Novanta candeline per Rajmund Roman Thierry Polański, alias Roman Polanski, regista, sceneggiatore, attore e produttore cinematografico polacco nato a Parigi il 18 agosto 1933 e in seguito naturalizzato francese.
Non c’è aggettivo (da combattente controverso a genio poliedrico, da cosmopolita polemico ad apolide) per definire questo autore di lungometraggi veri pilastri della storia della cinematografia perché ognuno di essi risulta riduttivo quando si cerca di definire il suo lavoro e la sua vita, entrambi indissolubilmente legati come sottofondo alle inquietudini dei suoi 21 film in 61 anni di carriera. Attivissima: il suo ultimo film, The Palace, annunciato come una “splendida commedia noir”, sarà presentato a Venezia in anteprima mondiale il 2 settembre. Il regista non potrà presenziare, in forse la partecipazione di Fanny Ardant, protagonista insieme a Oliver Masucci, John Cleese, Bronwyn James, Joaquim De Almeida, Luca Barbareschi, Milan Peschel, Fortunato Cerlino, Mickey Rourke. The Palace è un dramma ambientato alla vigilia del Capodanno 2000 in un albergo di gran lusso creato all’interno di un castello di inizi Novecento sulle montagne svizzere. Per la celebrazione del millennio entrante lo staff si prepara ad accogliere ospiti ricchi ed eccentrici che si aspettano di trascorrere il veglione più straordinario della loro vita. Ma l’imprevedibile sconvolgerà ogni piano.
Il regista ha appena compiuto 90 anni, il 18 agosto, novant’anni vissuti al massimo, tra tragedie familiari, cinema e scandali sessuali.
Un’infanzia difficile segnata dall’antisemitismo quella di Roman. Nasce già esule a Parigi dallo scultore e pittore Ryszard Liebing che cambia nome, viste le sue origini ebree, e per essere accettato si trasferisce in Francia. Quando l’intolleranza antisemita contagia la sua nuova patria, a soli tre anni, il futuro regista segue la famiglia nel suo ritorno a Cracovia dove però, all’arrivo dei nazisti, verrà rinchiusa nel ghetto della città. La madre, deportata nel 1941 ad Auschwitz morirà nel lager, mentre il padre, deportato e sopravvissuto a Mauthausen, farà appena in tempo ad affidare il figlio a una famiglia cattolica polacca che poi lo rivenderà a dei contadini con i quali vivrà fino all’arrivo liberatorio dell’Armata Rossa che permetterà il ricongiungimento con il padre.
Per scordare le tragiche esperienze vissute (tra queste, l’essere preso di mira da un gruppo di soldati tedeschi che si diverte a prenderlo come bersaglio e a vederlo saltellare terrorizzato per evitare i colpi), Polanski nel 1957 entra nella scuola di cinema di Lodz, dove si diploma nel 1959 con Gdy spadaja z nieba anioly (La caduta degli angeli), cortometraggio connotato da uno spiccato senso del grottesco. Nel frattempo lavora come attore, con piccole parti al cinema e in teatro.

L’insuccesso del suo primo lungometraggio, Il coltello nell’acqua (1962), boicottato dai burocrati del partito – perché privo di finale “positivo” – ma ben apprezzato dalla critica internazionale (ottiene una nomination all’Oscar come Miglior film straniero), lo spinge ad abbandonare la Polonia e a trasferirsi prima a Parigi – dove fa amicizia con Gérard Brach, futuro co-sceneggiatore di quasi tutti i suoi film – e poi a Londra.
Il primo progetto nella capitale britannica sarebbe Cul-de-sac ma, per mancanza di finanziamenti, Roman deve posporlo al thriller psicologico Repulsion (1965), che si giova dell’interpretazione di Catherine Deneuve e viene premiato con l’Orso d’argento al Festival di Berlino, dove l’anno successivo Cul-de-sac, finalmente realizzato grazie al successo del film precedente, vince l’Orso d’oro. Tre pellicole, tre pezzi da novanta!
Polanski è ormai un regista affermato anche a livello internazionale e Hollywood, ovviamente, lo nota e gli affida prima la regia di Per favore…non mordermi sul collo! (1967), suo primo film a colori (sul cui set lavora con Sharon Tate, sua prossima moglie), e l’anno dopo, nonostante il precedente flop, la realizzazione di quello che da molti è considerato uno dei suoi due capolavori e uno dei migliori film horror di tutti i tempi, l’agghiacciante e paranoico Rosemary’s Baby, con Mia Farrow (1968, l’altro capolavoro è Chinatown, 1974).
Nell’agosto del 1969, Polanski è in visita in Europa quando la moglie Tate, incinta del loro bambino all’ultimo mese di gravidanza, è uccisa – da Charles Manson e tre ragazze dalla sua setta satanica e criminale Manson Family – insieme a quattro suoi ospiti nella villa di Jack Nicholson (assente) affittata per l’occasione (La vicenda è stata poi in parte utilizzata da Quentin Tarantino per il suo film Once Upon a Time in Hollywood-C’era una volta… ad Hollywood, 2019).
Polanski rimane in Europa dopo gli omicidi, dirigendo l’adattamento di Shakespeare Macbeth (1971), che traccia paralleli inequivocabili con gli efferati crimini che hanno sconvolto la sua vita.

Polanski torna a Hollywood solo nel 1974 per dirigere il cupo e tortuoso neo-noir Chinatown, per il quale ottiene una nomination all’Oscar come miglior regista: uno dei film ritenuti “cruciali” della storia del cinema, un’autentica “bibbia” per gli sceneggiatori di tutte le epoche.
Poco dopo, nel 1976, Polanski vive un altro spartiacque della sua tormentata esistenza. È accusato di aver aggredito sessualmente la tredicenne modella Samantha Geimer, figlia di una conduttrice televisiva, nella villa di Jack Nicholson. La ragazza dichiarerà che non si è trattato di stupro, ma Polanski, anche se ora di fronte ad una pena più lieve, per rapporto sessuale extramatrimoniale con persona minorenne, si trasferisce in Europa e non torna più negli Usa, pena l’arresto.
Tornato in Europa si rigetta nel lavoro “senza soste”: 14 film da allora fino ad oggi, con alti e bassi. Nel 1979 ottiene una nomination agli Oscar per Tess (con Nastassja Kinski e dedicato alla moglie uccisa Sharon Tate); nel 1988 grande successo di critica e pubblico per Frantic, nel quale Harrison Ford interpreta il ruolo di un medico americano che giunto a Parigi per un congresso, si accorge che la moglie è stata rapita; nel 1992 critici colpiti dal torbido Luna di fiele, un dramma che affonda nella perversione sessuale di una coppia in crociera sul Mediterraneo; nel 2002 con Il pianista, in cui affronta il tema dell’Olocausto, che fa riferimento a molte delle sue esperienze personali durante il periodo: Palma d’Oro a Cannes e il David di Donatello 2003 come Miglior film straniero e, sempre nel 2003, tre Oscar: per la regia, Migliore attore protagonista (Adrien Brody) e Migliore sceneggiatura non originale (Roman Harwood). Tra gli altri suoi film, nessuno dei quali un flop, merita di essere ricordato J’accuse-L’ufficiale e la spia (2019), incentrato su un fatto storico, l’affare Dreyfus: Gran premio della giuria alla 76ª Mostra cinematografica di Venezia. Ed ora attendiamo The Palace.
Roman Polanski è sposato con l’attrice Emmanuelle Seigner e ha due figli, Morgane e Elvis.