del progetto Business Italian Style un gruppo di studenti intervista il general manager di Eataly Nord America

Maurita CardonebyMaurita Cardone
Time: 6 mins read

Da un’idea nata in Italia, un intraprendente uomo italiano ha fatto di una filosofia la sua casa e il suo lavoro. L’idea è Slow Food, l’uomo è Dino Borri e il lavoro è quello di direttore acquisti per Eataly Nord America. Abbiamo incontrato Borri per un’intervista sui temi della sostenibilità e del made in Italy, all’interno del progetto Business Italian Style 2, offerto dal corso di Business Italian della Montclair State University. Ci ha accolto nella sede di Eataly Flatiron dove, dopo la brutta bufera di febbraio, noi studenti ci siamo rifugiati nel mondo caldo e accogliente di Eataly, un supermercato col cuore sostenibile.

Dino Borri è direttore generale e ambasciatore del marchio di Eataly Nord America. Ha cominciato a lavorare per l’azienda nel 2008. Prima della sua carriera ad Eataly, Borri ha lavorato per dieci anni con Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, un movimento che pone l’accento su sostenibilità, autenticità, e provenienza del cibo. Lo slogan di Eataly, “alti cibi”, si ispira alla filosofia di Slow Food. Borri ci spiega che dietro la filosofia del fondatore di Eataly, Oscar Farinetti, c’è l’invito a mangiare meglio e meno, spendendo un po’ di più: “la qualità non è nella quantità”, dice. Per questa ragione, da Eataly si vendono prodotti freschi e, quando possibile, locali, mentre per i prodotti tipici italiani si predilige l’autentico made in Italy. Insomma l’azienda insegue sempre un equilibrio tra autenticità e sostenibilità. Eataly vende i cibi che cucina e cucina i cibi che vende.

Eataly è uno dei “marketplace” italiani più grandi al mondo. L’azienda ha chiuso il 2016 con oltre 400 milioni di euro di ricavi e gli analisti finanziari si aspettano che presto il colosso firmato Farinetti sarà pronto a quotarsi in borsa. Vincitore di diversi riconoscimenti come “Most Innovative Company 2015” e “International Retailer of the Year 2016”, ha sedi in tutto il mondo: San Paolo, Monaco, Copenaghen, Istanbul, Seul, Dubai, Tokio, Osaka e Yokohama, oltre ai 18 punti vendita italiani e i 5 negli Stati Uniti. In Nord America la compagnia sta attraversando un’intensa fase d’espansione, con due nuovi negozi di prossima apertura, di cui uno a Toronto nel 2019. A contribuire alla crescita dell’azienda sono anche le tante iniziative mirate a espandere la cultura alimentare e promuovere il made in Italy di qualità, come La Scuola di Eataly che unisce l’insegnamento di tecniche tradizionali a momenti di degustazione guidata con lo scopo di sensibilizzare il consumatore e renderlo più consapevole dei vari aspetti del mangiar bene.

Per Eataly Borri ha attraversato i mari: per due anni ha lavorato in Giappone, accompagnando l’arrivo del marchio in quei territori. Nel 2010 si è spostato a New York per lanciare il primo punto vendita dell’azienda negli Stati Uniti, quello del Flatiron District. Oggi Eataly ha negozi in quelle città del Nord America dove, ci dice Borri, “c’è una forte comunità italiana, oppure una cultura del cibo molto sviluppata e magari una cultura gastronomica italiana”: New York City Flatiron, New York City Downtown (aperto la scorsa estate), Chicago, Boston, Los Angeles, mentre si avvicina l’apertura di un negozio a Las Vegas.

Pur lavorando in tutti gli Stati Uniti e viaggiando continuamente, Borri abita con moglie e figlia a New York. Ed è qui, nel punto vendita del Flatiron District, che si sente a casa. Entrando negli spazi di Eataly si viene accolti da un cartellone con lo slogan di Carlo Petrini che racchiude la filosofia di Slow Food: “Buono, pulito e giusto”. Buono, ci spiega Borri, perché il cibo è un piacere; pulito perché tale deve essere il processo produttivo, sia nella manifattura che nell’impatto sulla terra, evitando l’uso di prodotti chimici; e, infine, giusto perché Eataly è un’azienda sostenibile che si preoccupa dell’impatto ambientale e di creare una filiera equa anche per i lavoratori e tutti i soggetti coinvolti.

Se definiamo la sostenibilità come prerogativa essenziale per garantire l’equilibrio di un ecosistema, vale a dire la capacità di conservare i processi ecologici e la biodiversità, anche gli ecosistemi umani, con i loro processi sociali e culturali, possono contribuire alla conservazione dell’ambiente naturale. E Borri ne è una dimostrazione perché la sua passione nasce in uno specifico contesto culturale. Come ci racconta lui stesso, questa sua devozione alla causa deriva, almeno in parte, dal fatto di condividere il luogo di nascita con Slow Food: la città di Bra, in Piemonte. “Poi con l’evolvere del lavoro — ci ha detto — ho cercato sempre di seguire quelle aziende, quelle situazioni, che mi hanno permesso di portare in giro il verbo della filosofia con la quale sono cresciuto quando ero ragazzo. Slow Food è parte integrante della mia famiglia, della mia persona”.

