Un bambino in ginocchio sulla sedia, lo sguardo serio e concentrato, come in uno sforzo, le mani affondate nell’impasto. Non perde nessuno dei sapienti movimenti di nonna Melina, e li ripete nel modo buffo e solenne dei bimbi. Mentre mi racconta come una passione nasce e diventa mestiere, Alessandro Turtulici, giovane chef emergente in forza al ristorante Il Bacocco di Roma, io lo immagino così.
Non è un giovane della generazione di Masterchef; ha cominciato il suo percorso prima che il lavoro di chef fosse ai primi posti tra le professioni preferite dai ragazzi. In modo naturale, quel gioco di impastare con nonna Melina, è diventato passione, la passione lo ha spinto allo studio, e infine è diventata mestiere.
Alessandro Turtulici studia con Antonio Chiappini nella scuola A tavola con lo chef, e dopo diverse esperienze, compresa quella nella cucina del grande Heinz Beck, approda a Il Bacocco, ristorante romano di Trastevere, dove l’identità di bistrot ed enoteca, si esprime al suo massimo nella cucina concreta e per nulla pretenziosa di Alessandro, e in un'interessantissima carta dei vini. Un luogo dove la linearità chic dell’ambiente non ti mette in soggezione, ma ti fa sentire a tuo agio, coccolato dal buon cibo e dal buon vino.
Per il Progetto Petronilla ci incuriosiva scoprire quanto le donne della vita di Alessandro, con il loro modo di cucinare, avessero ispirato la scelta di questo lavoro. E come immaginavamo, la storia comincia intorno al tavolo di una cucina. Tre donne, intorno a quel tavolo, e il ricordo di un nonno chef. La storia comincia ancora prima che quel bimbo del primo fotogramma fosse anche solo un'idea. La storia comincia con la prima di queste tre donne, una ragazza di Messina, e un ragazzo, anche lui siciliano, di Pachino, Siracusa, chef nella base americana Wheelus Air Base di Tripoli. La ragazza, Melina, cucina in casa, per la famiglia. Una cucina colorata, di spezie e profumi, contaminata e appassionata, ugualmente solida nella tradizione siciliana. Lui invece cucina italiano, per i militari americani di stanza in Libia, con la disciplina e la costanza del mestiere.
Due mondi e due modi di intendere il cibo che poi si fondono nella cucina della figlia, Agata, la seconda donna di questa storia. Agata che nasce e cresce a Tripoli e che assorbe questi due mondi culinari, li fa propri e a sua volta li reinterpreta. Quando l'abbiamo incontrata, Agata ha rievocato la cucina del papà partendo dagli aromi: te li fa assaporare quando racconta il profumo del ragù, che la accoglieva tornando a casa. Non puoi non sentire nella bocca il sapore di quel ragù. Agata è la mamma di Alessandro: con la famiglia rientra in Italia, a Roma, nel grande esodo dopo il colpo di Stato del 1969, e si sposa. E nella sua nuova famiglia comincia a cucinare con il desiderio, anzi l’esigenza, di riprodurre i sapori e i profumi di casa, della Sicilia e di Tripoli, nella pasta incasciata o nel couscous di pesce o di verdura, nel pesce spada a ghiotta o nei pomodori, nell’origano, nello sgombro, nella ricciola. Un desiderio che ritroviamo sempre, ma specialmente in chi vive lontano dal luogo di origine.
La terza donna in questo film è la nonna romana, Rita, che invece porta sulla tavola di Alessandro i grandi piatti della tradizione. Alessandro cresce quindi in una famiglia dove il cibo è un filo conduttore che racconta storie, che cura ferite, che celebra i successi, che nutre, che costruisce identità.
Il percorso che Alessandro ci racconta sorprende per la limpidità. La cucina è sacrificio, è fatica, non sono le luci degli studi televisivi, né il ruolo piacione di alcuni chef sotto i riflettori. Ed è rispetto e non ansia. Rispetto per le materie prime di qualità e del territorio. Nell’uso e nella scelta degli ingredienti, anche uno chef professionista prende spunto dai propri ricordi: ad esempio, racconta Alessandro, per lui sono i sapori mediterranei, le spezie, la cucina siciliana e tripolina. Ovviamente sperimentando e rivisitando, ma con un occhio al punto di partenza, a quel tavolo dove, bambino, impastava gli gnocchi con la nonna.
E se Agata, alla fine di questa intervista, ci regala una ricetta che porta sulle nostre tavole il sapore siciliano del pesce spada a ghiotta, Alessandro invece ci spiega come un ricordo casalingo può diventare alta cucina come succede nella sua rielaborazione degli gnocchi di nonna Melina, conditi con il suo sugo di scorfano che era il trucco furbo per far mangiare il pesce al nipotino. Con un guizzo creativo, sugli gnocchetti lo chef aggiunge ricotta mantecata al limone (nella foto a lato). Li mangi, e tutto è perfetto, ti ritrovi nell’emozione che lo chef ha provato nel creare il piatto partendo dal ricordo.
Come ci ha detto Alessandro, “la cucina, per chi lo fa con convinzione, è soprattutto un grande amore e una grande emozione. Ti devi emozionare tu che cucini, ma punti soprattutto a far emozionare chi di sta di fronte. Se riesco a suscitare un ricordo, oltre ad aver fatto un piatto buono, ho anche fatto vivere un’emozione, che poi è per me lo scopo finale della cucina di uno chef”. Lo sguardo concentrato e solenne di quel bimbo è ancora negli occhi di Alessandro che compone piatti in cui si ritrova tutto, comprese quelle tre donne importanti e il ricordo di un nonno chef.
Il pesce Spada “a ghiotta” di Agata – Ingredienti per 4 persone:
4 tranci di pesce spada
una cipolla bianca
un gambo di sedano
una manciata di olive verdi snocciolate
una manciata di capperi
300 grammi di pomodorini pachino
olio di oliva extravergine quanto basta
30 gr di pinoli
30 gr di uvetta
sale e pepe quanto basta
basilico
peperoncino
Tagliare a tocchetti il sedano, pulire e tagliare a pezzetti le olive, dissalare i capperi. Mettere in un tegame l’olio, il peperoncino e la cipolla e il sedano. Far appassire senza far colorare, unire i capperi dissalati, le olive, i pinoli e l’uvetta.
Dopo qualche minuto mettere i pomodorini senza buccia e semi e il basilico, far cuocere per un quarto d’ora, aggiungere il pesce e farlo cuocere cinque minuti per parte, salare e pepare.
Questa è una delle ricette tradizionali raccolte all'interno del Progetto Petronilla del Casato Filo della Rosa Onlus. Il progetto parte da Roma ma ha l’ambizione di viaggiare nel mondo, non solo in altre città e centri italiani, ma anche all’estero.
Raccogliendo le ricette delle donne del mondo, il progetto Petronilla punta a creare un ricettario internazionale e tutto al femminile, con un occhio al passato ma anche uno slancio verso il presente e il futuro. Le ricette raccolte verrano poi presentate a Milano in occasione di Expo 2015.
Ma il capologuo lombardo sarà solo una delle tappe: le “Petronille” sono già in viaggio e hanno iniziato a sviluppare progetti simili a quello romano in Bielorussia, a New York e a Barcellona. E ora, attraverso La VOCE di New York chiedono anche alle donne italiane negli States e alle italo americane di condividere le proprie ricette inviandole a redazione@lavoceny.com o a casatofilodellarosa@gmail.com. Le proposte migliori verranno pubblicate su La VOCE di New York ed entreranno a far parte del ricettario delle Petronille nel mondo.