Spesso considerato un regista facile, a volte banale, Claude Lelouch, figura poliedrica e geniale della settima arte, è invece un autore complesso, e ricco di sfumature, il cui entusiasmo è sempre rimasto intatto nella sua sessantennale carriera nonostante gli alti e bassi e malgrado l’assedio spesso indiscriminato di gran parte della critica, compensato però spesso dalla fedeltà del pubblico.
Nel portare sullo schermo le più grandi passioni dell’uomo, vita e cinema coincidono in lui: non solo sul piano del necessario coinvolgimento dell’autore con la propria opera, ma per quel tanto di “adolescenziale” che il regista di Un homme et une femme-Un uomo, una donna (1966, picco insuperabile della sua produzione) ha sempre riconosciuto alle fonti di ispirazione. Il film gli fruttò la Palma d’oro al Festival di Cannes e nel 1967 gli Oscar per il Miglior film straniero e Migliore sceneggiatura originale (scritta dal regista insieme al connazionale Pierre Uytterhoeven).
Lelouch è sempre stato, ed è tuttora, un regista “lontano” dai meccanismi dell’industria cinematografica: è orgogliosamente un autore anomalo, eccentrico e “giovanilistico”, con il suo sempiterno amore per la vita, per le donne, per le novità sociali e le nuove tecnologie. “Vedo un film – spiegò una volta il regista – come un puzzle, con un inizio, una parte centrale e una fine, ma a volte mi piace iniziare dalla fine. Inizio con sequenze che stimolano l’intelligenza e le emozioni dello spettatore. Devi colpire duro fin dall’inizio e creare una zona depressurizzante tra la vita dello spettatore e quella sullo schermo”.
L’81.ma edizione della Biennale di Venezia, in corso al Lido fino al 7 settembre, lo omaggia con il Premio Cartier Glory to the Filmmaker, ambito riconoscimento dedicato a una personalità che abbia apportato notevoli innovazioni nell’industria cinematografica.
Nel motivare il premio, il direttore della Mostra veneziana, Alberto Barbera, ha elogiato questo “dilettante della settima arte” (come, purtroppo, una parte della critica ha bollato negli anni il regista), affermando “Claude Lelouch è uno dei maggiori autori del cinema francese, interprete eccellente della sua ‘qualità’ ancorché estraneo alle sue principali correnti, e molto prolifico, avendo diretto oltre sessanta lungometraggi… Autore anomalo e inclassificabile, predilige la contaminazione dei generi (drammi, commedie, polizieschi, film d’avventura e western, fantascienza e musical, film di guerra e d’ambientazione storica), le cui convenzioni non esita a scompaginare ricorrendo a strutture narrative e temporali irrituali…”.
Nel corso dei decenni, il regista francese si è affermato come autore amante della contaminazione di generi (dramma, commedia, comico, farsesco, noir, avventura, western, fantascienza, musical, bellico, storico, spionistico), non esitando però a scompaginarne le convenzioni, ricorrendo a strutture narrative e temporali irrituali.

Lelouch si è spesso dimostrato molto all’avanguardia, anche tecnicamente (e questo può aver disturbato la percezione dei suoi lavori in chi affronta la visione di un film con certi schemi codificati): come nel caso del cortometraggio C’etait un rendez vous-L’appuntamento (1976), girato in un piano sequenza di 9 minuti in steadicam (videocamera professionale che permette le riprese in movimento senza sobbalzi, ndr) sfrecciando per Parigi su una Mercedes, e come per Les plus belles années d’une vie-I migliori anni della nostra vita (2019), una sorta di epilogo di Un uomo, una donna, ponte perfetto tra passato e futuro, con Anouk Aimée e Jean-Louis Trintignant con molte rughe in più, ma girato per un terzo con un iPhone!: nuova “giovinezza” cinematografica per l’allora ottantunenne regista. Alla stampa, alla presentazione del film, Lelouch, che ha sempre creduto fermamente nelle nuove tecnologie, ha dichiarato. “Con un telefonino, sei più libero con gli attori e poi il cinema è arte popolare, perché nel mondo ci sono sette miliardi di persone che con lo smartphone guardano e riprendono tutto: gli occhi sono la macchina presa, le orecchie il microfono e la mente la sala di montaggio. Ho sempre lavorato con la sceneggiatura migliore che esista, cioè la vita, e trovo che queste piccole macchine offrano il modo migliore, il più libero, per lavorare con la vita. Voglio dimostrare che si può fare cinema con pochi mezzi, se si sa come usarli. Si tratta di un modo nuovo di filmare… senza limiti perché libera veramente gli attori, permette di essere ancora più connessi alla vita, alla spontaneità. E permette di entrare ovunque Penso che questa sia la vera Nouvelle Vague del cinema, una svolta incredibile.
