È un film italiano ad aprire la ventesima edizione delle Giornate degli Autori della Mostra del Cinema di Venezia 2023 (30 Agosto/9 Settembre): Gli oceani sono i veri continenti, debutto nel lungometraggio di Tommaso Santambrogio, che arriva nelle sale italiane dal 31 agosto, distribuito da Fandango. Dobbiamo tornare al 2012 per trovare un precedente: il Pinocchio di Enzo D’Alò.
Il film di Santambrogio è una cartolina dolce/amara di una Cuba lontana dai sogni turistici e dall’entusiasmo post-rivoluzionario, un affresco di contemporaneità nel quale vivono i sogni e la memoria dei personaggi e nel quale si avverte lo spettro della perdita, del distacco, dell’emigrazione, attuale grande piaga dell’isola caraibica. È la storia quotidiana – in un bianco e nero che meglio sottolinea il contrasto tra passato e presente – di sogni, speranze, illusioni e ricordi del tempo che fu, di personaggi diversi per età, periodo storico e vissuto personale.

Tommaso Santambrogio ha collaborato con diversi registi di fama internazionale, come il tedesco Werner Herzog (L’enigma di Kaspar Hauser; Fitzcarraldo; Grido di pietra; Family Romance) e il filippino Lav Diaz (Norte, the End of History; When the Waves are gone; Mananita) e i suoi cortometraggi sono stati presentati nel corso degli anni in diversi festival prestigiosi, tra cui anche la Mostra veneziana: L’ultimo spegne la luce (2021) era in competizione ufficiale alla 36ma Settimana Internazionale della Critica del Festival di Venezia ed è poi entrato nella cinquina finale dei prescelti ai David di Donatello 2022. Taxibol (2023), suo nuovo mediometraggio, è stato recentemente presentato in anteprima a Visions du Réel, festival di documentari di fama internazionale che si tiene ogni anno ad aprile a Nyon, in Svizzera.
Cosa ti ha ispirato nel dare al film questo titolo?
La prima volta che sono stato a Cuba avevo otto anni. Mi ricordo che, mentre mi avvicinavo ai controlli dell’aeroporto, assistetti a un abbraccio disperato e inseparabile – con profondi singhiozzi e lacrime – tra un padre e una figlia, la quale evidentemente aveva trovato il modo di lasciare l’isola e non ci avrebbe fatto più ritorno. Era un addio, una separazione, struggente e ingiusta quanto terribilmente quotidiana e comune nella società cubana, che oggi sta attraversando la più grave crisi migratoria della sua storia (quasi l’8% della popolazione ha lasciato il paese solo nell’ultimo anno e mezzo e il flusso è in costante crescita). Il titolo del film deve la sua origine a quell’immagine che si è fissata nella mia memoria e alla fine ha creato una connessione tra la Cuba di oggi e la mia ricerca artistica.
Tre storie come pezzo di un mosaico che però non si ricompone: rimpianti o giudizio?
No, nessun giudizio. Solo una scelta di linguaggio cinematografico. Sono tre storie che non si intersecano, ma sono parte di un unico affresco: volevo solo che formassero una connessione narrativa. Tutto qui. Nessun potere demiurgico quindi, nessuna interconnessione.
Perché il film in bianco e nero? Per meglio sottolineare il contrasto tra passato lumi e presente grigio-scuro?
Cuba ha sempre avuto di base elementi brillanti ed elementi critici, la sua stessa cultura – una delle più ricche dei paesi caraibici – mostra la ricchezza di tante sfumature cromatiche. Per tanti anni è stata la vera patria dell’immaginario collettivo, nel quale stupiva l’assurdo cubano a livello internazionale, per certi versi divertiva. Il film cerca di mettere il discorso su Cuba su un piano più sincero ed aperto. Anche per la necessaria riflessione umana e politica.
Conosci bene i problemi di Cuba: gli Usa, con Obama, hanno smussato l’embargo ma poi con Trump l’hanno reso ancor più pesante. Pensi che i problemi che sta vivendo l’isola dipendano solo dall’embargo?
Gli anni 2015-2016, con l’apertura di Obama sono stati un momento florido per Cuba, si pensava che il superamento delle difficoltà create dal lungo blocco fosse dietro l’angolo, ma poi tutto è cambiato e dopo Trump le navi che fanno sosta a Cuba non possono, per un lungo periodo di tempo, attraccare in un porto americano. Ad aggravare la situazione sono poi intervenuti una riforma economica realizzata non nel momento migliore e la pandemia, che ha tagliato le gambe al Paese, azzoppando turismo ed economia del mercato nero. Cuba ha subito tassi di inflazione molto alti e per un periodo sono mancati persino beni di prima necessità. C’è poi da considerare la colpevole dimenticanza dell’occidente, tra cui anche l’Italia, della realtà cubana. Eppure, nonostante queste enormi difficoltà socio-economiche che creano rabbia e disperazione, è un momento storico molto interessante per Cuba: tra crisi migratoria ed economica, l’isola sta vivendo un delicatissimo momento di passaggio, tra voglia di rimboccarsi le maniche e desiderio di fuga.