Cinema e teatri chiusi, poltrone vuote, registi e tecnici senza lavoro, attori senza palcoscenici e senza pubblico: la pandemia in Italia ha messo in ginocchio il mondo dello spettacolo. Da ormai 13 mesi le porte per chi dirige e per chi recita sono sbarrate e il settore è in aperta crisi. Si riprenderà un giorno? E per chi vive nel mondo dello spettacolo, cosa vuol dire essere senza lavoro?
Gianfranco Jannuzzo è un noto attore italiano. Siciliano di Agrigento, classe 1954, è uno di quelli che potrebbe dire di sé: “Ho davvero speso una vita per lo spettacolo, per la tv, il cinema ma soprattutto per il teatro”. Ha imparato l’arte da Gigi Proietti nel suo laboratorio teatrale, e poi ha lavorato con i grandi nomi: Gino Bramieri, Garinei & Giovannini, Antonello Falqui, Antonio Amurri e Dino Verde. Ha avuto come colleghi Gabriele Lavia e Valeria Moriconi, Paola Quattrini e Turi Ferro, Fabio Testi e Carlo Dapporto, Claudia Koll e Debora Caprioglio, e tanti, tanti altri. Con la pandemia in corso è uno dei personaggi dello spettacolo fermo, che non lavora: attende che si riaprano le porte dei teatri, prima o poi. L’anno scorso aveva organizzato la tournèe con “Il Berretto a sonagli” di Pirandello, ma tutto è stato sospeso, e lo è ancora, senza una possibile data di riapertura per i teatri.
Intanto, continua a coltivare la sua seconda grande passione, la fotografia e nei prossimi mesi dovrebbe pubblicare anche un suo libro di immagini, rigorosamente in bianco e nero.

Gianfranco Jannuzzo, se di colpo si potessero riaprire i teatri, la prima cosa che lei direbbe, rivolto alla sala e al pubblico, quale potrebbe essere?
“Prenderei in prestito una storica frase di Enzo Tortora quando dopo i suoi processi tornò in televisione: “Dove eravamo rimasti?”. Guardi, io vedo che al pubblico manca il teatro esattamente quanto manca a noi attori: cioè tantissimo. Ma c’è un motivo semplicissimo: io ho sempre prediletto il teatro come forma di comunicazione perché la trovo diretta, e perché è quella che richiede per forza la presenza fisica del pubblico. E so che il pubblico – e lo vedevo ogni volta che entravo in scena – vuole condividere con te attore quelle emozioni che tu gli trasmetti, vuole poter ridere, piangere, stupirsi. Il teatro è un rito, collettivo, perché si svolge tra persone, fra attori e spettatori, ed è un rito che riproduce la realtà, in un modo o nell’altro”.
Ma cosa vuol dire per un attore essere ora fermo, senza un teatro, uno spettacolo, un palcoscenico sul quale recitare?
“Beh, posso dirle che è come tarpare le ali ad una farfalla. Ci manca come l’aria che respiriamo. Io vivo della soddisfazione che posso avere dal pubblico. Noi diciamo che quando porti in scena un lavoro divertente e degli spettatori vedi i denti, allora vuol dire che va tutto bene, che stanno sorridendo. Lo stesso si dice se presenti un testo commovente e vedi che qualcuno è “preso” dalla storia e magari mette mano al fazzoletto. Per me non recitare, e non farlo da così tanto tempo per questa pandemia, è quasi un dramma. Spero che almeno quest’anno si possa tornare in sicurezza a recitare e a portare in sala il pubblico. In caso contrario temo che tutto il mondo della cultura e dell’arte vada incontro ad una crisi quasi irreversibile”.

Non trova che questo periodo sia anche un po’ pirandelliano? Lo chiedo a lei proprio perchè quando scattò la pandemia lei stava in tournè teatrale con “Il berretto a sonagli” di Pirandello…
“Guardi, io amo Pirandello, siciliano come me. E la commedia che portavo in scena segna di questi tempi il suo secolo di vita, senza peraltro dimostrarli. L’equilibrio tra momenti tragici e leggeri è perfetto, e le scene, i costumi e la musica contribuiscono a rendere lo spettacolo una messa in scena elegante. È uno dei capisaldi della drammaturgia e della letteratura italiana. Si narra di un marito che, nonostante sia a conoscenza dell’adulterio della moglie, lo accetta con rassegnazione, ponendo come unica condizione la salvaguardia dell’onorabilità. La società costringe gli individui ad apparire rispettabili, obbedendo a precisi codici di comportamento; in realtà tutto è permesso purché si salvino le apparenze”.
Allora, dicevamo: niente teatro, niente recitazione. E quindi, e perdoni la domanda, ma lei come passa il tempo?
“Allora, premetto che io da ragazzo, se non avessi fatto l’attore, sarei stato quasi certamente un fotografo. Quindi oggi mi dedico alla fotografia, che è rimasta la mia grande passione dopo la recitazione. Ho alcune macchine fotografiche ancora a pellicola e scatto praticamente ovunque e di continuo. Amo le fotografie in bianco e nero, amo i ritratti, le immagini il più naturali possibili. Molte volte mi sono chiesto cosa mi affascina della fotografia, e penso che sia la capacità di fermare il tempo, di bloccare un istante, quell’istante preciso. Sto pensando nei prossimi mesi anche di pubblicare un libro, con cento mie fotografie, molte scattate proprio in Sicilia, dalle mie parti”.

Ecco, la Sicilia: lei è di Agrigento, vive fra Roma e Milano ma so che si porta nel cuore la sua sicilitudine…
“Assolutamente si, sempre. Sono orgoglioso delle mie origini, che mi ha dato anche questo carattere solare, improntato alla positività. Anche ora, nonostante tutto. Le origini di una persona son o la base di tutto, su cui puoi costruire grandi cose. Evviva la Sicilia”.