Dopotutto, Claude Lelouch appartiene ad una speciale generazione di cineasti: quelli che sanno fare di tutto: scrivere, produrre, girare, montare un film, ma soprattutto rischiare di continuo, senza mai arrendersi, anche se bistrattato dalla stampa.
Nei suoi numerosi film ha raccontato l’eterna dialettica tra caso e destino e “la storia delle storie”, cioè le tante variazioni sul tema dell’incontro tra un uomo e una donna: l’universo lelouchiano mostra i temi dell’amore e dell’amicizia colti nei rapporti umani che si sfilacciano come maglie per poi voltarsi indietro e tentare di rimetterli insieme.
Nato a Parigi il 20 ottobre 1937, figlio di un sarto ebreo algerino di origine palestinese, Claude da piccolo passa molto tempo al cinema perché sua madre, prima di recarsi al lavoro, lo affida per sicurezza alle maschere dei cinema. A diciotto anni, il padre gli regala una macchina da presa e lui se ne va per il mondo a girare documentari. Continua la sua attività anche durante il servizio militare, al termine del quale fonda la sua casa di produzione, Les Films 13. Dopo aver prodotto e realizzato diversi cortometraggi e documentari, nel 1960 dirige il suo primo lungometraggio Le propre de l’homme-Ciò che è proprio dell’uomo, scritto ed interpretato da lui stesso, che racconta la storia della giornata parigina di una coppia, anticipando temi e stili di molte sue opere successive.
In quegli stessi anni, Lelouch, sempre attento al nuovo, realizza inoltre numerosissimi scopitones (sorta di videoclip musicali che si proiettavano in particolari jukebox dotati di schermo a retroproiezione, ndr) e una dozzina di spot pubblicitari.
Nel 1966 arriva Un homme et une femme-Un uomo, una donna, il grande successo che gli cambia la vita e gli apre le porte di Hollywood: ma lui si nega. “Mi chiesero di girare con Steve McQueen e Marlon Brando – ha raccontato – ma mi resi conto che là comandano i produttori e non gli autori, e allora rinunciai”.
Riguardo al grande successo del pluripremiato film, Lelouch, a Bologna, nel 2019, in occasione della presentazione in Piazza Maggiore della sua versione restaurata, ha detto: “Quando feci il film avevo ventisette anni, l’età dell’innocenza, ma cambiò la mia vita perché mi diede una grande libertà di cui approfitto fin da allora”.
L’amato-odiato regista francese non ha mai fatto mistero di amare le donne, sullo schermo e nella vita: ha avuto quattro mogli (tra cui l’attrice e ballerina italiana Alessandra Martines, dal 1996 al 2009) e dei suoi sette figli (i cui nomi cominciano tutti con S), cinque sono femmine: “Credo profondamente nelle donne, e ho fiducia in loro – ha detto -. Quando le ho intorno mi sento bene, vitale. Dio ha creato gli uomini e le donne, gli andò male con i primi ma alla grande con il genere femminile”.
La consegna del prestigioso Premio Cartier Glory to the Filmmaker avverrà il 2 settembre presso la Sala Grande, prima della proiezione del suo ultimo film, presentato fuori concorso a Venezia, Finalement, che vanta un cast stellare che include Kad Merad, Elsa Zylberstein, Michel Boujenah, Sandrine Bonnaire, Barbara Pravi e Françoise Gillard.