Un rapporto così stretto con il cibo è, secondo Borri, alla base di quel sistema di conoscenze necessario per comprendere come contribuire al benessere personale attraverso l’alimentazione: “Siamo ciò che mangiamo e naturalmente l’alimentazione è una parte fondamentale del benessere degli umani”, spiega. Ma non solo: dobbiamo sapere quello che mangiamo per assicurarci che ciò che consumiamo abbia un valore etico e produca un vantaggio per la società e per l’ambiente. “L’educazione è alla base di tutto: educando si arriva alla sostenibilità, si arriva a capire perché un prodotto a volte deve costare di più e che il costo non è solo quello del prezzo, perché prima del prezzo devi vedere qual è l’impatto ambientale”.

Foto di gruppo durante la visita da Eataly. Da sinistra: Maurita Cardone, Ken Browne, Dino Borri, Emilia D’Angelo, Enza Antenos, Brittany Savill, Christina Pari

Continuando a parlare con Dino Borri abbiamo compreso quanto la conversazione sulla sostenibilità sia complessa e coinvolga diversi piani. Un’altra componente importante dell’ambiente, ad esempio, è rappresentata dalle creature che lo occupano. La crescente domanda di carne si riflette in un costante aumento di allevamenti intensivi, una delle principali fonti di gas serra a livello globale. Mangiare meno carne e meno prodotti di origine animale aiuterebbe a ridurre le emissioni di anidride carbonica e migliorare l’ambiente. Eataly si impegna a ridurre la quantità di animali allevati e a limitarne l’impatto ambientale attraverso buone pratiche sostenibili: “Gli allevamenti intensivi distruggono l’ambiente, inquinano l’aria. Se carne vogliamo mangiare, invece di mangiarla tutti i giorni, mangiamone meno e differenziamo: tipi di carne diversi, pesce, verdure”. Anche la qualità della vita degli animali rientra tra le preoccupazioni di Eataly: “I nostri allevamenti sono in Montana e in Piemonte, gli animali sono allevati al pascolo, senza ormoni, senza additivi, in maniera totalmente sostenibile, secondo i disciplinari sul benessere animale. Perché il benessere non deve essere solo quello dell’uomo ma anche degli animali. Se una mucca vive felice è meglio. Dico sempre che i nostri polli sono così buoni perché son polli felici e se un animale vive felice, diventa anche più buono”.

Dopo l’intervista, Dino Borri ci ha fatto da cicerone nel negozio del Flatiron district, tra scaffali, vetrine e ristoranti. Ci ha descritto prodotti e sapori — ovviamente usando i nomi propri italiani — con entusiasmo e passione: era chiaramente nel suo habitat naturale e usava con gioia la sua lingua che, ci ha detto, a suo avviso contribuisce ad offrire al consumatore un’esperienza più autentica, un’esperienza che solo Eataly può dare. Nelle sue parole traspariva orgoglio per l’azienda per cui lavora e per la sua filosofia. E vedendolo in azione appare chiaro che sia la persona giusta per questo incarico.

Dino Borri mostra il negozio Eataly al gruppo della Montclair University

L’incontro con Dino Borri e l’intero progetto Business Italian Style ci hanno insegnato a riconoscere concetti e valori di cui ci preoccupiamo da sempre ma che non sapevamo definire e spiegare. Anche chi di noi si sta laureando in biologia aveva bisogno di poter vedere concretamente l’impatto che alcune attività possono avere sull’ambiente. Quelli di noi che invece studiano business, attraverso questo corso, hanno avuto l’opportunità di scoprire aziende italiane che sono riuscite a farsi strada in America. Prima di questo corso pensavamo che made in Italy fosse un’etichetta piccola e nascosta, sulla parte posteriore di un prodotto. Ma il made in Italy non è solo una dichiarazione o un fatto, è un marchio, una tecnica di marketing, che dice al consumatore che il prodotto è autentico e comunica i valori che quel marchio racchiude. Quando al consumatore viene detto che il prodotto è made in Italy, gli vengono comunicate qualità e bellezza, in una parola: desiderabilità.


Questo è uno degli episodi della serie Business Italian Style 2, un progetto, alla sua seconda edizione, promosso da The Inserra Chair in Italian & Italian American Studies all’interno del programma di italiano della Montclair State University (NJ), come parte del corso ITAL321 Business Italian di Enza Antenos, in collaborazione con La Voce di New York. Le interviste, ideate e condotte dagli studenti del corso di Business Italian, approfondiscono il rapporto tra dieta italiana, made in Italy e sostenibilità.


Qui gli altri episodi della serie:

Intervista alla presidente del consiglio di amministrazione di illycaffè, Andrea Illy.

Intervista alla chef e imprenditrice, Lidia Bastianich.


Qui la prima edizione del progetto Business Italian Style.

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Maurita Cardone

Maurita Cardone

Giornalista freelance, abruzzese di nascita e di carattere, eterna esploratrice, scrivo per passione e compulsione da quando ho memoria di me. Ho lavorato per Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia, QualEnergia, L'Indro, senza che mai mi sia capitato di incappare in un contratto stabile. Nel 2011 la vita da precaria mi ha aperto una porta, quella di New York: una città che nutre senza sosta la mia curiosità. Appassionata di temi ambientali e sociali, faccio questo mestiere perché penso che il mondo sia pieno di storie che meritano di essere raccontate e di lettori che meritano buone storie. Ma non ditelo ai venditori di notizie.

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