Un vero trionfo per “l’ultimo gladiatore della Città Eterna”, Russell Crowe, novello “ambasciatore di Roma nel mondo” per nomina dal sindaco Roberto Gualtieri.
Nonostante la perdurante e asfissiante calura, anche se pomeridiana, per ore alcune centinaia di persone hanno atteso il suo arrivo all’Auditorium della Conciliazione, a due passi da San Pietro, dove era atteso per la masterclass organizzata da “Alice nella città”, rassegna cinematografica autonoma e parallela alla Festa del cinema in corso nella Capitale, e riservata principalmente agli allievi delle scuole di cinema.
Al suo arrivo Via della Conciliazione sembra un’arena antica: un giovane grida“Massimo”, rievocando il nome dell’indimenticato Massimo Decimo Meridio de Il Gladiatore, film che gli fruttò l’Oscar nel 2001 come Miglior attore protagonista. Sceso dall’auto l’attore, oggi alquanto ingrassato ma dal portamento sempre magnetico, si offre ai fan osannanti, di ogni età e sesso, per firmare autografi, fare selfie, regalare semplici sorrisi, senza spocchia da star.
Entra poi nell’Auditorium e qui è va in onda un improvvisato, vero show, un atto unico indimenticabile, a partire dal suo ingresso, con un urlo da vero condottiero che fa sobbalzare tutti e scalda subito il pubblico: insomma, una versione più moderna della frase di Decimo Meridio (ricordate?) “Al mio segnale, scatenate l’inferno”.

Doveva essere una masterclass scandita dalle clip dei suoi film più popolari, era prevista una sua permanenza sul palco, assieme ad un intervistatore, ma Russell Crowe ha mandato a quel paese tutte le etichette, ha preso il microfono e cominciato a raccontare la storia della sua vita camminando tra il pubblico mentre raccoglieva le domande dei giovani accorsi per conoscere da lui segreti del mestiere e ricevere magari qualche consiglio. È un “Russell Show”, di cui l’attore è regista, moderatore, interprete, che comincia così: “Il bello di invecchiare – e io sono vecchio ormai a 58 anni – è poter insegnare quello che ho imparato. Una sola regola: non voglio domande tipo cosa ho mangiato a colazione. Voglio parlare solo di cinema, di ciò che è successo e succede davanti e dietro la macchina da presa”.
E comincia a raccontare la sua storia, i suoi contatti con il cinema, tra cui il primo, avvenuto proprio per caso quando aveva 6 anni, in Nuova Zelanda: “Mia madre si occupava del catering sui set e a volte la andavo a trovare. Un giorno stavano girando una serie e non c’erano abbastanza bambini e lei mi ha offerto volontario”. Da allora non ha più smesso, ma è un lavoro che richiede sì anche fortuna ma pure tanti sacrifici, come sottolinea affermando “Mi dicono: sei stato un bambino prodigio. No, sono stato un bambino comparsa. Ho fatto tanta TV, poi ho iniziato a scrivere canzoni e a suonare. Ho recitato nei musical come Grease, fatto 420 repliche di Rocky Horror Picture Show. Ho lavorato come deejay nei night, fatto i turni da barman. Nessuna scuola di recitazione. Questo sono io, non un prodotto di Hollywood. Il primo lungometraggio è arrivato a 25 anni con duemila performance alle spalle”.
A 14 anni il giovane Russell inizia a suonare in una band. “Scrivere canzoni e suonare sono l’altra mia grande passione che però – dice con un sorriso – non mi permette di pagare le bollette. Ma non bisogna mai abbandonare le proprie passioni e soprattutto ascoltare chi dice che nella vita non si può fare più di una cosa contemporaneamente”. Non ha mai smesso di suonare, anzi: ha ancora oggi un suo gruppo, è anche il compositore di un brano presente nella colonna sonora del film Poker Face (la fa ascoltare al pubblico in sala dal suo telefonino), sua seconda regia e presentato in serata in anteprima mondiale per la stampa.
Ma i ricordi dell’attore non sono solo cinematografici. Tornando indietro nel tempo Crowe ricorda infatti quando, oltre a recitare, faceva il barista (“I miei cocktail erano f*ttutamente buoni”) e il dj, e a volte tutto nella stessa serata (“Ero ossessionato dalle performance”).
Ha frequentato una scuola di recitazione? “No, quella non c’è mai stata nel mio passato. Solo tanta passione e voglia di fare, perché il destino non viene a bussarti alla porta se stai seduto sul divano. Bisogna credere nei propri sogni, e voi siete fortunati ad averne: molte persone non sanno che vogliono fare nella vita. Dovete seguire i vostri sogni”.

Il botta e risposta con il giovane pubblico si prolunga per quasi due ore, durante le quali l’attore porta il pubblico sul set de Il Gladiatore, Cinderella Man (“Il film più difficile, trentasei giorni di riprese sotto la pioggia finta, al freddo”) e Les Miserables (“Un’esperienza bellissima sul set, un pessimo lavoro di postproduzione. All’anteprima a New York dopo mezz’ora sono andato via. Non mi è piaciuto il lavoro che hanno fatto sul mio personaggio. In questo film faccio schifo”) e A Beautiful Mind (“Mi fece impazzire. Abbiamo rappresentato gli aspetti fisici della patologia, con i vari tic che si sviluppavano, fino ai 16 che il protagonista aveva, anche contemporaneamente).
Crowe ammette di aver avuto poche delusioni nella carriera: “Non ambisco a determinati ruoli, quindi non ci rimango male se non vengo scelto. Le mie delusioni sono piuttosto legate alla quotidianità del lavoro. Ad esempio, quando mi capita di recitare una scena difficile, torno a casa esausto per poi realizzare magari, alle 2 del mattino, che avrei potuto farla meglio. Ma alla fine sti ca**i (ha letteralmente detto così)”.
Come ha fatto a mettere da parte il proprio ego e a costruire una rete di contatti per il lavoro? “Un po’ di ego serve per proteggersi, anche perché è un lavoro fatto principalmente di rifiuti. Sul set è quindi importante dimostrare di che pasta si è fatti. Se hai lavorato bene, il regista parla di te con un collega e così via. Il networking (parola che non mi piace) si sviluppa autonomamente, tu devi solo pensare a fare bene il tuo lavoro”.
L’importante è trovare la propria strada e “nel cinema, seguire due regole: cura dei dettagli e collaborazione. Mi sono sempre messo al servizio della visione del regista. All’inizio con Ridley Scott non è stato facile. Ma il grande privilegio è stato essere il fortunato in grado di dargli la sfumatura
Così come è fondamentale la collaborazione con la regia, il direttore della fotografia, capire insomma cosa cerca la macchina da presa e compiacere il regista. All’inizio con Ridley Scott (Il Gladiatore) non è stato facile. Ma il grande privilegio è stato essere il fortunato in grado di dargli la sfumatura che cercava”.
Alla ragazza che gli confessa di sentirsi un’outsider, arrivando da un piccolo paese della Sicilia, replica rilanciando. “Pensano tutti che io sia australiano, ma invece sono nato a Wellington, in Nuova Zelanda, lontano da tutto. Mi sono sempre sentito così anch’io”.
Cosa Russell Crowe in una sceneggiatura? “Mi vendo per il dialogo, lo amo, mi perdo nei dettagli. Non necessariamente devo interpretare il ruolo del protagonista, basterebbero anche due battute, purché ben scritte. Il cinema è un mezzo di narrazione, dunque la storia conta”.
Conclusa la masterclass con una standing ovation l’attore promette “Tornerò a Roma con la mia band per un concerto”.