Accolto con successo e standing ovation al recente Festival di Cannes, l’ipnotico, visionario Moonage Daydream, il primo documentario autorizzato sul poliedrico David Bowie (9 gennaio 1947-10 gennaio 2016), è arrivato oggi nelle sale di tutto il mondo (in quelle italiane dal 26 al 28 settembre, poi seguirà il suo cammino nelle varie piattaforme) per essere così candidabile all’Oscar (a mio modesto giudizio, penso si accaparrerà diverse statuette!).
Questa odissea spaziale audiovisiva diretta da Brett Morgen è molto di più di un documentario, è piuttosto una full immersion psichedelica nell’universo del camaleontico artista inglese che quasi ti stordisce. E’ un ipnotico viaggio nel mondo dell’artista androgino che provocò l’Inghilterra di inizi anni ’70 dichiarando la sua bisessualità, usando make up, smalto e tacchi alti, confermando l’immagine di una persona davvero eclettica, esteriormente ed interiormente, capace di interpretare tanti ruoli. E’ un’odissea cinematografica che esplora il viaggio spirituale, musicale e creativo di David Bowie.
Visto l’autore, c’era da immaginarsi che fosse qualcosa di speciale: Brett Morgan ci aveva infatti già sorpresi e deliziati con Kurt Cobain: Montage of Heck (2015), un documentario-esplorazione sulla travagliata interiorità dell’arrabbiato frontman dei Nirvana. Quello era ancora un documentario – anche se già presentava alcune libertà rispetto ai dettàmi del genere cinematografico ricorrendo all’animazione per alcuni momenti esplicativi -, Moonage Daydream (come l’omonimo brano di Bowie del 1971, ndr) non tiene assolutamente conto delle convenzioni documentaristiche, le cancella, per affermarsi invece come un film, un’esperienza sensoriale, artistica e visiva: unico narratore delle riflessioni e dell’arte del Duca Bianco è David Bowie stesso!
Il film è frutto di un lungo lavoro: il regista ha passato quattro anni a lavorare al progetto ed ha avuto accesso a tonnellate di immagini inedite provenienti dagli archivi della David Bowie Foundation, portando alla luce centinaia di video inediti girati in 35mm e 16mm, molti spezzoni dei quali sono presenti in Moonage Daydream.
Ma chi era David Bowie? Lo dice lui stesso verso la metà del film quando, in un momento di sincera autoanalisi, dice: “Sono un collezionista”. Sì, non c’è dubbio lo fosse, visto il suo amore per la vita nelle sue varie forme artistiche e umane che l’ha portato ad un continuo processo di selezione, rielaborazione e sintesi delle varie esperienze. L’identità di Bowie è la somma di un certo numero di “maschere”, di diversi stili musicali e di una sessualità fluida: tante parti, ma nessuna delle quali vale più delle altre.
Pregio di Moonage Daydream è indubbiamente il fatto che non si lascia distrarre dalla sua anticonvenzionalità e ci parla quindi anche della vita di Bowie, senza essere pesante, senza staccare il ritmo della musica. C’è l’infanzia cullata da sogni di gloria, tra genitori freddi e il fratellastro Terry che lo indirizza sulla via dell’arte ma prima di essere sopraffatto dalla schizofrenia (un trauma che condizionerà a lungo il creativo David). C’è l’impetuosa creatività, ma poca soddisfazione commerciale, degli anni ’70 e gli anni ’80 che ribaltano la prospettiva; c’è il rifiuto dell’amore (prima) e il felice matrimonio con la modella somala Iman (poi).
Ho sopra accennato alla possibilità di diversi Oscar: specialmente al mixer del suono Tony Visconti, produttore musicale al fianco di Bowie fin dal 1969, al regista stesso almeno per il visionario, poetico montaggio che ha fornito e ai tecnici del suono Paul Massey e David Giammarco.

Per un fan di Bowie il film è un autentico bauletto di tesori. La musica non si ferma mai, in un continuo alternarsi (quasi dei lampi) dai primi successi del suo giovanissimo alter ego Ziggy Stardyst di Space Oddity, passando per Life on Mars, Hallo Spaceboy, Heroes e poi le riprese dei concerti con le immagini di isteria che hanno accompagnato quello speciale ragazzo di Brixton (quartiere di Londra pieno di immigrati afro-caraibici e ad alto tasso di criminalità) poco amato dalla madre e orfano di padre. Offre inoltre quel virtuoso solo alla chitarra di Mick Ronson nella canzone che dà il titolo al film.
Insieme al film, è uscito anche un album di accompagnamento (deciso in più modi e tempi di rilascio) che contiene versioni inedite dei brani di Bowie, tracce live, mix creati esclusivamente per il film e i suoi dialoghi utilizzati all’interno della pellicola. L’album in digitale è uscito oggi, 16 settembre; quello in versione 2CD uscirà il 28 novembre, quello in formato 3LP nel 2023.
Tra gli highlights dell’album, un inedito medley live di ‘The Jean Genie / Love Me Do / The Jean Genie’, registrato live al concerto finale di Ziggy Stardust al Hammersmith Odeon nel 1973, con Jeff Beck alla chitarra; una prima versione di ‘Quicksand’ di Hunky Dory (quarto album di Bowie) e una versione inedita di “Rock ‘n’ Roll With Me” dal leggendario Soul Tour del 1974.
Un rilancio dell’artista per una generazione che purtroppo non lo conosce bene?