Il tanto atteso Rheingold (L’oro del Reno), ultima fatica del regista tedesco di origini turche Fatih Akin, ha lasciato il segno non solo tra i critici presenti alla Festa del cinema di Roma ma anche tra gli studenti di varie scuole di cinema.
Insomma, un’altra perla nella carriera di Akin, che già vanta nel palmares un Orso d’Oro al Festival di Berlino 2004 per La sposa turca ( Descrive il mondo degli immigrati senza retorica, cercando di trovare l verità nella confusione dei sentimenti); Leone d’Argento a Venezia 2009 con Soul Kitchen (commedia ricca di imprevisti); un Golden Globe come Migliore film straniero nel 2017 per Oltre la notte (thriller drammatico sulla spasmodica ricerca della giustizia da parte di una donna).
E veniamo al film. Se Crossing the Bridge-The Sound of Instanbul, presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2005, Akin rendeva omaggio alla musica che lo aveva confortato nella sua difficile crescita di giovane immigrato ad Amburgo, Rheingold, tratto dall’autobiografia di, in arte Xatar (che vuol dire pericolo), pioniere della musica rap in Europa, è nato dalle tante analogie di vissuto scoperte dal regista nel leggere l’autobiografia (Tutto o niente) del gangsta rapper di origini curde ma nato in Iran, fuggito da piccolo con i suoi genitori musicisti prima in Iraq e poi, a metà degli anni ’80, emigrato in Germania.

Il giovane Fatih Akin si unì giovanissimo a bande di strada, con le quali commise spesso atti di violenza urbana, prima che a salvarlo da un futuro da teppista intervenissero la madre e la passione per la scrittura, iniziando così a scrivere racconti e sceneggiature, che, seppur brevi, costituirono per lui un buon esercizio per la sua futura carriera; così Xatar, una giovinezza anche lui da immigrato e durante la quale è passato da piccolo criminale a grande spacciatore, fino a quando scompare un carico di droga e lui, per saldare i debiti con il cartello, progetta un leggendario furto d’oro che lo porterà in prigione. Duri anni dietro le sbarre che non hanno comunque mai scalfito la sua passione per la musica trasmessagli dal padre, direttore d’orchestra. Non però amore per il genere classico ma per il gangsta rap, ispirato dal carcere: “una musica dei poveri che nasce dalla miseria e dalla poesia”, come ha detto il regista presentando il film.
Insomma, due vite per certi versi parallele che vogliono dirci “L’arte può salvare”, come esprime anche bene la visita a Xatar in carcere da parte del padre, il cui abbandono della famiglia aveva spinto il giovanissimo rapper sulla strada della delinquenza. Per salvarsi occorre però anche il credere in sé stessi: . “La vita è già scritta”, dice in una scena Xatar. “Stronzate – gli risponde il padre – la vita la scrivi tu”.
Rheingold (L’oro del Reno) è alla fin fine un riuscito miscuglio di dramma sul diventare maggiorenni, un thriller, un “semplice” romanzo sulla nascita di un rapper. Il film presenta un mondo molto “macho”, con tanto testosterone e in cui i personaggi femminili sono spinti a lato, sebbene Giwar Hajbi (l’attore Emilio Sakraya nel film) cambia in carcere il testo di una sua canzone affermando che “mamma è stata l’uomo della casa” dopo che lei gli ha rinfacciato la misoginia delle sue canzoni. Il film diventa ancor più convincente quando passa a Xatar adulto e Fatih Akin lo porta alla fine come un lavoro piacevolmente pensato e costruito, ma soprattutto lontano dall’essere un film biografico. Un film gangster in chiave moderna.